il Ducato » precariato http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » precariato http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Articolo 36, un nuovo giornale online a tutela del precariato in Italia http://ifg.uniurb.it/2013/04/27/ducato-online/articolo-36-un-nuovo-giornale-online-a-tutela-del-precariato-in-italia/44959/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/27/ducato-online/articolo-36-un-nuovo-giornale-online-a-tutela-del-precariato-in-italia/44959/#comments Sat, 27 Apr 2013 02:29:18 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44959 Articolo 36, un occhio vigile sul mondo del precariato. Che per pagare i suoi collaboratori chiede un 'dazio' ai lettori LEGGI Commissione per l'equo compenso, manca ancora il delegato degli editori]]> PERUGIA – “Articolo 36 nasce con un’ambizione: mettere il dito nella piaga della cancrena del mondo del lavoro”: con queste parole la giornalista Eleonora Voltolina ha presentato al Festival internazionale del giornalismo di Perugia – nell’ambito del panel “I precari: gratis non è lavoro” – la sua ultima creatura: Articolo 36, una testata giornalistica online che tratterà il tema del lavoro equamente e proporzionalmente retribuito.

“L’idea per questa nuova testata – ha raccontato la giornalista – è venuta fuori un anno fa durante un incontro al Quirinale. Dovevo preparare un discorso da pronunciare davanti al Capo dello Stato sul tema dei giovani senza futuro. Così ho pensato a un articolo della Costituzione che viene costantemente calpestato. Il giorno dopo abbiamo registrato il sito”.

La Voltolina non è nuova a questo tipo di esperienze: già nel 2009 aveva fondato un’altra testata giornalistica online indipendente, La repubblica degli stagisti. Questa volta, però, il progetto di Articolo 36 è più ad ampio raggio e partendo dalla domanda “questo lavoro ti permette di mantenerti?” si propone di analizzare condizioni lavorative inique.

“Il lavoro è un mezzo per rendersi economicamente indipendenti – ha affermato la Voltolina – non per una pura realizzazione personale o per semplice piacere. Nel momento in cui spezziamo il legame tra lavoro e retribuzione diventiamo tutti volontari, innescando problematiche macroeconomiche”.

Il sito non si occuperà di affrontare la questione soltanto guardando allo sfruttamento dei lavoratori ma andrà a ricercare le difficoltà delle imprese, ostacolate nella loro buona condotta dalla burocrazia e dalla lentezza dello Stato italiano. “L’Irap per esempio – ha spiegato la Voltolina – è una tassa che penalizza chi assume mentre all’opposto privilegia chi ha collaboratori con partita Iva. Ecco noi vogliamo proprio stressare il concetto espresso dall’articolo 36 della nostra Costituzione”. Articolo che recita:

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

Anche Articolo 36 però è soggetto alle logiche di mercato, alla mancanza di fondi consistenti derivanti dalla pubblicità – sempre meno fruttuosa in Rete – e alla crisi economica del momento. “Non voglio predicare bene e razzolare male. L’editore ha dei costi – ha spiegato la fondatrice del sito – e deve avere degli introiti. E’ importante che passi il messaggio che l’informazione online non deve essere gratuita. Chiederò ai miei lettori di pagare un dazio guadagnando in termini di qualità dell’informazione”.

Un progetto ambizioso, una nuova scommessa sia per il mondo dell’informazione che per il mondo del lavoro. “Siamo anticiclici – ha detto Eleonora Voltolina – in un momento di crisi come questo noi investiamo in un cambiamento di mentalità”.

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Per un pugno di euro: quando freelance vuol dire sfruttato http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/per-un-pugno-di-euro-quando-freelance-vuol-dire-sfruttato/44703/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/25/ducato-online/per-un-pugno-di-euro-quando-freelance-vuol-dire-sfruttato/44703/#comments Thu, 25 Apr 2013 00:26:25 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44703

Ernest Hemingway

C’era una volta il freelance. Si potrebbe cominciare il pezzo così ma già al secondo periodo bisognerebbe cambiare soggetto perché pare che di freelance in Italia non ce ne siano quasi più. Almeno non di quelli che potremmo definire puri.

Se freelance è il giornalista libero professionista che scova le notizie, le confeziona e le vende a più committenti traendone una commisurata e consistente retribuzione, allora possiamo dire con certezza che l’Italia non è un paese per freelance.

“Il freelance ormai non è altro che un lavoratore subordinato senza nessuna garanzia. Altro che libero professionista”. Valeria Calicchio sa di cosa parla. Lei è una giornalista che ha frequentato la scuola di giornalismo di Salerno: stage in diverse testate, collaborazioni con un free press romano, ufficio stampa per una società della pubblica amministrazione della capitale. Ma anche disoccupazione, rabbia e impegno per la tutela dei giornalisti precari con il gruppo romano di Errori di Stampa.

“Prima – spiega la Calicchio – il giornalista freelance era una specie di privilegiato: realizzava dei pezzi, li vendeva a cifre anche molto alte e viveva in maniera degna. Adesso freelance indica una categoria di persone che sono perlopiù sottopagate; collaboratori che vengono chiamati così per nobilitare quella che in realtà è una precarizzazione del lavoro. Si parla quindi – continua la giornalista – di persone che collaborano con le testate senza contratti, senza lettere di ingaggio, senza nessuna garanzia che però di fatto svolgono un lavoro subordinato, ovvero l’esatto contrario del lavoro di libero professionista che dovrebbe fare il freelance. La categoria del freelance in Italia non è molto chiara, non rispetta i canoni che dovrebbero esserci e che ci sono anche all’estero. I freelance puri sono pochissimi”.

L’INTERVISTA “Altro che libertà, siamo solo collaboratori sottopagati”

DI LIBERO C’E’ SOLO IL FREE DEL NOME
“La scelta di essere indipendenti e autonomi  – afferma Giovanni Rossi, presidente della Fnsi, Federazione nazionale stampa italiana – è patrimonio di pochissimi colleghi, ammesso che ce ne siano. Ci sono giornalisti che aspirano a rimanere senza vincoli ma non di certo tra le ultime generazioni: per questi lo stato di lavoratore indipendente è obbligato. Non si trova lavoro all’interno delle redazioni, perciò se si vuole fare questo lavoro non c’è alternativa: lo si fa da autonomo o da falso autonomo”.

I giornalisti freelance nella Penisola sono tanti e farne una stima puntuale è quasi impossibile: giovani o meno giovani obbligati all’indipendenza, sottopagati – o non pagati affatto – che vedono ogni giorno svilita la propria professione e la propria dignità lavorativa.

“I freelance in genere – continua Giovanni Rossi – hanno diversi committenti. Se un giornalista lavora tutto il giorno per un solo committente, e magari lo fa pure da casa, in realtà è di fatto un lavoratore dipendente. E questo è il caso anche di giornalisti precari in nero che affollano le redazioni”.

Una falla nel sistema evidenziata anche da Stefano Tesi, giornalista che ha lanciato nel suo blog un censimento di giornalisti freelance italiani: “Sui 2000 stimati hanno risposto solo in 57. E perché? Perché molti non sanno neanche cosa voglia dire freelance o, se lo sanno, scoprono di non esserlo. Mi pare – continua Tesi – che ci sia la volontà di non fare emergere l’esistenza di categorie diverse di giornalisti da quelle codificate e riconosciute finora”.

Lavoro autonomo e lavoro precario dovrebbero essere sue cose distinte”, afferma Giovanni Rossi, che esprime la necessità di convocare gli stati generali dell’informazione precaria per conoscere in profondità il fenomeno, monitorarlo e normarlo nel modo più giusto possibile. “Abbiamo chiesto alla Giunta esecutiva federale di convocare gli stati generali o il 26 e 27 giugno o l’11 e il 12 luglio. Abbiamo raccolto diverse sottoscrizioni – continua Rossi – ma adesso sta alla Giunta deliberare”.

Fabrizio Morviducci, giornalista toscano dell’Osservatorio sul precariato dell’Ordine che ha sottoscritto l’appello della Fnsi, ribadisce quest’anomalia tutta italiana:  “I freelance sono una fetta del precariato. Sono persone che svolgono lavoro a tempo pieno ma in condizioni non dignitose. Fino a quando ci saranno persone che pensano di poter scrivere senza remunerazione solo in cambio di visibilità, non andremo molto lontano. Lo slogan del coordinamento dei giornalisti precari pugliesi è sacrosanto: l’informazione non è un hobby”.

SCRIVERE PER LA GLORIA
La visibilità è il panem et circensem che gli editori elargiscono ai giornalisti precari adducendo la scusa – in buona parte fondata – della crisi che sta investendo ormai da anni il settore. Ma molti non ci stanno più e denunciano con i mezzi più disparati. E’ di pochi giorni fa la notizia di un giornalista americano Nate Thayer che ha pubblicato online la conversazione con Olga Khazan, editor de The Atlantic che gli aveva chiesto di inserire un suo pezzo sui rapporti tra basket e diplomazia con la Corea del Nord a titolo gratuito.

La lettera ricevuta dal The Atlantic e resa pubblica da Thayer: “Grazie per la risposta. Per il fine settimana? 1200 parole? Purtroppo non possiamo pagarti, ma raggiungiamo 13 milioni di lettori al mese. Capirei se questo accordo non ti interessasse, ma volevo sapere se eri interessato. Grazie per il tuo tempo, bellissimo articolo!

Svilimento della professione che vola anche oltreoceano e arriva in Italia. Gabriele Barbati, giornalista freelance corrispondente dalla Striscia di Gaza che ha scritto a Franco Abruzzo per lamentare la scarsa considerazione e le remunerazioni inique o inesistenti da parte dei media italiani.

LA RETE NON E’ UN POSTO FREELANCE-FRIENDLY
A mettercisi di mezzo è poi anche la Rete che lungi dall’essere risorsa, spesso si trasforma in vetrina abbagliante e luogo di sfruttamento dei giornalisti appassionati che esercitano la professione.

Il web è frontiera – afferma Morviducci – è il futuro ma al momento è solo far west, non ci sono margini definiti. La gente non è incline a pagare contenuti in rete. Proprio per questo è lì che assistiamo a forme di precariato ancora più striscianti rispetto alle testate tradizionali”.

Una delle grandi pecche del giornalismo online, sarebbe secondo Rossi, la mancanza di un giornalismo ‘industriale’, ovvero “un giornalismo professionista che consente a chi lo esercita di trarre un reddito sufficiente per la vita sua e della sua famiglia”.

Secondo Stefano Corradino, presidente dell’associazione Articolo 21, “se effettivamente nel 2043 l’ultima copia del New York Times verrà stampata, decretando la fine del giornale cartaceo, la situazione è destinata a peggiorare progressivamente. Già oggi – continua Corradino – le testate giornalistiche locali esercitano vere e proprie forme di caporalato, marciando sulla passione connaturata a questo mestiere”.

TUTELE DI UNA CATEGORIA “INDIVIDUALISTICA”
Di fronte a una situazione caotica e di indiscriminato precariato e svilimento della professione, ci si chiede quali tutele abbiano i freelance. “Sulla carta ne avrebbero anche – afferma Rossi – ma se prendiamo il caso della recente riforma del lavoro introdotta dal Ministro Fornero ci accorgiamo che non è così. Questa infatti prevede – continua Rossi – che le partite iva il cui reddito deriva per l’85% da un solo committente siano dichiarate false e che il lavoratore venga assunto. Questo chiaramente vale per tutti meno che per i giornalisti”.

Eppure sembra che ci siano frizioni anche all’interno della stessa categoria: “Il sindacato deve assolvere alla sua missione – spiega Morviducci – ovvero garantire diritti a chi non ne ha. Attualmente noi abbiamo una fetta minoritaria di persone tutelate dal sindacato a fronte di una massa critica di colleghi che stanno fuori, i quali non solo non hanno diritti ma non hanno nemmeno la più lontana ipotesi di averne nel medio termine”.

“Articolo 21 lavora proprio per costruire anche una sorta di solidarietà mediatica da parte dei colleghi – dice Corradino – nei confronti dei giornalisti precari che si trovano spesso isolati all’interno delle redazioni e che sono più ricattabili e oggetto di intimidazioni e querele”.

Passi in avanti sono stati fatti e anche di una certa importanza. La Carta deontologica di Firenze, che regolamenta lo sfruttamento del precariato giornalistico e l’approvazione della legge sull’equo compenso sono due punte di una battaglia combattuta da tanti per riconoscere dignità a una professione delegittimata a più livelli e da più attori del vivere civile.

LEGGI Equo compenso, è tutto fermo: manca ancora il delegato Fieg

“Con la Carta di Firenze abbiamo voluto fare passare il messaggio – spiega Morviducci – che sfruttare i colleghi è disdicevole e sanzionabile a livello deontologico”. Ma anche queste conquiste rischiano di rimanere vane se non si monitora lo stato attuale delle diverse professionalità.

“L’equo compenso non è una soluzione al problema dei lavoratori in nero – afferma Rossi – né di quello dei precari. Vale per i freelance, ma se uno lavora a tempo pieno per una redazione non è un freelance e va contrattualizzato”.

Per cambiare il sistema dall’interno e richiamare l’attenzione sul tema del precariato, poi, alcuni giornalisti precari hanno deciso di candidarsi alle prossime elezioni dell’Ordine. Ciro Pellegrino è uno di questi: “La candidatura è nata da un’esigenza, ovvero perché chi si era candidato a governare l’Ordine regionale, pur avendo preso in considerazione il discorso dei precari non aveva deciso ancora di abbracciare in maniera forte la causa”.

Nelle intenzioni di Pellegrino c’è quella di porre in agenda le tematiche scottanti che riguardano la categoria a prescindere dall’elezione o meno. Per questo insieme al Coordinamento dei giornalisti precari campani hanno scelto di proporre dei video di campagna elettorale – uno dei quali presentato al Festival internazionale del giornalismo di Perugia – per suscitare la curiosità di un pubblico sempre più vasto.

IDEE CHE CAMBIANO LA PROFESSIONE
Esistono poi delle realtà di reazione alla crisi dilagante che fanno ben sperare per il futuro e che danno il polso della passione che muove questa professione. E’ il caso di esperienze come quella di Next New Media, service giornalistico multimediale che offre servizi giornalistici per qualsiasi piattaforma.

Andrea Battistuzzi, uno dei fondatori, racconta: “Ho fatto diverse esperienze di precariato giornalistico fino ad arrivare alla constatazione che il mercato del lavoro italiano per questo settore non va. Così abbiamo deciso di mettere insieme un network di professionisti dell’informazione che realizzassero contenuti multimediali, rispondendo così alla necessità di molte testate giornalistiche che vogliono essere presenti sul web ma non ne hanno i mezzi o le risorse”.

Come qualsiasi freelance, sfruttando i contatti a disposizione, la redazione di Next New Media è riuscita a imporsi nel mercato e a prendere diversi appalti per la gestione di intere testate o di canali tematici di queste. “Abbiamo reso più stabile la professione del freelance – spiega Battistuzzi – l’abbiamo industrializzato, creando una struttura imprenditoriale in quello che il freelance in genere fa autonomamente”.

Next New Media non è l’unica realtà a porsi in questo modo nel mercato dell’informazione: Spazi Inclusi e Fps Media per l’Italia applicano la stessa mentalità imprenditoriale alla professione, seppur declinandola in maniera diversa.

Ad esempio, Fps Media, costituita da un gruppo di professionisti provenienti dalla scuola di giornalismo Carlo De Martino di Milano, realizza inchieste e servizi multimediali messi a disposizione delle grandi testate giornalistiche italiane.

Anche Spazi inclusi, uno studio associato torinese che si occupa di fornire contenuti multimediali per testate giornalistiche oltre a creare progetti editoriali – dai contenuti alla grafica – per enti e aziende, nasce nel 2011 come reazione a un mercato del lavoro che sbarra le porte ai freelance. “In Italia freelance non vuol dire libero professionista, al massimo sfigato. Essere assunti – dice Clara Attene, una delle socie di Spazi Inclusi – è molto più che un terno al lotto. Così visto che collaboravo per il Sole 24 Ore, dividendo fisicamente la scrivania con una collega oltre che condividendo i lavori, abbiamo deciso di metterci in proprio e continuare a fare quello che avevamo sempre fatto in un modo diverso: più stimolante, più libero e flessibile”.

Sfruttando i contatti raccolti durante l’attività di freelance e partecipando a eventi-vetrina come la Social media week, lentamente Spazi Inclusi ha cominciato a farsi conoscere. “Lavorare con le redazioni implica una pratica di educazione reciproca – continua Attene – non è facile estendere il rapporto di fiducia personale costruito negli anni al resto del gruppo. Ma è proprio questo il punto di forza di Spazi Inclusi: il freelance da solo magari riesce a prendere un certo numero di lavori e con quelli non è detto riesca a vivere. Lavorando all’interno di un gruppo ci si organizza e dove non arriva uno va l’altro garantendo sempre la massima professionalità. Io mi alzo la mattina e sono contenta di lavorare in un posto che ho contribuito a creare. Non so se sarebbe così lavorando in una redazione”.

All’estero invece è di nuovo conio Newsmodo, una piattaforma web fondata dal giornalista australiano Rakhal Ebeli, che collega i media attraverso una rete mondiale a professionisti dell’informazione. Una piattaforma di committenza e vendita, secondo le regole della deontologia che si sta espandendo in Europa, America, Medio Oriente e Asia.

In uno scenario simile verrebbe voglia di pensare che, come sottolineava ieri il Wall Street Journal, fare il giornalista sia il mestiere peggiore del mondo. “Terzani diceva di voler fare il giornalista – racconta Morviducci – perché gli piaceva l’idea di avere un posto in prima fila sui fatti del mondo. A mio avviso, vale ancora la pena fare questo lavoro: è un esercizio di intelligenza e permette di essere meno indottrinabile di tanti altri cittadini”.

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#Sfigati, monotoni e mammoni http://ifg.uniurb.it/2012/03/22/ducato-online/sfigati-monotoni-e-mammoni/29270/ http://ifg.uniurb.it/2012/03/22/ducato-online/sfigati-monotoni-e-mammoni/29270/#comments Thu, 22 Mar 2012 09:38:39 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=29270 Al via il "Talk in progress": #reportersottozero]]> “Diciamo la verità, che monotonia un posto fisso tutta la vita”. Le parole di Mario Monti hanno scatenato una tempesta sul web. E che dire del viceministro al Lavoro Michel Martone che ha definito “sfigato” chi non si laurea a 28 anni? Insomma, qualcuno che c’è rimasto male c’è. Se ne parla nella seconda delle undici puntate di “talk in progress”, il nuovo spazio del Ducato on line dedicato al web talk. Realizzate dalla nostra redazione in collaborazione con Altratv,  sono tutte dedicate al mondo del web. Partecipate al dibattito su Twitter digitando #sfigatimonotoniemammoni

Clicca qui per vedere il video incorporato.

A cura di Nadia Ferrigo e Maddalena Oculi

Al via il “Talk in progress”, parlano i #reportersottozero

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Giornalisti italiani “vecchi e poveri” i dati dello studio di Lsdi http://ifg.uniurb.it/2012/01/15/ducato-online/media-ducato-online/non-ce-solo-la-casta-giornalisti-italiani-vecchi-e-poveri-lo-studio-lsdi/15836/ http://ifg.uniurb.it/2012/01/15/ducato-online/media-ducato-online/non-ce-solo-la-casta-giornalisti-italiani-vecchi-e-poveri-lo-studio-lsdi/15836/#comments Sun, 15 Jan 2012 21:07:56 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=15836 Il giornalismo è vecchio, povero e maschio nelle posizioni più fortunate. Questo è il quadro poco rassicurante uscito dal report di Pino Rea, giornalista impegnato nell’esperienza di Lsdi, un sito di metagiornalismo: notizie per difendere la Libertà di Stampa e il Diritto all’Informazione (da questo la sigla).

La ricerca fotografa una situazione poco confortante: circa la metà degli iscritti all’Ordine è inattivo (49,6%) e tra quelli che riescono a collezionare contributi c’è un divario enorme tra chi esercita la professione come autonomo (freelance, co.co.co e co.co.pro) e chi è subordinato e quindi lavora con un contratto di quelli alla vecchia maniera, poche sigle, due possibilità: tempo determinato o indeterminato.

PANORAMICA GENERALE. I dati si riferiscono al 2010, anno in cui gli iscritti all’Ordine dei giornalisti superano quota 110.000. In Francia la popolazione giornalistica è un terzo (37.415). Di questi 110.000 la maggior parte sono pubblicisti (70,7%), solo l’1,9% praticanti e il restante 27,4% professionisti. I praticanti subiscono rispetto al 2009 un impressionante calo del 31%, mentre professionisti e pubblicisti crescono di pari passo: +3,3% per i primi, +2,1% per i secondi. Per assottigliare la naturale differenza che sempre si produce tra la realtà e la sua rappresentazione, è però più utile fare qualche conto sulla base dei giornalisti attivi, e non di tutti gli iscritti, tenendo in considerazione il ruolo giocato da autonomi e subordinati. La maggior parte dei giornalisti che svolge la professione in maniera effettivamente visibile è professionista e subordinata, seguono i pubblicisti autonomi e quelli subordinati, mentre la percentuale di professionisti che sceglie di non essere inquadrata da un contratto è veramente poca:

REDDITO: Il paragone con i cugini d’oltralpe aiuta anche a capire il progressivo impoverimento della categoria italiana. In Francia per ottenere la carte de presse bisogna percepire almeno la metà del salario minimo (lo Smic, che quest’anno è di 1073€ al mese). Se dovessimo avere una regola simile in Italia sono 16.000 quelli che non ce la farebbero. Infatti 6 giornalisti su 10 percepiscono un reddito inferiore ai 5.000 euro lordi annui. Ad avere redditi così bassi sono il 62% degli autonomi (che sono il 55% dei giornalisti attivi). I subordinati se la passano meglio: scende la percentuale di chi è nella fascia più bassa di reddito e il 66,6% denuncia più di 30.000 € annui. Ad aumentare, solo numericamente, sono però gli autonomi: +7,7% contro il 3,85% dei subordinati. Questa congiuntura porta all’impoverimento della professione. Secondo Pino Rea, l’aumento degli autonomi è un ovvio segnale della crisi: “Gli editori preferiscono non assumere e affidarsi a qualcuno di esterno. E’ necessario scardinare questo sistema” ed uno dei metodi che suggerisce è quello dell’equo canone che porterebbe a disincentivare l’uso di freelance: “Bisogna portare l’editore a ritenere conveniente assumere un giornalista”. E a chi in una situazione tale avrebbe paura dell’effetto boomerang (se il giornalista costa di più non verrà pagato di più, verrà semplicemente non pagato) Rea dà una semplice risposta, le sovvenzioni pubbliche “perché il mercato è un parametro giusto per le testate commerciali, ma l’informazione intesa come servizio pubblico ha bisogno di sovvenzioni”.

DONNE: Boom di presenze femminili, ma solo tra le giornaliste autonome, a confermare che nel giornalismo la cravatta è ancora più apprezzata della gonna. Le autonome crescono del 190% rispetto al 2002, mentre tra i subordinati la percentuale è nettamente inferiore: solo il 6% in 10 anni, dal 27% nel 2000 al 33% nel 2010. Il confronto con il 2009 ci fa ben sperare in entrambi i casi, ma non troppo: siamo infatti in presenza di un incremento, ma lievissimo: dal 42.1% al 42.4% nel caso delle autonome, dal 38.7% al 39% in quello delle subordinate.

PENNE VECCHIE: Rimanendo all’interno delle categorie deboli, passiamo dal gentil sesso a chi non è proprio più giovanissimo per affrontare l’ultimo dato poco incoraggiante: il progressivo invecchiamento della professione. Il 25% dei giornalisti autonomi ha più di 50 anni ed è un dato destinato a crescere visto il blocco del turn over: dalle redazioni si esce, ma non si entra e così il bianco è destinato a diventare il colore dominante. Le cose non cambiano molto se si passa a considerare gli autonomi, dove gli over cinquanta rappresentano il 16,7% con una crescita relativa soprattutto agli ultrasessantenni che conquistano un punto percentuale in più rispetto all’anno prima attestandosi al 7,4%.

Una volta finita la battaglia quotidiana con i colleghi non tutti possono godersi il meritato relax: i dati sulle pensioni raccontano di 15.000 persone percepiscono meno di 500€ lordi all’anno.

Lo studio completo si può trovare sul sito di Lsdi.







 

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Giornata economia: “Neolaureati grosso costo, periodo di prova necessario” http://ifg.uniurb.it/2011/05/04/ducato-notizie-informazione/giornata-economia-neolaureati-grosso-costo-periodo-di-prova-necessario/8420/ http://ifg.uniurb.it/2011/05/04/ducato-notizie-informazione/giornata-economia-neolaureati-grosso-costo-periodo-di-prova-necessario/8420/#comments Wed, 04 May 2011 15:57:27 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=8420 [continua a leggere]]]> URBINO – “Dal punto di vista delle aziende, i neolaureati constano molto: a un neolaureato assunto la retribuzione corrisposta è in media di 21.500 euro lordi l’anno per il settore della meccanica, 24mila per il chimico-farmaceutico, 26mila per il bancario – spiega Paolo Citterio, presidente e fondatore del Gidp, gruppo intersettoriale dei direttori del personale che riunisce direttori del personale di aziende medio grandi, con 250 dipendenti in su, traccia nel corso della 9° giornata di economia – “ci vuole un certo tempo per scegliere la persona più adeguata, per questo serve un periodo di prova di almeno due mesi. Per l’azienda inoltre temporaneizzare il contratto è necessario perchè molte si basano sui dati dell’esportazione e sulle commesse a un anno/un anno e mezzo e quando le commesse terminano spesso terminano anche i contratti”.

I dati richiamati da Citterio:
– La maggior parte dei neolaureati viene assunta dall’azienda dopo 12 mesi di apprendistato.
– Il tempo necessario per scegliere è per il 38% delle aziende da uno a tre mesi, per il 39% è di meno di un mese.
– L’assesment, ovvero il colloquio preliminare, ha come scopo di mettere il luce le capacità più importanti in una azienda, cioè quelle relazionali, razionali e realizzative. Fanno la differenza la conoscenza di lingue straniere, la motivazione personale e il conseguimento della laurea nei tempi preposti.
– E’ molto importante anche la disponibilità allo spostamento territoriale, che nel nostro paese rappresenta un enorme problema.
– Le assunzioni passano per il 23,6% dagli uffici di placement delle università.

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Giornata economia, università e lavoro: tirocini e contratti atipici spesso non formativi http://ifg.uniurb.it/2011/05/04/ducato-notizie-informazione/giornata-economia-universita-e-lavoro-tirocini-e-contratti-atipici-spesso-non-formativi/8406/ http://ifg.uniurb.it/2011/05/04/ducato-notizie-informazione/giornata-economia-universita-e-lavoro-tirocini-e-contratti-atipici-spesso-non-formativi/8406/#comments Wed, 04 May 2011 15:32:07 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=8406 [continua a leggere]]]> URBINO – Tirocinio e contratti atipici non sono sempre un’opportunità per studenti e neolaureati. Ne è convinto Paolo Pascucci, professore straordiario di diritto del lavoro alla facoltà di Giurisprudenza: “Lo strumento del tirocinio si presta ad abusi: viene visto semplicemente come lavoro non pagato – spiega Pascucci durante il suo intervento alla 9° giornata dell’economia – non è un’esperienza formativa di tipo tradizionale. Questo strumento è spesso stato svilito: si utilizza il tirocinante anche se non diventa un vero e proprio strumento di sfruttamento perchè non mette in pratica le finalità  con le quali era stato costituito. Quando va bene, quello strumento si rivela una perdita di tempo. Non sempre, ma molto spesso. Sarebbe importante poter verificare già nel contesto formativo, le capacità pratiche degli studenti, come ad esempio l’importanza delle relazioni in un contesto produttivo”.

“Vogliamo un ritorno al contratto subordinato, invece aumentano contratti parasubordinati, cococo, cocopro, con alta discrezionalità. Così aumenta la debolezza contrattuale soprattutto dei neolaureati”.

“Il problema vero è che non sempre i fondamenti di questi strumenti non sono sentiti da chi li pianifica, disinteressandosi al destino del tirocinante. Dall’altra parte l’azienda si sente abbandonata con il tirocinante, senza avere la possibilità di fornirgli un vero inserimento nelle attività. Manca un monitoraggio dell’esperienza formativa di orientamento che raccolga le criticità, i punti di forza e utilità di quell’esperienza. La responsabilità è anche di noi docenti e del sistema fomrativo, comunque”.

(e.h.v., s.s.)

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