il Ducato » perugia http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » perugia http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Il giornalismo in Russia è vivo nonostante il controllo di Putin http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/il-giornalismo-in-russia-e-vivo-nonostante-il-controllo-di-putin/71099/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/il-giornalismo-in-russia-e-vivo-nonostante-il-controllo-di-putin/71099/#comments Sun, 19 Apr 2015 11:34:31 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71099 I NOSTRI SERVIZI DA PERUGIA SPECIALE - Sui siti del gruppo Espresso I NOSTRI TWEET]]> Ivan Kolpakov di Meduza

Ivan Kolpakov di Meduza

PERUGIA – Era attesa per parlare al panel dedicato ai media russi la giornalista Veronika Koutsyllo, del sito web indipendente Open Russia. E invece non c’era, perché questo giovedì la polizia russa ha condotto una perquisizione nella sua redazione, sequestrando tutti i computer e i mezzi necessari a lavorare.

I giornalisti russi tentano di scrivere e andare in onda nonostante un clima di oppressione e censura fra i più rigidi al mondo. Di questo si è parlato in un panel dedicato dal titolo “Media indipendenti in Russia sotto il regime di Putin”. Non si esita chiamarlo regime, perché non c’è altra definizione quando la stampa di un Paese di 150 milioni di abitanti è relegata al 176esimo posto nella classifica sulla libertà di stampa nel mondo di Freedom House, o al 148esimo di quella di Reporter senza frontiere.

Ma anche in Russia necessità fa virtù, e così i media indipendenti, quelli per intenderci che non concordano i servizi col Cremlino, hanno dovuto trovare delle vie alternative per non venire chiusi. “Abbiamo deciso di emigrare – ha spiegato il vicedirettore del sito Meduza.io Ivan Kolpakov - ci siamo trasferiti a Riga e ora non dobbiamo più avere paura di essere aggrediti o costretti a chiudere”.

All’emittente televisiva Tv Rain è successo invece di essere sfrattati dalla propria redazione, sotto la pressione del governo. “Scherzavamo sul fatto che saremmo finiti a trasmettere dalla casa di qualcuno di noi – ha raccontato la vicedirettrice Maria Makeeva – e alla fine è andata proprio così. Buttati fuori da una redazione vera, abbiamo dovuto trovare in fretta un’altra soluzione. Per mesi abbiamo trasmesso dal monolocale di un amico”.

Una nuova legge in Russia impedisce ai media indipendenti di finanziarsi attraverso la pubblicità. E così quando le inserzioni sono crollate, Tv Rain ha trovato nei propri telespettatori una fonte di sostentamento. “Chi vuole seguirci paga un abbonamento – ha spiegato Makeeva – non è stato facile chiederlo ai nostri utenti, perché in Russia non si paga un canone per la tv pubblica. Non sapevamo come spiegare che bisognasse pagare per avere delle notizie. Ma oggi è così che viviamo”.

“I media indipendenti non sono marginali – ha concluso il giornalista polacco Zygmunt Dzieciolowski, che da 25 anni si occupa di Russia – basti pensare al ruolo che hanno svolto nel coprire la crisi ucraina. Sono pieni di qualità e di adrenalina. Mi dispiace per i Paesi in cui fare giornalismo è una faccenda tranquilla: dev’essere noioso”.

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Un giornalista a distribuire cuffie e cioccolatini: il festival vissuto tra i volontari della logistica http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/un-giornalista-a-distribuire-cuffie-e-cioccolatini-il-festival-vissuto-tra-i-volontari-della-logistica/71108/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/19/ducato-online/un-giornalista-a-distribuire-cuffie-e-cioccolatini-il-festival-vissuto-tra-i-volontari-della-logistica/71108/#comments Sun, 19 Apr 2015 10:14:04 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71108 IL DIARIO DEI VOLONTARI Tra lo staff del Festival del giornalismo di Perugia ci sono anche dieci allievi dell'Ifg di Urbino. Oggi raccontiamo come funziona la logistica. Distribuendo cuffie e microfoni, un giornalista può imparare qualcosa ogni giorno PUNTATE PRECEDENTI 3 | 2 | 1 ]]> Il nostro Claudio intento a sistemare le cuffie per la traduzione simultanea

Il nostro Claudio intento a sistemare le cuffie per la traduzione simultanea

PERUGIA – “Cosa ci vai a fare a logistics, con la ‘s’?”. Me l’avranno chiesto tutti i miei colleghi, da quando ho deciso di vivere l’esperienza del Festival del giornalismo 2015 da addetto ai lavori. Un’attività magari poco intellettuale, ma indispensabile per il buon funzionamento di tutto l’evento.

La mia giornata tipo da volontario ha inizio relativamente presto. Sveglia alle otto, doccia e via all’Hotel Brufani, il quartier generale del festival. L’hotel domina lo spiazzo antistante il belvedere della città di Perugia. È un cinque stelle L, di quegli hotel che difficilmente avrei avuto modo di vivere così intensamente per tanti giorni, non fosse stato per il festival. Ha quell’aria da hotel che vive di occasioni come queste, anzi: che vive davvero solo in occasioni come queste. Alcuni membri dello staff me l’hanno confermato, fra uno sbuffo e l’altro per il carico di lavoro extra cui devono far fronte per rendere possibile un evento così impegnativo.

Nei giorni del Festival internazionale del giornalismo le sale del Brufani si popolano di ragazzi, di giornalisti, di stagisti, turisti e curiosi fin dalla mattina. Le conferenze iniziano infatti alle nove e capita che siano affollate già le prime. Spesso sono in lingua inglese, per cui al volontario di turno toccherà distribuire le cuffie che permetteranno a chi vorrà prendere parte ai vari panel, gli incontri della giornata, di avere la traduzione simultanea dell’evento. A noi il compito di assegnarle, dietro consegna di un documento.

Per me ha significato imparare che il tesserino per i giornalisti, in un festival di giornalismo, non vale come documento di identità; realizzare che in molti sono disposti a lasciarti la carta di credito senza alcun problema, pur di avere la propria cuffia; constatare che la mia vecchia carta d’identità, lisa e stracciata ormai da anni, è come nuova rispetto a quella di tanti; che davvero pochi giornalisti capiscono l’inglese. Che le conferenze sui media in Russia e sulla propaganda dell’Isis tirano più di un carro di buoi, a giudicare da quanti son rimasti senza traduzione perché le cuffie erano finite. E che una bottiglia d’acqua naturale sul tavolo davanti all’ingresso di sala Raffaello è sufficiente perché qualcuno possa pensare di chiederti: “Dell’acqua frizzante, per favore. Magari fredda di frigorifero”.

I panel prevedono spesso il coinvolgimento del pubblico, e spesso mi sono ritrovato a dare il microfono a quanti volevano fare domande. Stefano, il responsabile della sala Raffaello, dice che ho un talento naturale nel dare i microfoni; dice che sembra l’abbia sempre fatto. E io sono soddisfatto, anche se forse non era un complimento.

Ma il crocevia del Brufani è la sala dell’Infopoint, da cui i giornalisti passano per un accredito, gli affamati per un pranzo al sacco, gli speakers per avere i buoni pasto e i rimborsi da Francesca Cimmino, che tutto vede e provvede. Ci ho visto passare moltissimi fra i più noti giornalisti italiani e non solo. Spesso molto disponibili, anche se non tutti. L’impressione è che si conoscano tutti da secoli, e che molti siano anche amici ma come quei parenti che si frequentano solo alle feste comandate. Ho visto Marco Travaglio salutare affettuosamente uno stagista che per il Fatto Quotidiano ha lavorato due mesi, anni fa. Ho dato l’accredito a un giornalista di cui non avevo mai visto il viso, ma il cui nome mi è sempre stato familiare. E ho scoperto che quel nome l’ho sempre pronunciato con l’accento sulla vocale sbagliata: Alberto Puliàfito.

All’info-point ho dispensato chili di Baci Perugina e di Kit Kat, che Fulvio Abbate ha esclamato essere “meglio di una scopata”. Ho messo a durissima prova il mio inglese arrugginito dando indicazioni che in genere consistevano in: “The restrooms are over there, on the left”, che mi esce sempre bene.

Certo, qualcuno potrebbe avermi visto nella hall a caricare il mio smartphone nella -preziosa – colonnina Tim per più del tempo necessario. Ma è perché le batterie del mio cellulare durano il tempo di un panel, non perché effettivamente avessi troppo tempo libero.

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Scuole di giornalismo, la passione non basta. Bisogna insegnare la “cultura digitale” http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/scuole-di-giornalismo-la-passione-non-basta-bisogna-insegnare-la-cultura-digitale/70952/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/scuole-di-giornalismo-la-passione-non-basta-bisogna-insegnare-la-cultura-digitale/70952/#comments Sat, 18 Apr 2015 16:37:42 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70952 foto incontro 3

I relatori dell’incontro “Insegnare giornalismo oggi”. Da sinistra a destra: Mindy McAdams, Mario Tedeschini Lalli, Barbare Sgarzi e Jan Schaffer

PERUGIA – Anche nel 2015 le condizioni indispensabili sono sempre quelle: passione, uscire dalla redazione, parlare con le persone per trovare notizie e saper innovare. Ma poi c’è la necessità di una “cultura digitale”, da coltivare e fare propria, come ultimo, indispensabile, pilastro per chi vuole diventare giornalista. E per chi il giornalismo lo insegna. Perché, come spiega Mario Tedeschini Lalli, vice responsabile innovazione e sviluppo per il gruppo editoriale L’Espresso, il mondo in cui viviamo è un mondo digitale.

Se esistesse un mercato per un giornale scritto con la penna d’oca su una pergamena dovremmo sfruttarlo, ma chi al giorno d’oggi scrivesse con la penna d’oca su una pergamena dovrebbe comunque essere un “giornalista digitale”, cioè un giornalista che vive e comprende l’universo nel quale vive, che è – appunto – digitale.

Nel primo incontro sul tema al Festival del giornalismo di Perugia, “Insegnare giornalismo oggi”, si è approfondito questo tema. Mindy McAdams, docente di giornalismo digitale all’università della Florida, ha introdotto all’interno del percorso per diventare giornalisti un corso di coding. Non di quelli insegnati agli informatici, perché il fine non è programmare un sito, ma comprendere i linguaggi di di base, capire la lingua che parlano le macchine e saperli maneggiare. “Molti ragazzi non si accorgono di poter essere bravi nel coding – ha detto la professoressa americana – dobbiamo promuovere l’idea che chi vuole fare il giornalista non debba spaventarsi di fronte a questa materia”. L’importante non è dare però competenze specifiche ma insegnare il significato delle tecnologie dalle quali si è circondati.

Una consapevolezza che richiede un enorme sforzo: capire l’ecologia del mondo digitale vivendoci all’interno ma allo stesso tempo sapendosi astrarre da questo e comprenderne il funzionamento. Un concetto ben espresso da Marc Cooper, professore all’University of Southern California, durante l’incontro “Come insegnare il giornalismo oggi “. Non si deve essere sempre aggiornati sull’ultima app uscita ma padroneggiarne la filosofia che le sta dietro. Infatti ha sottolineato come lui stesso sappia in realtà pochissimo di software ed applicazioni, ma conoscendone a fondo il modo in cui funzionano è in grado di indirizzare precisamente il proprio messaggio ed inserirlo nel flusso di informazioni. Un pensiero analogo a quello di Juan Luis Manfredi, moderatore del panel e professore di Comunicazione politica all’università di Castiglia-La Mancia. Ai suoi alunni lui non insegna ad utilizzare un programma o un’applicazione, visto che possono cambiare in continuazione, ma il metodo di lavoro per costruire tramite quelle un appropriato Business plan per la propria attività giornalistica.

In Italia però la cultura digitale è ancora carente. “Le università italiane dovrebbero inserire corsi dedicati solo a questo – sostiene Tedeschini Lalli – parli di cultura digitale a ragazzi ma leggi nei loro occhi che non ti stanno seguendo nel tuo discorso. Superare il gap di cultura digitale in Italia è oggi una priorità. L’alternativa è dolorosa: emigrare. “I ragazzi che sono o sono stati miei studenti vengono a chiedermi consigli per il lavoro – ha continuato Tedeschini Lalli  ma io non posso dire loro semplicemente di andare a Londra. Il mio problema come cittadino italiano non è solo cosa ne sarà del giornalismo, ma soprattutto cosa ne sarà di questo Paese”.

Di diverso avviso è stato invece George Brock, professore di giornalismo alla City University di Londra. “L’unica vera possibilità per superare questa arretratezza è andare in un’università dove la cultura digitale sia al centro dell’attenzione – sostiene l’accademico britannico – solo svuotando l’Italia dei suoi giovani giornalisti ci potrà essere un vero cambiamento”.

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I numerosi speakers internazionali al panel “Come insegnare giornalismo oggi”. Da sinistra a destra: Mindy McAdams, George Brock, Juan Luis Manfredi, Marc Cooper, Ken Harper e Andrew DeVigal

Digitale a parte le fondamenta del giornalismo rimangono quelle del passato. Connettersi ad una storia, uscire fuori dalle redazione e raccontare quello che si vede. Una massima di Ken Harper, professore alla Syracuse University. La collaborazione, il community first, è invece il nodo cruciale dell’intervento di Andrew DeVigal, un tempo multimedia editor del New York Times. La vera rivoluzione sarebbe imparare ad ascoltare, per dare voce alle persone che ci troviamo vicino. Ancora più idealista è Marc Cooper. Il vero segreto rimane comunque la passione, unico vero motore per chiunque voglia approcciarsi al mondo del giornalismo.

“In Italia penso che le scuole di giornalismo non siano così utili, ho dei dubbi sul loro futuro” afferma lo stesso Cooper su una delle questioni che hanno attraversato il dibattito. Altri sono meno drastici. Sia Brock che McAdams invece hanno sostenuto la necessità di riformare i corsi già esistenti piuttosto di creare di altri nuovi.Un processo di evoluzione che andrebbe applicato a tutto il mondo del giornalismo.

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Festival del giornalismo di Perugia, il liveblog degli eventi http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/festival-del-giornalismo-di-perugia-il-liveblog-degli-eventi/70778/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/festival-del-giornalismo-di-perugia-il-liveblog-degli-eventi/70778/#comments Sat, 18 Apr 2015 10:40:59 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70778 Espresso]]> Gli aggiornamenti live dal Festival del giornalismo di Perugia. A cura dei giornalisti del Ducato e dei quotidiani locali del gruppo Espresso
Gli eventi che seguiremo oggi:
Ore 15.15: “Isis, dentro l’esercito del terrore, tra social medio e dio
Ore 16.30: “Combattere la disinformazione online e smaschera bugie virali
Ore 17: “Processo ai talk show


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Diario del festival internazionale del giornalismo: la giornata della radio http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/diario-del-festival-internazionale-del-giornalismo-la-giornata-della-radio/70945/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/diario-del-festival-internazionale-del-giornalismo-la-giornata-della-radio/70945/#comments Sat, 18 Apr 2015 10:33:25 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70945 IL DIARIO DEI VOLONTARI Gli allievi dell’Ifg di Urbino tra lo staff dell’Ijf 2015 raccontano, giorno per giorno, il loro lavoro quotidiano dietro le quinte del festival. Valentina e Marco sono nella redazione di Umbria Radio, che trasmette in diretta dal Brufani Secondo giorno | Primo giorno ]]> PERUGIA – Occhi assonnati, zaino in spalla e cuffia nelle orecchie. La giornata di noi volontari della radio del Festival internazionale di giornalismo inizia prestissimo. Sono le otto del mattino e la sala stampa dell’Hotel Brufani è già gremita di gente. Il tempo di prendere un caffè e siamo già operativi. Un gruppo di 15 persone, dalle esperienze più disparate. Ci sono i veterani del festival e quelli – che come noi – sono alla prima volta.  La provenienza geografica e il tipo di studi sono tra i più disparati: ci sono giornalisti praticanti, ci sono pubblicisti e ci sono semplici studenti universitari.

Non sono solo appassionati e veterani della radio, ma anche persone che vogliono  provare la loro prima esperienza con un linguaggio nuovo. Il nostro gruppo è coordinato da Francesco Locatelli, giornalista perugino, voce e anima di Umbria Radio, emittente locale che trasmette sulle proprie onde di frequenza la radio del festival.  Una diretta che va avanti per sei ore, dalle 9 alle 12, per poi ricominciare alle 15 fino alle 18.

La giornata. Sono le 8:30 e la giornata comincia con la rassegna stampa. Facciamo sia quella locale, che nazionale ed estera. Ognuno di noi prende un giornale e inizia a selezionare le notizie da raccontare agli ascoltatori.

La rassegna stampa della mattina

La selezione delle notizie

La rassegna stampa

La rassegna stampa

Finita la rassegna stampa, ognuno di noi è pronto per raccontare i diversi incontri della giornata del festival con interviste pre-registrate, cioè montate e poi mandate in onda, o in diretta da ‘studio’, come quella a Roberto Vicaretti di Rai News giovane giornalista e volto noto delle rassegne stampa di ogni mattina.

Lo ‘studio’, come avrete potuto vedere dalle foto, è un tavolone all’interno della sala stampa, con tutte le attrezzature necessarie per trasmettere.

L'intervista a Roberto Vicaretti di Rai News

L’intervista a Roberto Vicaretti di Rai News

Oltre a seguire gli eventi, un altro aspetto importante del nostro lavoro è quello di intercettare gli ospiti del festival che si aggirano per l’Hotel Brufani, dove si trova la sala stampa e la cellula organizzativa del festival, e portarli davanti ai microfoni. Spesso siamo un po’ emozionati: parliamo con personaggi del giornalismo e della comunicazione che ammiriamo e che incontriamo dal vivo per la prima volta. Ma non ci facciamo sopraffare e il più delle volte scattiamo anche la foto ricordo.

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Una foto-ricordo con Zoro

Ore 12. Per noi  il primo incontro importante della giornata inizia alle 12: “I media occidentali alle prese con la propaganda del terrore”, un dibattito incentrato sul rapporto tra l’informazione e la comunicazione del “terrore” messa in piedi dallo Stato Islamico. Sul palco ospiti prestigiosi come Lucio Caracciolo di Limes, la direttrice di Sky TG24 Sarah Varetto, Giovanni Maria Vian dell’Osservatore Romano.

Ore 13. Pranzo. Sì, anche i volontari mangiano (quando ci riescono!). Ma siamo sempre con gli occhi puntati sulla strada per cercare volti noti da intervistare.

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Il pranzo dei volontari. Nel sacchetto verde c’è il pasto per i vegetariani

Ore 14. Si ritorna alla base: sala stampa, tavolo Umbria Radio. E’ il momento della seconda riunione per organizzare il lavoro del pomeriggio. Chi seguirà cosa? Valentina riesce a farsi assegnare due panel a cui teneva molto: un talk di 15 minuti dal titolo “Perché i giornalisti dovrebbero essere attivisti” di Dan Gillmor, giornalista americano molto impegnato sulla ridefinizione del ruolo del giornalismo nella società, e l’evento più importante di tutto il festival, il dibattito su sorveglianza e privacy con Edward Snowden via Skype. Marco, oltre a seguire Snowden con Valentina, alle 15:30 segue anche “Siamo tutti fonte di informazione”.

Ore 15. Ricomincia la diretta. Tanti, troppi gli ospiti che siamo riusciti a portare al nostro tavolo. Da Erri de Luca, a Zoro del programma Gazebo.

Ore 18: il grande evento. La diretta radio finisce, ma noi ancora siamo al lavoro. Per assistere al panel con Snowden bisogna andare mezz’ora prima dice l’organizzazione. L’evento è a Palazzo dei Notari, per entrare c’è una scalinata enorme, gremita di persone in fila. Una fila lunghissima di cui non riusciamo a vedere la fine. Fortunatamente abbiamo l’accredito per la radio e riusciamo ad entrare prima senza problemi e a prendere due posti in seconda fila. Ma ci siamo, dopo il “buonasera” del mediatore del dibattito, Fabio Chiusi, sul maxi schermo appare il volto di Snowden. Spontaneo parte un applauso fragoroso e lunghissimo: è il “grazie” di una sala enorme ma pienissima, riconoscente del suo lavoro.

Ore 00:30. Si va a letto. Ma prima si sfoglia il programma del giorno successivo, perché ogni giorno è meglio di quello precedente.

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Festival del giornalismo di Perugia, la terza giornata vissuta sui social http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/festival-del-giornalismo-di-perugia-la-terza-giornata-vissuta-sui-social/71019/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/festival-del-giornalismo-di-perugia-la-terza-giornata-vissuta-sui-social/71019/#comments Sat, 18 Apr 2015 09:09:17 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71019 [continua a leggere]]]> È stato il giorno di Edward Snowden, che in collegamento via Skype dalla Russia ha parlato al pubblico del Festival del giornalismo di sorveglianza da parte dei governi e rischi per la privacy. Nello storify della terza giornata, in collaborazione con i quotidiani locali del gruppo Espresso, la cronaca e i contributi dai flussi social degli eventi più interessanti

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Quando lo scienziato fa il giornalista. Divulgazione e disintermediazione http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/quando-lo-scienziato-fa-il-giornalista-divulgazione-e-disintermediazione/70886/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/18/ducato-online/quando-lo-scienziato-fa-il-giornalista-divulgazione-e-disintermediazione/70886/#comments Sat, 18 Apr 2015 06:33:57 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70886 Massimo Russo, direttore di Wired Italia

Massimo Russo, direttore di Wired Italia

PERUGIA –  Acqua su Marte, l’ultimo pianeta extrasolare che potrebbe ospitare qualche forma di vita oppure il primo atterraggio di un robot su una cometa a milioni di chilometri di distanza dalla Terra. Breaking news da “prima pagina”, anticipate dai titoli sui siti della Nasa o dell’Esa e dai tweet degli stessi ‘protagonisti’ sui social network, come il robottino Philae, la sonda Rosetta o il rover Curiosity. Oggi la scrittura di chi fa scienza si è appropriata di un taglio giornalistico. Sono gli scienziati in prima persona a scrivere su siti internet articoli divulgativi spesso molto chiari e di grande efficacia comunicativa. Inoltre questi siti spesso sono delle vere e proprie testate registrate. Ma la figura del giornalista così rischia davvero di diventare sempre meno incisiva su questi temi?

“Anche le grandi aziende ormai sono in grado di cortocircuitare i meccanismi tradizionali delle testate attraverso i contenuti dei loro siti internet” ha detto Massimo Russo, direttore della rivista Wired Italia, che ieri al teatro Morlacchi ha partecipato a uno dei panel più attesi del festival del giornalismo internazionale , Le vie dell’innovazione tra scienza cultura e impresa. Insieme al giornalista: Alessandro Baricco, romanziere e fondatore della scuola di scrittura Holden, Diego Piacentini di Amazon, e Andrea Accomazzo, responsabile delle operazioni della missione Rosetta dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea.

“Penso che sia indispensabile che questi due canali divulgativi lavorino in parallelo – ha detto Accomazzo – l’uno non esclude l’altro”. Secondo lo scienziato non è indispensabile che a scrivere temi scientifici siano giornalisti specializzati. “Mi è capitato di rilasciare un’intervista con un giornalista che non era molto ferrato nel campo scientifico, eppure ha pubblicato un articolo bellissimo che aveva in sé sia aspetti tecnici che aspetti emozionali”. Il coinvolgimento emotivo è uno dei punti fondamentali di questo nuovo modo di divulgare informazioni scientifiche e per questo sono indispensabili i social network. Questi nuovi mezzi di comunicazione creano un contatto diretto con il lettore; proprio per questo sono stati creati account Facebook per la sonda spaziale Rosetta e per Philae che comunicano anche tra di loro, creando situazioni spesso ironiche che coinvolgono i lettori.

Secondo Russo “gli organismi scientifici come l’ INAF e l’ ESA hanno siti fatti molto bene. Inoltre hanno anche una forte presenza sui social network”. Anche Russo ha tenuto a sottolineare l’importanza dell’effetto che si crea attraverso questi mezzi. Grazie a questi canali si crea “un’informazione emozionante che crea una storia vera e propria, cosa che non si riesce a fare con l’informazione fredda e secca con cui si trattano i temi scientifici”. Aggiunge: “Secondo me tutto questo è molto positivo, soprattutto in Italia”. Sostiene infatti che nel nostro Paese ci sono difficoltà a raccontare fatti scientifici soprattutto da parte dei media tradizionali. “La scienza arriva ai media tradizionali solo in momenti particolari e soprattutto in casi drammatici, come quello di Stamina. Ci sono però dei giacimenti di sapere scientifico che hanno poca eco; basti pensare a Samantha Cristoforetti che ormai è diventata quasi una ‘pop-star’, eppure noi di tutte le ricerche che fa l’Esa non sappiamo molto”.

Inoltre, secondo Russo, bisogna considerare che quando questi contenuti gravitano nei media tradizionali vengono a volte realizzati servizi caricaturali, come nel caso del Tg4 in occasione dell’accometaggio di Rosetta. “Questo – sottolinea – spesso è un lavoro di vera e propria disinformazione, basti pensare a trasmissioni come le Iene che rispetto a temi come Stamina fanno la glorificazione di personaggi come Vannoni senza andare a vedere se effettivamente ci siano riscontri da parte della comunità scientifica sulla efficacia del metodo. Questo non fa altro che allontanare dalla scienza da una parte, e dall’altra parte non dà modo alle notizie vere di emergere”.

Quindi se gli istituti scientifici cominciano a comunicare e lo fanno in maniera efficace e diretta va bene così. “È bene mantenere entrambe le strade perché è finita l’epoca del racconto giornalistico in senso stretto; ci sono nuovi metodi e tutto ciò fa bene. Quel tempo è finito, la realtà contemporanea è totalmente diversa, è tempo di muoversi. Il giornalismo deve essere contemporaneo”.


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Diario del festival internazionale del giornalismo: la giornata dei volontari del press office http://ifg.uniurb.it/2015/04/17/ducato-online/diario-del-festival-internazionale-del-giornalismo-la-giornata-dei-volontari-del-press-office/70821/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/17/ducato-online/diario-del-festival-internazionale-del-giornalismo-la-giornata-dei-volontari-del-press-office/70821/#comments Fri, 17 Apr 2015 08:13:16 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70821 IL DIARIO DEI VOLONTARI Gli allievi dell'Ifg di Urbino tra lo staff dell'Ijf 2015 raccontano, giorno per giorno, il loro lavoro quotidiano dietro le quinte del festival. Oggi tocca all'ufficio stampa riportare la loro esperienza ]]> volunteerPERUGIA – Mentre gli altri volontari si danno appuntamento per cena con gli ‘avversari’ delle altre scuole di giornalismo d’Italia, noi dell’ufficio stampa siamo nella sala Wifi dell’Ostello della Gioventù a raccontare la nostra interminabile giornata. Oppure, mentre, gli altri volontari si alzano presto, noi del press office ci svegliamo con calma e, dopo un’abbondante colazione al Caffé Roma, ci dirigiamo al nostro campo base: l’Hotel Brufani.

Siamo in tutto 39: 31 italiani e 8 stranieri. Ad affidarci gli eventi da seguire ogni giorno è Federica Cesarini, responsabile dal 2010 dell’ufficio stampa del Festival internazionale del giornalismo di Perugia. Il nostro compito è quello di scrivere i comunicati e mandarli via mail a Federica, sarà lei, poi a diffonderli alla stampa nazionale e internazionale. Daniela è la più estroversa tra noi due, ha fatto amicizia con tutto il gruppo di lavoro (e non solo).

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1992: L’Italia di Tangentopoli

Dopo il consueto cappuccino e cornetto, in tarda mattinata, le nostre strade si dividono. É giovedì e oggi la giornata è impegnativa: due conferenze a testa negli stessi orari, ma in luoghi diversi. A mezzogiorno si fa sul serio: la prima conferenza da seguire è “Il cellulare come una redazione. Le tendenze dei contenuti mobile-first”, un incontro in inglese con il consulente multimediale Robb Montgomery che mostra l’evoluzione del giornalismo ‘dinamico’ con l’uso di uno smartphone e di una connessione wifi. Allo stesso orario un panel da seguire, un dibattito a più voci, al Teatro della Sapienza. L’appuntamento è con “1992: l’Italia di Tangentopoli“, ricco di ospiti: Goffredo Buccini de Il Corriere della Sera, Alessandro Fabbri, il creatore dell’omonima serie tv in onda su Sky, Bruno Manfellotto e Liana Milella cronista de La Repubblica. Moderatrice dell’incontro è Maria Latella di SkyTg24. 

Nel frattempo il cellulare non smette un attimo di squillare: tantissimi messaggi Whatsapp del gruppo PressOffice dove i nostri colleghi si organizzano per pranzare, partecipare agli eventi o semplicemente fare un giro in piazza. Per non parlare dei tweet inviati con l’hashtag ufficiale del festival #ijf15. Inutile dire che la batteria è perennemente scarica.

Cariche di borse e pc, lasciamo le sale degli incontri per ritornare al Brufani, sotto un sole cocente che regala a Perugia un assaggio di estate. E’ l’ora del pranzo, sono le 13 e all’infopoint del press office la busta arancione del nostro ‘pranzo al sacco’ ci aspetta. Il menu del giorno è: panino prosciutto crudo e formaggio, trancio di pizza margherita, un’arancia e una bottiglietta d’acqua. E per dolce. una bella ‘scorta’ quotidiana di kit-kat. Non si può ricominciare senza caffé, per questo andiamo verso la sala stampa del Festival dove ci aspetta l’amata macchina Nespresso.

perugia

Come fare buon giornalismo sullo sviluppo e cooperazione internazionale

Noi volontarie del press office ci separiamo ancora una volta: una va a seguire “Come fare buon giornalismo sullo sviluppo e sulla cooperazione internazionale” al Centro Servizi G. Alessi e l’altra prende posto nella Sala del Dottorato. Tema di questo ultimo incontro, intitolato Ebola: oltre la notizia, è il rapporto tra i media e il panico da contagio. il convegno è in inglese e le cuffie sono rotte, ma il buon umore non ci abbandona mai. A intervenire sono: Lawal Bakare, co-fondatore e CEO Ebola Alert, Sarah Boseley, giornalista The Guardian, Charlie Cooper, cronista per The Independent, Lou Del Bello di SciDev.Net, Geraldine O’Hara di Medici Senza Frontiere e Kate Thomas di Ebola Deeply. Conferenze terminate, ultima corsa verso il Brufani per scrivere i comunicati, anche se la connessione wifi è intasata da decine di giornalisti che affollano la sala stampa.

Il nostro lavoro da volontarie del press office per oggi è finito, ma non quello di croniste per il Ducato. Alla Scuola di giornalismo di Urbino non si finisce mai di scrivere. Da più di mezz’ora sono passate le nove, gli stomaci brontolano e la fame comincia a farsi sentire. Nella sala comune dell’ostello ci siamo solo noi, concentrate nel raccontare la nostra giornata.

Fra qualche ora sarà trascorsa anche la seconda giornata. Ad aspettarci saranno i nostri letti a castello e le altre due ragazze che dormono insieme a noi: Francesca, fotografa autodidatta e Alessandra, una delle responsabili del web magazine.

A domani, solito posto, ma non solita ora. La sveglia suonerà prima: Matt Cooke ci aspetta!

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Se le opinioni sovrastano i fatti: le vie del potere che uniscono Italia e Ungheria http://ifg.uniurb.it/2015/04/16/ducato-online/se-le-opinioni-sovrastano-i-fatti-le-vie-del-potere-che-uniscono-italia-e-ungheria/70787/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/16/ducato-online/se-le-opinioni-sovrastano-i-fatti-le-vie-del-potere-che-uniscono-italia-e-ungheria/70787/#comments Thu, 16 Apr 2015 17:46:32 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70787 Marco Bracconi, giornalista Repubblica.it

Marco Bracconi, giornalista Repubblica.it

PERUGIA – Italia e Ungheria così diverse ma così uguali. In entrambi i Paesi dilaga il giornalismo di opinione a discapito del racconto dei fatti. Così la libertà di stampa si comprime sotto i colpi del potere.

Di questo si è parlato al Festival del giornalismo di Perugia durante gli incontri dedicati al rapporto tra giornalismo e potere in Ungheria e Italia. Due realtà certo difficili da raffrontare: il governo di Budapest assomiglia più alla dittatura di una maggioranza parlamentare che a un Paese democratico. Lo dimostrano i continui richiami dell’Unione Europea per lesione dei diritti fondamentali e in particolare per la contrazione della libertà di stampa. La legge che disciplina l’informazione nel Paese è molto restrittiva e impone un ampio controllo dello Stato sui media. Un esempio su tutti: in caso di violazione di uno dei 175 articoli di cui è composta i giornalisti rischiano fino a 89.000 euro di multa.

I problemi italiani. Nel nostro Paese, dove la legge non è altrettanto severa, le questioni sono altre: “La libertà di espressione ha più condizionamenti”, spiega Marco Bracconi, giornalista di Repubblica.it e curatore del blog Politica pop, intervenuto durante la conferenza Leadership, nuovi media e opinione pubblica.

“Uno è dovuto agli interessi economici ed editoriali che influenzano il modo di svolgere la professione, l’altro è dato dalla semplificazione e dall’astrazione dei concetti che ci rende meno liberi di comprendere i fatti. Un deficit che diventa quasi più grave della pressione del potere”. Un giornalismo appiattito sullo scontro politico, che si occupa dei leader e non dei programmi che vengono portati avanti. L’Italia oggi si trova al 73° posto nella classifica sulla libertà di stampa di Reporter senza frontiere mentre l’Ungheria al 65°. Scettico sulle modalità con cui vengono stilate le classifiche, Bracconi non ha dubbi: “Piuttosto che in Ungheria, rimango volentieri dove sono”.

Gergo Saling

Gergo Saling, direttore di Direkt36

La ‘dittatura’ ungherese. Non usa mezzi termini per descrivere la situazione nel suo Paese Gergo Saling, direttore di Direkt36, centro non-profit per la sperimentazione del giornalismo investigativo in Ungheria: “Gli ungheresi odiano i giornalisti – dice durante l’incontro Covering the supermajority – e penso abbiano le loro buone ragioni: la stampa non si occupa dei problemi delle persone e mischia le opinioni con i fatti”.

La situazione è peggiorata a partire dal 2010, quando Viktor Orban, leader del partito dell’Unione civica ungherese, di centro-destra, è salito al governo con una maggioranza schiacciante. “I media mainstream si sono arresi – dice Saling – diventando l’eco del potere. Ogni opposizione è stata prontamente silenziata”. Ne è un esempio il caso che ha coinvolto Saling in prima persona. Fino a giugno 2014 è stato direttore di Origo.hu, il principale sito ungherese d’informazione, curando molti progetti investigativi. Tra questi l’inchiesta sui rimborsi per le spese di viaggio di Janos Lazar, capo di gabinetto del primo ministro e suo probabile successore al governo. Due settimane dopo Saling ha lasciato la redazione a causa delle forti pressioni politiche.

L’esperienza indipendente. “A quel punto – continua Saling – ho deciso di mettermi in proprio è creare Direkt36. Per avviare il progetto ci siamo affidati principalmente alla Rete. In quattro mesi abbiamo raccolto più di 30.000 euro attraverso il crowdfunding. In questo modo abbiamo sviluppato molte nuove inchieste, continuando a mettere in evidenza la corruzione e il conflitto d’interesse degli uomini al potere”. Saling cita il caso dell’inchiesta sui fondi pubblici per le imprese di Istvàn Tiborcz, marito della figlia di Orban: “Sono già arrivate le prime intimidazioni, ma presto usciremo con nuove rivelazioni sul caso. La nostra forza sta anche nella comunità che ci supporta”.

In pochi mesi, infatti, il progetto di Saling ha avuto risultati eccezionali, riavvicinando i lettori all’informazione. “Per fare giornalismo seriamente bisogna tornare ai fatti e usare i dati, che, grazie alle norme sulla trasparenza, diventeranno sempre più accessibili”, sottolinea Saling. Il direttore poi commenta la situazione italiana: “Non conosco bene i media italiani ma da quello che ho potuto capire credo che il problema sia la preponderanza del giornalismo d’opinione”.

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Tante spese e zero garanzie: la vita dei freelance italiani http://ifg.uniurb.it/2015/04/16/ducato-online/tante-spese-e-zero-garanzie-la-vita-dei-freelance-italiani/70795/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/16/ducato-online/tante-spese-e-zero-garanzie-la-vita-dei-freelance-italiani/70795/#comments Thu, 16 Apr 2015 17:23:48 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=70795 Il giornalista freelance Alessandro Di Maio

Il giornalista freelance Alessandro Di Maio

PERUGIA – Duecento euro per prendere un taxi, quasi 2mila per autista, traduttore e altri servizi, di fronte alla prospettiva di guadagnarne 50. Essere un giornalista freelance oggi non è facile, ma spesso è una scelta obbligata. Molte testate italiane sono in crisi, non offrono contratti e non finanziano reportage all’estero. Non resta che raccontare storie in modo indipendente e poi venderle ai media.

E’ quello che fanno Gabriele Micalizzi, fotografo milanese, e Alessandro Di Maio, giornalista freelance siciliano che hanno partecipato al convegno “Vita da freelance” il 16 aprile al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.

“I freelance sono lasciati da soli – spiega Micalizzi fotoreporter di guerra – con i media italiani funziona così: prima realizzi le foto e poi le vendi, alcuni giornali esteri ti fanno firmare un contratto prima e a volte anticipano dei soldi”. Ma anche i media esteri non vogliono prendersi responsabilità: “A volte decidono di non pubblicare fotografie da zone di guerra come la Siria, per non incoraggiare giornalisti a partire e rischiare. Anche questo è sbagliato”.

Ma i giornalisti freelance sono poco tutelati anche dal punto di vista giuridico: “Dobbiamo fare molta attenzione perché siamo direttamente responsabili di ciò che scriviamo – spiega Alessandro – Quando ho iniziato in Sicilia mi occupavo di cronaca locale e avevo paura di essere denunciato per qualche motivo, anche perché scrivevo di mafia. Ho sempre cercato di essere il più neutrale possibile, di non dare giudizi, cosa che spesso accade”. E riguardo la copertura assicurativa, le cose non vanno meglio: “Essere assicurati è fondamentale – conclude il giornalista – tre anni fa a Gerusalemme ho fatto una copertura sanitaria privata che dovevo rinnovare ogni tre mesi. Sfortunatamente ho avuto una colica renale proprio nel periodo del rinnovo, e il costo della notte in ospedale è stato enorme”.

Clicca qui per vedere il video incorporato.

Alessandro Di Maio, che da Gerusalemme collabora con Libero e Il Fatto Quotidiano, racconta che “i problemi del freelance sono tre: la grande competizione, lo sfruttamento dei giornalisti da parte delle testate e la crisi mediatica italiana.

Io amo il giornalismo, ma in questa maniera è veramente difficile”. Alessandro ha iniziato giovanissimo a collaborare in Sicilia con alcune testate locali, occupandosi di cronaca e di mafia. “Non mi pagavano, così mi sono trasferito a Gerusalemme, mi sono iscritto all’università e ho iniziato a collaborare con un giornale Canadese. Con i media italiani all’inizio è stato difficile trovare collaborazioni, poi c’è stata la Primavera araba, ed è aumentato l’interesse per le questioni mediorientali.”

Per Gabriele, che lavora per il New York Times e il Corriere della Sera, il lavoro del giornalista freelance deve essere una passione: “E’ difficile, ma nessuno ci obbliga a farlo, si corrono dei rischi, bisogna meritarselo. E’ vero, c’è tanta competizione, ma così emergono i lavori di qualità”. Gabriele ha iniziato a fare il freelance per caso, ma poi la sua è diventata una scelta: “Non lavorerei mai per un agenzia di stampa, devi produrre foto standard, coprire gli eventi che ti dicono loro, non hai libertà. A me piace dare un taglio d’autore e una prospettiva personale alle mie foto e questo è quello che me le fa vendere ai giornali”.

Clicca qui per vedere il video incorporato.

Alessandro racconta che facendo il freelance conosce tanta gente nuova, viaggia, impara le lingue. “Ma è una vita che si può fare solo per un periodo, per come funziona il giornalismo in Italia”. Nel nostro paese i freelance vengono pagati poco: “I giornali esteri pagano dieci volte di più. Ma non è solo una questione economica. Le nostre testate non forniscono press card, non ti seguono nel lavoro sul campo, non offrono garanzie. I giornali chiedono articoli di cronaca, non storie o reportage. Sono pubblicista, lavoro come analista politico dei giornali del mondo arabo per una azianda privata e quando ho tempo libero e i soldi necessari parto e mi dedico a raccontare storie”.

La passione di chi fa il giornalista di guerra è tanta ma ci sono testate che se ne approfittano. “Devi continuamente negoziare- racconta Gabriele- ma è importante non svendersi mai, proporre un prodotto di qualità e pretendere di essere pagati in modo giusto. Io mi dico: il mio è ‘made in Italy’, quindi se un cliente lo vuole, deve pagare”. Ci sono però tante testate che promettono di pagare e poi dopo qualche anno falliscono, per poi rimettersi sul mercato con lo stesso nome. Tutte le collaborazioni effettuate nel periodo precedente la bancarotta decadono. “A me questo scherzetto l’ha fatto una rivista scientifica- racconta Alessandro- ha preso alcune mie foto ma al momento del pagamento non si sono più fatti vivi, salvo poi scoprire che era fallita e rinata magicamente.”

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