il Ducato » Ordine nazionale dei giornalisti http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » Ordine nazionale dei giornalisti http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it I centomila volti della Verità, il convegno a Urbino con Morosini e Menichelli http://ifg.uniurb.it/2013/05/08/ducato-online/i-centomila-volti-della-verita-il-convegno-a-urbino-con-morosini-e-menichelli/46110/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/08/ducato-online/i-centomila-volti-della-verita-il-convegno-a-urbino-con-morosini-e-menichelli/46110/#comments Wed, 08 May 2013 07:27:19 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=46110 URBINO – “Agnese Borsellino è morta e raggiunge il suo Paolo. Adesso anche lei saprà finalmente la verità”. Questo è il messaggio che qualche giorno fa, subito dopo la morte della moglie del magistrato palermitano ucciso nel luglio del 1992, è rimbalzato in Rete. La ricerca della verità viene perseguita in maniera differente a seconda da chi la cerca. Concorre alla costruzione di una coscienza collettiva ed è più attendibile se fondata su un pluralismo fatto di soggetti con identità molto diverse tra loro.

Per questo il nome dell’incontro di ieri pomeriggio al Rettorato dell’Università di Urbino, “Una nessuna, centomila: le facce della verità. La verità processuale, la verità dei fatti, la Verità”, ricalcando il titolo di una famosa opera di Pirandello, ben esprimeva le multiformi accezioni e i significati che il termine può assumere nella società contemporanea.

Più voci a testimoniare porzioni e visioni attorno al tavolo di discussione: quella di due giornalisti, un magistrato e un ecclesiastico. Legati in vario modo al concetto di verità. Introdotto dai direttori dei dipartimenti che hanno organizzato l’incontro: Paolo Pascucci per il dipartimento di Giurisprudenza e Lella Mazzoli per quello di Scienze della Comunicazione.

A parlare di uno dei grandi desiderata della professione giornalistica Giancarlo Ghirra, segretario dell’Ordine nazionale dei giornalisti e Franco Elisei, direttore de Il Messaggero di Pesaro. “Nella vita ordinaria ci sono tante verità: scomode, su misura – ha spiegato Elisei – interiori, esteriori e sostanziali, per capirci verità dei fatti. Ma al di là della definizione dei diversi tipi di verità mi pare sia corretto porre l’accento del discorso su quella che mi sembra un’esigenza di trasparenza”.

L’ottenimento della verità, infatti, secondo Ghirra è un’aspirazione del giornalista, che muovendosi in condizioni di approssimazione, può avere difficoltà a raggiungerla. Ma secondo entrambi ciò che non deve mai venir meno è la preparazione e la correttezza etica e deontologica: “Non dobbiamo essere burattini nelle mani di un burattinaio – ha aggiunto Elisei – né essere portatori sani di bugie altrui. Neanche la buona fede può essere una giustificazione”.

La verifica puntuale dei fatti è imprescindibile per lo svolgimento della professione giornalistica, tesa a fornire un servizio al cittadino che solo se informato può essere libero. Muoversi eticamente nel mondo del giornalismo, però, può presentare qualche difficoltà secondo il segretario dell’Ordine, soprattutto in un paese che si posiziona al cinquantasettesimo posto per libertà di stampa. “Il giornalismo italiano è malato – ha detto Ghirra – perché nel nostro Paese non esiste il cosiddetto editore puro. Ci sono troppi conflitti di interesse che condizionano la stampa. E’ difficile per il giornalista far cadere questi vincoli. Per questo per me è importante lottare anche contro leggi come la legge bavaglio: non per dare un potere corporativo alla categoria dei giornalisti ma per fare in modo che svolgano un servizio corretto nei confronti dei cittadini”.

L’accertamento dei fatti e l’avvicinarsi quanto più possibile alla verità richiede una preparazione che forme di giornalismo dal basso, come il citizen journalism, non possiedono. “Il giornalista seleziona, filtra, divide notizie calunniose da notizie reali – ha affermato Ghirra – esercita una professione eticamente difficile. Per questo una legge adesso ci impone una formazione permanente”.

Il giudice Piergiorgio Morosini

La responsabilità e la tragicità della ricerca di una verità che può sacrificare vite individuali o collettive è emersa anche dal discorso del giudice Piergiorgio Morosini che ha evidenziato la fragilità della verità giudiziaria. “Crediamo sul serio, come pensava Cesare Beccaria, – ha detto Morosini – che il giudice sia un imparziale e indifferente ricercatore del vero? Non è così. Il giudice in quanto uomo è un individuo sottoposto a condizionamenti di vario tipo e la verità giudiziaria è una verità particolarmente probabilistica oltre che molto limitata. Basti pensare che emerge dalla valutazione non di fatti ma di fonti di prova”.

Ogni giudice porta dentro di sé, secondo Morosini, un bagaglio di ideologie che permeano i suoi pensieri. E quandanche queste ideologie restassero fuori da lui, rientrerebbero in aula sotto forma di leggi o opinioni. “Il fine di un processo non è soltanto l’ottenimento della verità, l’incriminazione dei responsabili, la difesa della società – ha continuato il giudice – ma contano anche la dignità e la civiltà dello strumento utilizzato per ottenere la verità. Quest’ultima si costruisce con una serie di indizi che convergono verso un risultato. Per questo può essere così labile”.

“L’estate scorsa è stato il periodo in cui si è più parlato delle intercettazioni di Napolitano e Mancino – ha spiegato Morosini – rivendicando trasparenza. Ma come se ne è parlato? In termini di gossip. A nessuno importava veramente scoprire cosa è successo nella stagione delle stragi e questo è un problema, perché molto spesso nel nostro Paese si sviluppano due processi paralleli di cui uno sui mezzi di comunicazione. Tutto questo con l’aggiunta delle pressioni di vari poteri ostacola l’accertamento dei fatti: basti pensare che il processo sulla strage di via D’Amelio per anni si è mosso su verità giudiziarie parziali o su depistaggi”.

Monsignor Menichelli, Giancarlo Ghirra e Franco Elisei

Una voce fuori dal coro del “relativismo” della verità – o quantomeno della sua eterogeneità – è stata quella dell’arcivescovo di Ancona, monsignor Edoardo Menichelli, che ha sottolineato come la società contemporanea sia approdata a conclusioni poco rallegranti che si basano sul presupposto che la verità in fondo non esista. “Si tratta di una situazione esistenziale – ha detto Monsignor Menichelli – inzuppata in una solitudine incredibile, che crea una diffusa incomunicabilità. E’ l’epoca del relativismo assoluto, del ‘per tutto c’è un’altra verità’. Invece bisognerebbe per prima trovare la verità dentro noi stessi, avere il coraggio di dirsi la verità, ovvero che siamo infinitamente piccoli”.

Un percorso esistenziale, quello promosso dall’arcivescovo di Ancona, che si muove sui binari della sapienza e della libertà. Binari sui quali passerebbe anche il coraggio di scavare dentro di sé. “Sant’Agostino – ha aggiunto Monsignor Menichelli – diceva che non cerca se non chi è cosciente della propria povertà . Oggi siamo dentro una tortura della non verità, perché di verità ce ne sono centomila. E questo succede perché abbiamo tolto il punto di riferimento, abbiamo messo in soffitta  la sorgente della verità e con questa anche la nostra identità”.

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“Altro che libertà da freelance, siamo solo collaboratori sottopagati” http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/altro-che-liberta-da-freelance-siamo-solo-collaboratori-sottopagati/44462/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/altro-che-liberta-da-freelance-siamo-solo-collaboratori-sottopagati/44462/#comments Wed, 24 Apr 2013 23:24:17 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44462 [continua a leggere]]]> Il sito di Errori di Stampa

Il sito di Errori di Stampa

“Il freelance ormai non è altro che un lavoratore subordinato senza nessuna garanzia. Altro che libero professionista”. Valeria Calicchio sa di cosa parla. Lei è una giornalista che ha frequentato la scuola di giornalismo di Salerno: stage in diverse testate, collaborazioni con un free press romano, ufficio stampa per una società della pubblica amministrazione della capitale. Ma anche disoccupazione, rabbia e impegno per la tutela dei giornalisti precari con il gruppo romano di Errori di Stampa.

Esiste realmente in Italia la categoria “pura” dei freelance?
Parlare di freelance in Italia oggi è difficile. Prima, in effetti, il giornalista freelance era una specie di privilegiato: realizzava dei pezzi, li vendeva a cifre anche molto alte e viveva in maniera degna. Adesso freelance indica una categoria di persone che sono perlopiù sottopagate; collaboratori che vengono chiamati così per nobilitare quella che in realtà è una precarizzazione del lavoro. Si parla quindi di persone che collaborano con le testate senza contratti, senza lettere di ingaggio, senza nessuna garanzia che però di fatto svolgono un lavoro subordinato, ovvero l’esatto contrario del lavoro di libero professionista che dovrebbe fare il freelance. La categoria del freelance in Italia non è molto chiara, non rispetta i canoni che dovrebbero esserci e che ci sono anche all’estero. I freelance puri sono pochissimi.

Quindi, a differenza degli altri paesi, essere freelance da noi non è il risultato di una scelta libera.
Non lo è o almeno non lo è più. Essere freelance in questo momento in Italia vuol dire essere sottoposti a un ricatto. Sono le aziende per le quali lavori che ti costringono ad aprire la partita iva. Così in pratica sei un libero professionista ma un libero professionista che prende al mese 800 euro netti, 1000 lordi. A mio avviso questa non è una scelta e non vuol dire essere libero professionista. E’ un settore così drammaticamente in crisi che non so cosa possa aiutarlo in questo momento. Siamo 110mila giornalisti in Italia e il 60/70 % non arriva a 5000 euro all’anno. I disoccupati non si contano perché non c’è un censimento reale. Non c’è nemmeno il polso della situazione.

Valeria Calicchio

Quali sono le “chiavi”  per accedere da freelance al mercato giornalistico?
Non so quali siano le strategie. Questo lavoro funziona molto per conoscenza e cooptazione. Non è così immediato vendere. Poi la questione del citizen journalism ha aperto altri grandissimi problemi perché le testate comprano a pochissimo – o anche gratis in cambio di visibilità – pezzi, servizi, foto da gente che non è professionista, che non vive di giornalismo. Quindi l’asticella della collaborazione si è abbassata ancora di più perché le redazioni riescono a trovare contenuti e materiali gratis. Molto probabilmente riescono a vendere i pezzi quelli che lavorano all’estero ma nemmeno tanto in fondo: ci sono dei blogger famosissimi, giornalisti, colleghi che stanno in Siria che raccontano quelle situazioni da anni e che in Italia non hanno mercato.

La categoria però non è lasciata a se stessa: c’è il sindacato. In che modo tutela i freelance?
Tre anni fa è nata la commissione nazionale freelance, un organismo che si occupa di studiare e porre dei rimedi alla condizione della categoria. E’ composta da rappresentanti di tutte le regioni di Italia ed è una commissione di studio e di valutazione dei problemi relativi alla precarizzazione del lavoro giornalistico. Precarizzazione e non precariato. Perché il precario è qualcuno che già ha un contratto che gli verrà rinnovato o che comunque ha delle tutele. Invece poi c’è tutta una schiera di persone che non avendo contratti, non avendo appigli di nessun tipo, non ha diritto nemmeno al paracadute. Questa commissione cerca, quindi, di studiare il fenomeno e di porre dei rimedi con le vertenze, con il rinnovo del contratto giornalistico, con la questione dell’equo compenso.

Eppure sembra che ci siano delle correnti contrarie anche all’interno dello stesso sindacato.
Questa è una parte del sindacato. Un’altra parte in maniera ufficiosa rema contro perché schiava ancora dell’idea che sia necessario tutelare chi è già tutelato. La vertenza quindi si apre se si va in crisi e rischiano il posto di lavoro i contrattualizzati; i precari e i collaboratori, invece, sono sempre all’ultimo posto. Chiaramente la Commissione nazionale freelance è in aperto scontro perenne con la segreteria nazionale del sindacato. E’ una lotta fratricida tra contrattualizzati e nuovo sottoproletariato giornalistico.

Che aria tira nelle redazioni? Si avverte ostilità tra schieramenti opposti di giornalisti?
Certo, perché i cdr non si interessano minimamente ai collaboratori eccetto rarissimi casi. Si sono creati dei coordinamenti di collaboratori precari in molte testate tra cui il Messaggero, L’Unità, Repubblica, Rai. Lo scopo di questi coordinamenti è far sentire la voce anche di chi è collaboratore. Però fino a quando non ci sarà un rappresentante dei precari nei cdr non otterremo grandi conquiste.

Tu fai parte di Errori di Stampa, il coordinamento di giornalisti precari romani da tempo attivo nella capitale in difesa dei diritti della categoria. Pensi che combattere per cambiare questa situazione serva? 
La lotta è l’unica cosa che può salvarci da questo sistema. Il primo coordinamento dei precari è nato in Friuli nel 2006. Negli ultimi quattro anni sono nati in Italia coordinamenti in tutte le regioni e sicuramente questo ha contribuito ad richiamare l’attenzione sul tema del precariato. Prima non se ne parlava o comunque si pensava fosse una prassi dovuta: per diventare giornalista dovevi fare la gavetta. Il problema è che facevi la gavetta e poi avevi un contratto. Adesso no. La lotta serve: in due anni e mezzo siamo riusciti a ottenere grandi successi. Abbiamo scritto una carta deontologica, abbiamo ottenuto l’equo compenso per i giornalisti che è un traguardo storico perché riconosce che il lavoro intellettuale debba essere pagato equamente. Sono conquiste e le abbiamo ottenute facendo manifestazioni, petizioni, di tutto insomma.

Ora c’è un appello, che tu hai firmato, per la convocazione degli stati generali dell’informazione precaria…
Sì, ho firmato perché ritengo si debba discutere per trovare degli strumenti all’interno delle nostre associazioni di categoria per monitorare il fenomeno. Cioè non basta soltanto parlarne, bisogna monitorare con dati certi. Se la Federazione e l’Ordine non hanno il polso della situazione ma non riusciremo mai a pensare ai rimedi giusti da prendere. Stiamo chiedendo con forza la convocazione degli stati generali dell’informazione precaria per capire lo stato delle cose attualmente e discutere di soluzioni.

Una situazione drammatica, eppure la politica continua ad attaccare i giornalisti perché sono una casta.
Sono attacchi demagogici a una categoria che dalla maggior parte delle persone viene definita come casta quando invece la casta in realtà è meno del 10 %: il resto sono servi della gleba. Si attaccano persone che prendono meno di un operaio metalmeccanico. Prendere 1200 euro al mese sarebbe già un traguardo, non li prende nessuno. La maggior parte di noi è disperata.

Tirando le somme, sembra che essere giornalisti oggi non convenga. Perché invece tu lotti tanto per difendere la professione?
Perché la vita democratica di un Paese si basa sulla libera informazione dei cittadini. E’ una funzione importantissima come può essere quella del medico, quella dell’insegnante. Se non c’è informazione corretta, non c’è nemmeno democrazia. Credo che oggi più che mai ci sia bisogno di informare in maniera corretta: nel mondo globalizzato dove i canali dell’informazione si sono moltiplicati in maniera esponenziale c’è bisogno di una guida, di chi ti dia delle chiavi di lettura del reale. La professione, quindi, si è modificata ma ce n’è più che mai bisogno proprio perché si sono allargate così tanto le possibilità per essere informati che forse il rischio è di esserlo meno. C’è bisogno di mediatori, di persone che sappiano fare informazione, che è un’operazione complessa, delicata: devi trovare le notizie, verificarle. Non è facile nonostante ormai oggi ci siano blogger, Twitter, Facebook. C’è bisogno di chi rispetti la deontologia, di chi rispetti le regole che ci siamo dati negli anni per poter fare informazione in maniera corretta.

Hai mai pensato di andare all’estero?
No. Assolutamente no. Questo è il mio Paese e questo è il Paese che voglio cambiare e nel quale voglio vivere.

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