il Ducato » reportage http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » reportage http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it ‘Di volto in volto’, il progetto fotografico sui personaggi dimenticati delle Marche http://ifg.uniurb.it/2014/04/08/ducato-online/di-volto-in-volto-storie-e-personaggi-dimenticati-delle-marche/61107/ http://ifg.uniurb.it/2014/04/08/ducato-online/di-volto-in-volto-storie-e-personaggi-dimenticati-delle-marche/61107/#comments Tue, 08 Apr 2014 14:44:27 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=61107 URBINO – Il Cavaliere Prato, ex pompiere di Roma, ha creato il Parco della Fantasia di fianco a un passaggio a livello di Macerata. Qui oggetti dimenticati acquistano nuova vita: trasforma sedie in portabandiera, bottiglie in costruzioni a forma di albero e lampade in cappelli. Ad aiutarlo a realizzare le sue opere d’arte c’è un ragazzo africano, soprannominato Caffelatte. Il Parco del Cavaliere è solo una delle storie raccolte dal videomaker Giordano Vizzi e dal fotografo Marco Biancucci nel progetto “Di volto in volto”. Insieme hanno girato le Marche in cerca di personaggi dimenticati. “Il nostro obiettivo è quello di raccontare la provincia marchigiana, quella più strana e caratteristica”, racconta Biancucci. “Abbiamo visitato paesini, contrade e città. Per noi è stata una valvola di sfogo dai nostri impegni quotidiani. È stata una esperienza che ci ha arricchito: abbiamo avuto la possibilità di conoscere persone straordinarie, che nonostante le difficoltà hanno trovato un modo tutto loro di stare al mondo”.

“L’incontro che mi ha colpito di più”, continua Biancucci “è stato quello di Claudio, 21 anni, iscritto alla  facoltà di Lettere e Filosofia. Un giorno ha deciso di comprare un terreno a Monteprandone e darsi all’agricoltura biologica. Una scelta controcorrente. Accanto a lui c’è Giovanni, un signore novantenne, che è diventato la sua guida e il suo maestro”.

Ma non ci sono solo Claudio e il Cavaliere di Prato. Nel fotoreportage vengono raccontate le storie anche dei  Chicchirichì, stornellatori che durante il periodo di Pasqua bussa di porta in porta per cantare canzoni sulla passione di Gesù Cristo in marchigiano; dei “Forzati della strada” di Montelparo, un gruppo di novantenni che indossando maglie di flanella degli anni ’50 hanno fatto il Giro d’Italia d’Epoca in bicicletta. E poi c’è Simone, un ragazzo che realizza miniature di oggetti e li vende a San Benedetto del Tronto e di padre Pietro, il muratore di Dio che da solo ha costruito la chiesa per i suoi parrocchiani, mattone dopo mattone.

Ad ispirare i due giovani è stato Pier Paolo Pasolini: “ È il nostro modello. L’intero progetto può essere riassunto dalla sua frase: la bellezza può passare per le più strane vie, anche quelle non codificate dal senso comune. È quello che abbiamo cercato di fare, andando oltre le apparenze per scoprire quello che nessuno vede”.

Il progetto è in continuo divenire: “La prossima puntata sarà dedicata a una donna nel Piceno. Stiamo continuando a cercare personaggi delle Marche per raccogliere quelle storie che altrimenti nessuno racconterebbe. Ognuno di loro ha qualcosa di particolare che merita di essere conosciuto”.

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Crowdfunding per i reportage di guerra: l’idea anti-crisi del Giornale http://ifg.uniurb.it/2014/02/11/ducato-online/crowdfunding-per-i-reportage-di-guerra-lidea-anti-crisi-del-giornale/57006/ http://ifg.uniurb.it/2014/02/11/ducato-online/crowdfunding-per-i-reportage-di-guerra-lidea-anti-crisi-del-giornale/57006/#comments Tue, 11 Feb 2014 18:05:29 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=57006 IlGiornale.it]]> Il reportage in Ucraina di Fausto Biloslavo finanziato con il crowdfunding

Il reportage in Ucraina di Fausto Biloslavo finanziato con il crowdfunding

L’unione fa la forza e, in tempi di crisi economica, può fare anche l’informazione. Così l’edizione online del Giornale di Alessandro Sallusti ha pensato di finanziare dei reportage all’estero da zone di guerra con il metodo del crowdfunding, cioè attraverso la donazione libera dei lettori. Qualunque sia l’argomento che vorremo vedere approfondito, dalla guerra in Libia a quella in Afghanistan, passando per i disordini di Kiev, basta andare sulla piattaforma online Gli occhi della guerra e pagare (o almeno, contribuire a pagare) un reportage. Raggiunti i fondi necessari, che si aggirano intorno a qualche migliaio di euro a seconda delle destinazioni, il giornalista parte, documenta e torna, portando con sé in Italia un prodotto che – sperano al Giornale – apparirà sul sito del quotidiano.

“Al giorno d’oggi – spiega la responsabile del progetto Laura Lesèvre – i giornali non hanno le capacità finanziarie per pagare gli inviati all’estero e per una buona informazione le agenzie di stampa non bastano”. Per avere un’informazione di qualità, quindi, bisogna pagare direttamente e di tasca propria. L’idea sembra non sconvolgere i lettori, che hanno già finanziato in toto tre reportage: “Diario da Kiev” e “Afghanistan goodbye” di Fausto Biloslavo e “Libia, il nostro petrolio è in pericolo” di Gian Micalessin. Entrambi gli autori dei primi progetti sono già collaboratori del Giornale, ma Laura Lesèvre spiega che l’Associazione no profit per la promozione del giornalismo (creata dal Giornale ad hoc per la gestione della piattaforma) ha preso contatti anche con freelance indipendenti.

Per ora la trasparenza sulle donazioni è incompleta: si può solo sapere quanti soldi sono stati raccolti e quante persone hanno donato qualcosa, senza la possibilità di capire a quanto ammontano le singole somme. Ad esempio, a quanto è riportato sul sito, il reportage di Biloslavo in Ucraina è stato finanziato in meno di 24 ore da 32 persone che hanno raccolto in tutto 3000 euro. Non è dato sapere, quindi, se è corretto stimare circa 100 euro per donatore o se magari c’è stato un grande finanziatore che ha accelerato la raccolta.

“Mi auguro che nel futuro il sistema di donazioni sarà più trasparente – confessa Barbara Schiavulli, giornalista di guerra e blogger del Fatto Quotidiano, che è stata contattata dal Giornale per proporre un suo reportage – anche perché immagino che a finanziarmi saranno persone che conoscono me, non tanto lettori fidelizzati del Giornale”.

La pagina del finanziamento di "Afghanistan goodbye" sulla piattaforma Gli occhi della guerra

La pagina del finanziamento di “Afghanistan goodbye” sulla piattaforma Gli occhi della guerra

E’ però possibile capire il ‘taglio’ delle donazioni da un particolare: per ogni piccolo finanziamento (da 1 a 50 euro) è previsto un ringraziamento personalizzato da parte dell’autore del reportage sulle pagine Facebook e Twitter degli Occhi della guerra. Nei giorni del crowdfunding di “Diario da Kiev” non appare alcun ringraziamento su nessuno dei due social network. I donatori, quindi, hanno probabilmente versato più di 51 euro a testa, ricevendo un omaggio più consistente: dai 51 ai 200 euro una foto realizzata dal reporter nella zona di guerra; dai 201 ai 500 il libro “Gli occhi della guerra” e la raccolta del materiale prodotto dall’inviato; da 501 a 1000 euro il libro, la raccolta e una giornata in redazione; da 1001 euro, oltre a tutto quello già detto, ci si può azzardare addirittura ad invitare il reporter per una conferenza sul tema nella propria città.

Se la pubblicazione del reportage su IlGiornale.it è data per certa, in realtà i vincoli tra l’inviato che parte e il Giornale non sono ufficiali. “Tra noi e loro non c’è nessun contratto – chiarisce Lesèvre – quindi possono pubblicare il materiale dove vogliono. Ovvio, comunque partono grazie e noi e con i soldi dei nostri lettori, quindi ci aspettiamo un’esclusiva. Ma il materiale in più, gli autori possono darlo ad altre testate”.

Anche Barbara Schiavulli non ha dubbi sulla proprietà del reportage: “Sarà pubblicato sul IlGiornale.it, è chiaro, perché l’idea del crowdfunding è partita da loro. E’ per questo che lo fanno, perché conviene a entrambi”. Schiavulli vorrebbe lavorare ad un reportage sul radicalismo islamico in Europa: “L’idea è piaciuta, quindi stiamo facendo uno spot per lanciare il crowdfunding. E’ questione di giorni”.

L’informazione dall’estero, infatti, non è alla portata di tutti: per il giornalista, il crowdfunding diventa l’unica possibilità di partire; per la testata, è un occasione di avere esclusive costose. “Serve anche a fidelizzare i lettori – spiega Laura Lesèvre – perché scegliere e finanziare in fretta il reportage preferito diventa una gara stimolante. Non è vero che con gli esteri non si vende: i fondi che abbiamo raccolto ne sono la prova”.

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Susan Dabbous: “La Siria è un Paese ormai fuori controllo” http://ifg.uniurb.it/2013/05/01/ducato-online/susan-dabbous-la-siria-e-un-paese-ormai-fuori-controllo/44877/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/01/ducato-online/susan-dabbous-la-siria-e-un-paese-ormai-fuori-controllo/44877/#comments Wed, 01 May 2013 17:42:13 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44877

Susan Dabbous

Un conflitto sporco fatto di tutti contro tutti: la Siria di Assad brucia, ma le informazioni che riescono ad oltrepassare la barriera del silenzio sono frammentate. I giornalisti che vogliono raccontare la rivoluzione siriana devono lavorare in clandestinità e rischiano ogni giorno di essere rapiti.

L’ultimo giornalista di cui si sono perse le tracce è l’inviato della Stampa Domenico Quirico: il giornale di Torino non ha sue notizie da due settimane, quando si trovava nella zona di Homs.

Ad aprile erano scomparsi altri giornalisti, tra cui Susan Dabbous, che in questi anni ha seguito gli scontri tra l’esercito ribelle e il regime di Assad: lei è stata la prima a raccogliere le testimonianze apparse sui giornali italiani dei disertori torturati dal regime di Damasco. Il 4 aprile scorso è stata rapita, insieme a tre colleghi (Amedeo Ricucci, Elio Colavolpe e Andrea Vignali), da un gruppo islamista, per essere poi liberata dopo 8 giorni. Lei e i suoi colleghi erano stati accusati di spionaggio perché probabilmente avevano ripreso qualcosa che i ribelli non volevano si vedesse.

In Siria la diffidenza verso gli stranieri è alta e i giornalisti sono quelli più a rischio. Chi decide di partire per la Siria lo fa sapendo quello che rischia, ma in questo lavoro non vale improvvisare.

Qual è stata la tua preparazione prima di partire?
Quando ero al quotidiano Terra ho reperito informazioni lavorando dal desk: ho preso contatto con la comunità siriana in Italia, ho studiato il territorio e poi sono stata in Turchia per approfondire la situazione siriana da quella parte del confine. Ero una neofita in questo tipo di giornalismo e prima di entrare fisicamente in Siria mi sono creata una rete di contatti che ho avuto tramite colleghi. In casi come questi bisogna essere solidali con gli altri giornalisti, anche perché farsi concorrenza non porta da nessuna parte. La lunghezza del conflitto non permette di essere in competizione. Andare allo sbaraglio non conviene, si rischia la pelle; ti può andare bene, come ti può andare molto male. C’è chi l’ha fatto: ci sono alcuni freelance americani che sono scomparsi da 7 mesi e non si sa dove siano finiti. È fondamentale chiamare dei professionisti già presenti sul territorio per avere una rete: in questo modo si riesce a fare un lavoro straordinario.

Come hai fatto concretamente ad entrare in Siria?
La Siria ha proposto dei problemi abbastanza inediti: il regime non rilascia visti, perciò se vuoi entrare nel Paese lo devi fare illegalmente, nelle totale clandestinità. Per farlo ti devi affidare a qualcuno che può farti passare il confine. Una volta dentro devi affidarti ai tuoi contatti. Questi ti portano dalle persone da intervistare o dove c’è qualcosa da raccontare: campi profughi spontanei, città senza elettricità, villaggi bombardati e feriti senza assistenza. Tutte storie che ho raccontato in questi anni. All’inizio chi voleva entrare in Siria doveva affidarsi a dei contatti presenti sul territorio in grado di garantirti una protezione, ma a due anni di distanza quelle stesse persone non possono più darti protezione perché la situazione è totalmente fuori controllo.

In che senso “senza controllo”? Che tipo di conflitto è quello siriano?
Il conflitto siriano è una guerra civile, senza dubbio. Ma nell’ultimo periodo le cose stanno cambiando; si è aperta una nuova fase in cui non ci sono più solo due schieramenti ben distinti: l’esercito ribelle non è più compatto e l’opposizione siriana si è frammentata in molti gruppi che perseguono diversi scopi e sono in guerra fra loro. Non esiste più un blocco unico fatto di ‘tutti contro Assad’ come invece era all’inizio.

Chi sta prendendo le redini dell’opposizione? I gruppi laici o quelli islamici?
I gruppi islamici sono armati meglio e stanno avendo un ruolo da protagonisti nel conflitto militare. L’anima laica della Siria è in minoranza perché oppressa dalla propaganda islamista, ma è comunque presente sul piano politico. Ci sono molte figure interessanti all’interno dei gruppi laici che avranno sicuramente un peso nella leadership futura del Paese. Molti di questi esponenti sono in esilio e quando rientreranno si aprirà sicuramente una nuova partita. Ma per il momento questa prospettiva è ancora lontana, visto che la situazione militare è bloccata.

Avevi delle guardie del corpo in Siria?
All’inizio non avevo una scorta militare, poi quando mi sono unita ad una troupe televisiva è diventato necessario avere delle guardie armate. Eravamo molti e davamo nell’occhio, per questo avevamo due uomini delle sicurezza e una guida. Ma è servito a poco, dato che alla fine ci hanno preso…

Che ruolo hanno i paesi confinanti in questo conflitto?
In Iraq, il governo ufficiale appoggia il regime di Assad, ma Al-Qaeda sta con i ribelli islamici. La Turchia è la nazione confinante più potente e cerca di sfruttare questa situazione, anche politicamente. Il Libano, invece, è uno Stato troppo debole per avere una sua linea autonoma ed è sotto l’influenza del governo di Damasco. Però al suo interno, la comunità sunnita appoggia l’opposizione.

Ribelli siriani tra le strade di Aleppo

Quale potrebbe essere il futuro politico della Siria? Il nuovo governo sarà composto da islamici moderati sul modello egiziano di Morsi?
È veramente difficile fare un pronostico in questo momento, la composizione etnico sociale della Siria è molto diversa da quella dell’Egitto: lì c’è una quasi totalità di musulmani sunniti, circa il 90%, mentre in Siria questa componente è al 70%. La restante parte è fatta di altre confessioni religiose. Oltre a una consistente comunità cristiana c’è anche la minoranza musulmana alawita, di cui fa parte la famiglia di Assad, al potere da 40 anni. Prima questa comunità era la più svantaggiata e marginalizzata, mentre adesso è diventata classe media. Il colpo di Stato le ha fatto fare un salto di qualità e gli alawiti fanno di tutto per mantenere i privilegi acquisiti.

Tornando alla tua specifica esperienza, per una donna giornalista è più difficile lavorare in zone di guerra e raccontare un conflitto in prima persona?
Non credo che sia più difficile per una donna lavorare in una zona di conflitto. E non ci sono problemi per una giornalista lavorare in un Paese islamico: in Marocco, in Egitto o altri lo fai tranquillamente. Il problema è quando ci sono gruppi fondamentalisti islamici: loro vedono la donna come qualcosa di ‘impuro’, per semplificare. Nel mio caso, quando vieni rapita da uno di questi gruppi hai l’aggravante di essere una donna. Da parte loro c’è il rispetto del corpo, ma non quello dell’individuo”.

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A lezione con Flavio Fusi: “Negli occhi del reporter i volti della gente” http://ifg.uniurb.it/2013/02/22/ducato-online/a-lezione-con-flavio-fusi-negli-occhi-del-reporter-i-volti-della-gente/35637/ http://ifg.uniurb.it/2013/02/22/ducato-online/a-lezione-con-flavio-fusi-negli-occhi-del-reporter-i-volti-della-gente/35637/#comments Fri, 22 Feb 2013 12:41:44 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=35637 URBINO – “Sono stato in giro per trent’anni. Nicaragua, Salvador, Argentina, Unione sovietica e ho incontrato personaggi che mi hanno accompagnato per la vita. Son andato in Africa durante le elezioni di Mandela, ma i veri protagonisti erano le persone. I volti, la gestualità”, racconta Flavio Fusi, giornalista Rai ed ex caporedattore del Tg3, ai giovani colleghi dell’Istituto per al formazione al giornalismo e ai ragazzi di Scienze della comunicazione di Urbino. I ragazzi dell’Ifg hanno anche raccontato su Twitter l’incontro.

“Mi sono innamorato di questo mestiere, delle immagini – continua Fusi – perché alcuni fotogrammi hanno il potere di raccontare più di pagine e pagine di parole. L’immagine è anche effetto, è rumore. Non bisogna descriverla, ma lasciarla parlare”.

Ma chi era e com’è cambiato nel tempo il lavoro del giornalista televisivo? “Una volta l’operatore accompagnava e il giornalista, munito di macchina da scrivere e catturate le immagini e scritto l’articolo si lavorava in concerto con il montatore. Insomma, ognuno aveva la sua competenza ben definita. Si privilegiava la qualità del racconto”. Oggi non è più così. “Si rinuncia alla storia in favore della tempestività – spiega il giornalista – e per avere lo scoop nell’immediato i colleghi, molto spesso sono anche operatori e montatori”.

Fusi parla dei diversi generi televisivi e degli stili narrativi che il giornalista può scegliere per descrivere la realtà. “L’inchiesta è affascinante – dice – ‘scoperchia i pentoloni’ per raccontare come stanno veramente le cose”. Un modo per andare oltre la notizia, analizzando le cause e cercando di rispondere ai tanti perché di un determinato fatto. “Il reportage, invece, parla della vita. Quando a Mosca c’è stato il colpo di stato – ricorda – a pochi chilometri di distanza da questo avvenimento clamoroso di cui tutto il mondo parlava la gente continuava a condurre normalmente la propria vita”. Oggi si realizzano meno reportage perché vince la notizia usa e getta che ha l’illusoria pretesa di riuscire a spiegare le cose. “Si è ridotto a periferia dell’informazione. Siamo bombardati da notizie che si cancellano a vicenda”.

Il corrispondente dedica poi una riflessione al fenomeno del citizen journalism che stravolge il sistema classico dell’informazione. “In questo caso la tradizionale trasmissione dell’informazione ‘top-down’ , cede il passo a iniziative che vengono ‘dal basso’ (bottom-up), da chiunque”. Questo nuovo modo di fare informazione nasce nel 2005 quando, per documentare l’attentato alla metropolitana di Londra, furono le immagini registrate dai cittadini ad essere usate per l’apertura di tutti i telegiornali. Ma i rischi sono dietro l’angolo. “Le immagini girate con i telefonini che arrivano in redazione – dice Fusi – possono essere anche impressionanti, ma alle volte non di facile interpretazione. Riescono a muovere la comunità, ma anche a ingannarla”.

La notizia data attraverso fotogrammi si mescola anche con generi che non le appartengono.  “Oltreoceano – il reporter Flavio Fusi conclude così il suo intervento – si privilegia oggi la scelta di un’informazione in cui si incontrano il giornalismo e letteratura. Una formula che riesce a fotografare la realtà in cui viviamo”.


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