Nadia al Sakkaf questo mese ha vinto il premio “Oslo Business for Peace Award 2013”. Amina Tyler aspetta in carcere la prossima udienza, mentre la notizia della morte della giornalista Yara Abbas ha fatto il giro del mondo. Nel racconto dei media occidentali il ruolo delle donne nelle primavere arabe viene spesso sottovalutato. Ma partire dai volti di alcune delle protagoniste più note può aiutare a restituire la giusta importanza a questa folla silenziosa, spesso fuori dai flussi tradizionali dell’informazione.
“Le rivolte tunisine, egiziane, libiche e tutto quello che ne è conseguito sono un fenomeno corale, le voci che hanno tentato di raccontarle innumerevoli, ma identificarne alcune è utile per tenere viva l’attenzione ”. A ribadirlo è Leila Ben Salah, giornalista italo tunisina, coautrice di Ferite di parole, presentato all’ultimo Salone del libro di Torino. Insieme alla psicologa Ivana Trevisani, ha raccolto le testimonianze di donne siriane, libiche, tunisine ed egiziane che hanno vissuto da protagoniste le rivoluzioni, “restando,come gli veniva chiesto, in fondo ai cortei”, ma non sempre catturando l’attenzione di media e opinione pubblica.
Amina Tyler invece ha scelto di dare il suo contributo attraverso la provocazione. In Tunisia, per sollevare cori d’indignazione e finire in carcere sei mesi basta scrivere “Femen” sul muro di una città sacra. La giovane liceale, appartenente al gruppo femminista, lo ha fatto domenica scorsa a Kairouan, durante un raduno di salafiti. Amina è già nota ai media per aver postato alcune sue foto a seno nudo su Facebook, ma dopo l’episodio di domenica scorsa si trova costretta ad affrontare un processo per attentato alla pubblica decenza, l’indignazione delle massime autorità tunisine, politiche e religiose.
Il governatore di Kairouan aveva detto che la giovane attivista si era mostrata a seno nudo davanti alla città sacra, ma un video delle stesse Femen lo ha smentito: la polizia è riuscita a impedirglielo. Il ministro dell’Interno vuole processare Amina perché “stava per commettere un gesto immorale”. Anche la famiglia ha faticato nel prendere le difese della giovane attivista. Solo ieri il padre ha dichiarato a RaiNews piena solidarietà alla figlia, mentre ancora qualche giorno fa la madre aveva detto “soffre di problemi psichici”.
A difendere Amina in tribunale sarà la famosa attivista femminista Radhia Nasraoui, da sempre impegnata nei diritti umani. Precisa Ivana Trevisani: “Più che richiamare l’attenzione sulle ultime provocazioni delle Femen si deve ricordare che grazie alle primavere arabe le donne sono emerse come categoria sociale. Per sintetizzare ho usato l’espressione dai cortili alle piazze”.
Piazze, trincee ed ospedali: in questi terribili scenari si sono mosse le libiche del comitato 8 marzo, donne di Misurata, capitanate dalla coraggiosa Nadja Dariz, di trent’anni. Nel documentario di Laura Silvia Battaglia, Al Hurria, dice di aver fondato il comitato “per le donne rimaste senza punti di riferimento, che hanno perso mariti e padri in guerra”. Accanto a lei c’è Hana, vent’anni, sordomuta, rimasta orfana dal 2011.
Anche Nadia Al Sakkaf ha perso il padre, assassinato nel 1999. Era uno dei più aspri critici del regime yemenita e per far conoscere a tutti le condizioni del suo paese aveva fondato lo Yemen Times. Dal 2005 Nadia è responsabile della testata. Fra i primi cambiamenti sotto la sua direzione l’assunzione di donne e l’uso consistente delle nuove tecnologie. Durante le primavere arabe lo Yemen Times è stata una delle poche fonti d’informazione dirette per i media occidentali, che hanno acceso i riflettori anche sulle proteste di Sana’a. Due settimane è stata una dei premiati dal comitato Oslo Business for Peace “per aver contribuito a costruire la pace e la democrazia nello Yemen”.
Sulle differenze esistenti fra i Paesi che nel 2011 hanno visto esplodere le proteste, la Ben Salah precisa: “Una prima distinzione che si può fare sulle conseguenze delle primavere arabe è che, al contrario di quanto è accaduto in Tunisia e in Egitto, in molti altri Paesi le proteste non hanno portato a cambiamenti significativi nell’assetto politico”.
Il Barhein è uno di questi. Maryamal Khawaja ha 26 anni, è presidente del Centro per i diritti umani del Golfo ed è una delle poche voci libere del suo paese, “poco interessante” per i media e per l’opinione pubblica, tranne durante il Gran Premio di Formula1. Approfittando della sua posizione di interlocutore con l’Occidente, nel suo ultimo viaggio in Italia ha denunciato con forza la scarsa attenzione nei confronti della sua nazione. Maryamal, grazie a Twitter, ha iniziato a far sentire la sua voce nel 2010, quando l’Arabia Saudita ha mandato i carri armati a reprimere le proteste esplose anche a Manama. Ora ha 90.000 follower e continua a denunciare la repressione quotidiana del regime che, soltanto dopo le proteste del 2011, ha revocato il decreto sulla sicurezza in vigore dal 1974. La legge autorizzava il ministro degli Interni a tenere in carcere sino a 3 anni e senza processo i cittadini politicamente sospetti.
Anche Asmaa Mahfouz deve la sua fama alla rete. Sul suo blog campeggia la scritta The girl who helped start the revolution in Egypt. È suo il video con cui il 19 gennaio 2011 ha lanciato la famosa sfida al regime di Murabak e invitato il popolo egiziano alla rivolta.
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Pochi giorni dopo queste immagini, il 25 gennaio, in Piazza Tahrir c’erano 25.000 manifestanti. Un video considerato l’inizio della protesta egiziana. La sua famiglia è conservatrice, un fratello ufficiale di polizia e un altro ufficiale dell’esercito, e all’inizio è rimasta a dir poco sconcertata dal suo interesse per la politica. La Mahfouz, in un’intervista, ha dichiarato: “Mi bloccavano Internet, così andavo a manifestare in strada , mi hanno proibito di andare in strada, così ho usato il telefono”.
Infine un volto che ha fatto il giro del mondo perché ha pagato con la vita le conseguenze delle primavere arabe. Due giorni fa, mentre raccontava il difficile conflitto siriano dalla prime linee, è stata uccisa Yara Abbas. Lavorava per la Tv di Stato Al-Ikhbariyah. La giornalista è rimasta coinvolta insieme a un cameraman ed un suo assistente in quello che il governo siriano definisce “un agguato” da parte delle forze di opposizione: il cecchino ha ferito anche alcuni dei suoi colleghi. Da circa un mese la Abbas si trovava nella provincia di Homs, al confine con il Libano e documentava gli scontri anche per conto dell’Associated Press. La Abbas lavorava per la tv ufficiale del regime di Bashar al-Assad, dall’altra parte della barricata rispetto alle donne simbolo delle primavere arabe. Ma non è un buon motivo per non ricordarla.
Il ‘launch seminar’ dal titolo “Siria, il lato oscuro delle primavere arabe” avrà inizio alle 13,30 nell’aula Magna della facoltà di scienze politiche .
Come introduzione all’argomento verrà presentato il volume della professoressa Maria Eleonora Guasconi, ricercatrice e docente di Storia delle relazioni internazionali a Urbino, intitolato “Declino europeo e rivolte mediterranee”. Il libro, pubblicato lo scorso anno, sarà un punto di partenza per riflettere sui cambiamenti che ci sono stati da allora: “C’era una visione molto più ottimista un anno fa. Quello delle rivoluzioni arabe è stato un fenomeno che ha colto tutti di sorpresa – dice il professor Cantaro – adesso il quadro è più mosso e serve un ragionamento differenziato a seconda dei casi”.
Al centro dell’attenzione non solo la rivoluzione siriana quindi, che è stata una fra le più violente e conosciute e maggiormente coperte dai media, ma anche tutte le altre controrivoluzioni e la sfida culturale, politica ed economica che il mondo arabo-islamico ha posto all’Europa e all’Occidente in generale. “Non vuol essere la solita visione semplificata che spesso danno i media delle rivoluzioni – conclude Cantaro – ma un’analisi specifica e attualizzata”.