il Ducato » nsa http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » nsa http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Longform: nuova frontiera del giornalismo multimediale di qualità http://ifg.uniurb.it/2013/12/10/ducato-online/long-form-journalism/53755/ http://ifg.uniurb.it/2013/12/10/ducato-online/long-form-journalism/53755/#comments Tue, 10 Dec 2013 15:35:28 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=53755 Una foto dall'inchiesta del New York Times

Una foto dall’inchiesta Invisible Child del New York Times

Leggereste questo articolo sul vostro computer dalla prima all’ultima riga se fosse lungo oltre tre pagine? La risposta è sì, se questo fosse un racconto che oltre alle parole includesse foto, video e documenti multimediali.

Si chiama longform journalism ed è la ricetta che il New York Times sta portando avanti dall’anno scorso e che, a quanto pare, sta dando grossi frutti.

L’ultima in ordine di tempo è Invisibile Child, un’inchiesta che racconta la storia di Desani, una dei 22.000 bambini senza casa e assistenza sociale che vivono in condizioni disumane nei sobborghi della Grande Mela. Una giornalista e una fotografa hanno vissuto per un intero anno con Desani, 11 anni, e la sua famiglia, sette fratelli e genitori tossicodipendenti, in un asilo per senzatetto di Brooklyn. Il risultato è un fotoracconto lungo oltre 100 cartelle, divise in cinque “capitoli”, con 250 pagine solo di documenti originali. Il lavoro è stato pubblicato integrale online, mentre sulla carta sono uscite ieri e oggi le prime due delle cinque puntate.

Invisibile Child , analizzato per primo in Italia da Mario Tedeschini Lalli nel suo blog “Giornalismo d’altri”, è un racconto di un Dickens postmoderno, forte della base giornalistica dell’inchiesta ma più potente grazie alla comunicazione multimediale e ha capovolto una delle regole auree che gli esperti avevano redatto per il giornalismo online, la brevità. Il suo successo arriva dopo quello ottenuto dallo stesso giornale con A Game of Shark and Minnow e soprattutto con Snow Fall, il primo esperimento a sdoganare il tabù della lunghezza online. Un team di 30 persone ha lavorato per sei mesi consecutivi per realizzarlo, un investimento notevole per un giornale online che indica forse la consapevolezza del NYT che lungo o corto, un lavoro giornalistico di qualità ha la certezza del successo. Nella comunità digitale l’inchiesta ha coniato anche il verbo to snowfall ovvero “un racconto giornalistico multimediale complesso fuori dai modelli classici dei siti dei giornali e a sviluppo prevalentemente verticale”.

In Europa anche il Guardian, che ogni anno fattura una perdita (in sterline) a sei zeri, ha deciso di investire in questo modello con il suo NSA files decoded.

E venerdì scorso la Columbia Journalism School, nella conferenza “The Future of Digital Longform”, aveva rivalutato la lunghezza come elemento ugualmente fruibile online. Secondo il professore Michael Shapiro i lettori riescono a leggere articoli online anche di oltre 8.000 battute senza particolari problemi persino dallo schermo di uno smartphone; lui stesso ha dato vita a The Big Roundtable, un sito solo per lunghi racconti.

Shapiro però sostiene poi che “un articolo di giornale non è definito dalla sua lunghezza ma dallo stile” e proprio qui sta il punto. Non è tanto la lunghezza di un articolo a determinare il suo successo fra i lettori, ma sono il contenuto e la capacità comunicativa. Le proposte del NYT non sono lunghi mattoni di testo scritto alla “Guerra e Pace” ma il prodotto dell’incrocio di uno scritto ottocentesco dalla forte narratività e gli strumenti dei nuovi media. Video e testo, foto e parole, racconto e mappe si uniscono creando un prodotto meta-giornalistico che è sì estremamente lungo ma allo stesso tempo anche semplice da leggere, e il successo di pubblico lo dimostra.

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Datagate, il ruolo di Snowden e la semantica di uno scandalo http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/datagate-il-ruolo-di-snowden-e-la-semantica-di-uno-scandalo/50739/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/datagate-il-ruolo-di-snowden-e-la-semantica-di-uno-scandalo/50739/#comments Wed, 12 Jun 2013 05:56:21 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=50739 E fu così che uno dei più grandi scandali del mondo, da mediatico, si fece semantico. Come deve essere definito Edward Snowden, l’informatico di 29 anni al centro dello scandalo Datagate e  sulle cui tracce c’è l’intelligence di mezzo mondo? Un informatore? Una talpa? Solo fonte? Il dibattito sul tema è piuttosto acceso.

“’Talpa’ non è il termine adatto – scrive su Repubblica.it Stefania Maurizi – perché Snowden non ha acquisito notizie segrete per fornirle a organizzazioni avversarie o nemiche. Lo ha fatto per la democrazia”. Ma mentre i giornali italiani lo definiscono indiffentemente come “talpa”, la “gola profonda” o “fonte” del Guardian, il quotidiano di Londra decide di chiamarlo con lo stesso appellativo con cui definì Bradley Manning, il soldato dei 700mila documenti segreti spifferati a Wikileaks: whistle-blower. La parola – che curiosamente non ha una traduzione italiana – deriva dall’espressione inglese “blow the whistle” (soffiare il fischietto) e qualifica tutte quelle persone che, a un certo punto, decidono di denunciare le attività illecite commesse dall’organizzazione pubblica o privata per cui lavorano, esponendosi così a ritorsioni o minacce.

Negli Stati Uniti numerose leggi statali e federali sono state fatte a tutela dei whistle-blower, questo per non rendere ancora più arduo trovare qualcuno disposto a denunciare la corruzione, gli illeciti e le attività illegali del proprio datore di lavoro. Ma molti sostengono che nessuna di queste azioni, al momento, è imputabile alla Nsa (National Security Agency) né tantomeno al governo Obama. O comunque non ci sono prove schiaccianti di illeciti.

Snowden, infatti, avrebbe “soltanto” annunciato che i servizi di sicurezza americani, con l’alibi della lotta al terrorismo, controllavano sistematicamente le telefonate e le comunicazioni via internet utilizzando i dati di grandi compagnie come Verizon, Google e Facebook. Ma “questo è perfettamente legale – ha affermato Obama – nessuno ascolta le telefonate dei cittadini americani”. In realtà, sebbene il presidente abbia dichiarato che il programma di raccolta dati è stato “più volte autorizzato dal Congresso con un appoggio bipartisan e che il governo ne è stato sempre tenuto al corrente”, la stampa ha accusato Obamae di aver perso ogni credibilità.

È necessario, secondo i media internazionali, operare una distinzione: una cosa è esporre una politica con cui non si è d’accordo, ben altra cosa è rivelare degli illeciti realmente compiuti. Secondo molti, come detto, il caso di Snowden si avvicina di più alla prima ipotesi. Ecco spiegato, allora,  perché le testate estere hanno avuto qualche piccola esitazione nel categorizzarlo. Ed ecco perché Tom Kent, responsabile degli standard editoriali dell’Associated Press, ha inviato a tutti i redattori un memo con le linee guida con cui accompagnare d’ora in poi il nome di Snowden. “Per quanto eclatanti, non è stato dimostrato che le azioni compiute dall’Agenzia per la sicurezza nazionale esposte da Snowden siano illegali – ha affermato Kent – perciò non dovremmo chiamarlo whistle-blower. Un termine migliore da usare è leaker oppure source”.

Source in italiano è genericamente tradotto come ‘fonte’, mentre manca una parola per tradurre leaker, che deriva da leakfuga di notizie – e indica l’individuo che rilascia, attraverso media o organizzazioni, informazioni riservate o coperte da segreto riguardanti il governo o un’azienda. Meglio ancora, continua Kent nel memo, “dire ciò che hanno fatto ed evitare etichette: ha fatto trapelare, o esposto, o rivelato informazioni classificate”

Ecco il memo integrale dell’Ap, rivelato dall’Huffington Post:

Colleagues,

With two secret-spilling stories in the news — NSA/Snowden and Wikileaks/Manning — let’s review our use of the term “whistle-blower” (hyphenated, per the Stylebook).

A whistle-blower is a person who exposes wrongdoing. It’s not a person who simply asserts that what he has uncovered is illegal or immoral. Whether the actions exposed by Snowden and Manning constitute wrongdoing is hotly contested, so we should not call them whistle-blowers on our own at this point. (Of course, we can quote other people who call them whistle-blowers.)

A better term to use on our own is “leakers.” Or, in our general effort to avoid labels and instead describe behavior, we can simply write what they did: they leaked or exposed or revealed classified information.

Sometimes whether a person is a whistle-blower can be established only some time after the revelations, depending on what wrongdoing is confirmed or how public opinion eventually develops.

Tom

Sono in parecchi adesso ad inseguirlo, compresi gli agenti del “Gruppo Q” della Nsa, una sorta di direzione affari interni il cui unico fine è quello di impedire fughe di notizie e, in caso di fallimento, catturare il colpevole. Ma il posto scelto da Snowden per la fuga non è casuale: Hong Kong è controllata dall’intelligence cinese e proprio le autorità cinesi sono le uniche a poter impedire la sua estradizione. Se così non fosse, Snowden ha già in mente il piano B: volare in Islanda e chiedere asilo politico al paese che più si batte per la libertà su internet. Difficile dire se riuscirà a sfuggire al governo Usa. Se così fosse, più che la “talpa” forse dovrebbe essere  chiamato la “volpe”.

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