il Ducato » Repubblica http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » Repubblica http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Il nuovo algoritmo di Facebook: via le foto, lunga vita ai video http://ifg.uniurb.it/2015/02/24/ducato-online/il-nuovo-algoritmo-di-facebook-via-le-foto-lunga-vita-ai-video/66180/ http://ifg.uniurb.it/2015/02/24/ducato-online/il-nuovo-algoritmo-di-facebook-via-le-foto-lunga-vita-ai-video/66180/#comments Tue, 24 Feb 2015 16:19:22 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=66180 URBINO – Dimenticate i bei tempi in cui bastava postare qualche immagine virale, raggiungendo migliaia di persone con ogni singolo post: la timeline di Facebook non valorizza più le foto come accadeva fino a poco tempo fa. Il nuovo algoritmo ideato dal team di Zuckerberg ha cambiato le carte in tavola, dando maggiore visibilità ai video. I social media editor delle principali testate italiane non si sono fatti trovare impreparati. E anche all’estero c’è chi, pur di sfruttare al massimo la novità, pubblica addirittura le copertine del magazine in edicola in versione video, come Time.

Dall’ultima analisi di Socialbakers (sito specializzato in analisi sui social media) su un campione di 670.000 post presi da più di 4.000 fan page diverse, è emerso che le immagini sono il contenuto meno performante in termini di reach organica (portata gratuita di utenti di ogni singolo post): se le foto raggiungono il 3,7% degli utenti e il 2,3% di fan, con i video la percentuale riscontrata è più del doppio, 8,7%, con il 5,7% dei fan iscritti. Una differenza, tra i due dati, del 135%:

Se per status e link la percentuale resta costante, il predominio assoluto dei video è testimoniato anche da questa tabella relativa alle interazioni generate dai post:

Il social media editor. Come hanno reagito i social media editor alla luce di questi dati? Lo abbiamo chiesto ad alcuni esperti del settore: Alessio Balbi, responsabile social media del gruppo Espresso, Carola Frediani esperta di social network ed ex social media editor de La Stampa, e Fabiano Medugno, social media editor del sito fantagazzetta.com.

“La strategia di Facebook è stata chiara sin dal principio – racconta Balbi – noi ci siamo già attivati in questo senso, aumentando i contenuti video rispetto al passato. L’importante è non abusarne. Bisogna trovare il formato giusto per il proprio target di riferimento”.

Un pensiero condiviso anche da Carola Frediani: “Il cambiamento c’è stato, ma non solo sui social network. Il web si sta spostando sempre più verso i contenuti video, una tendenza in corso già da qualche tempo. Noi ci siamo adeguati, senza mai strafare. L’obiettivo è trovare il mezzo giusto rispetto al contenuto da presentare”.

Sulla stessa scia Fabiano Medugno: “Sono a conoscenza del nuovo algoritmo. Stiamo preparando quasi ogni giorno dei video virali che, anche se non portano visite al sito, rientrano nel discorso di brandizzazione del marchio. Resta questo il mio vero obiettivo. Sono contrario alla pubblicazione di contenuti video ad ogni costo, preferisco creare uno zoccolo duro di utenti fedeli che conoscono perfettamente i contenuti delle nostre pagine”.

Marketing. Grande importanza, dunque, agli utenti e al target da raggiungere: “Aumentare le visualizzazioni ad ogni costo non è sempre la strada giusta da percorrere – prosegue Balbi -, va fatto con cognizione di causa. Un esempio vincente è quello delle copertine animate di Time pubblicate sui social: sfruttando il rating dei video, hanno riscosso un grande successo sul pubblico di riferimento senza sminuire il marchio.
Più interazione. Secondo i giornalisti che abbiamo interpellato il nuovo algoritmo non ha fatto altro che assecondare una tendenza che era già in atto. “Facebook è una piattaforma dinamica – aggiunge Frediani – la nostra équipe è sempre al lavoro per creare dei meccanismi virtuosi. L’interazione con il pubblico è fondamentale. L’algoritmo ha le sue regole, ma è un semplice contenitore. Il contenuto giornalistico non deve mai passare in secondo piano”.

“Valorizzare il brand è fondamentale – ribadisce Medugno – Fantagazzetta ha un alto numero di fan tra i 18 e i 24 anni, tutti amanti del calcio e del fantacalcio. Mi diverto a condividere i loro stati d’animo, gioco sui doppi sensi e uso spesso foto dei vari eroi della domenica, che possono essere oggetto di dibattito tra il pubblico. L’algoritmo conta, certo, ma il nostro “pubblico” vive di foto e io non posso non tenerne conto”.

C’è futuro per il social media editor? All’interno delle redazioni, negli ultimi anni si è sviluppato un dibattito su chi debba occuparsi di pubblicare le notizie sugli account social. Secondo alcuni la direzione è quella del giornalista-tuttofare. Alessio Balbi ribadisce però l’imprescindibilità del suo ruolo: “Non si può pretendere che tutti sappiano fare tutto. Chi lavora sui social deve tenere sempre sotto controllo l’universo del web. Il social media editor ha delle competenze specifiche ed è giusto che il suo lavoro resti indipendente”.

Diverso il parere di Carola Frediani, secondo la quale si va verso un’integrazione totale con la figura del giornalista: “A La Stampa i social media editor sono giornalisti. Certo, ci vogliono delle competenze specifiche per ricoprire questo ruolo. Ma ciò non vuol dire che la divisione debba essere netta. Poco a poco l’integrazione sarà totale”.

“Per la mia esperienza lavorare a stretto contatto con la redazione è fondamentale – conclude Fabiano Medugno – un bravo social media editor deve essere prima un acuto giornalista, nel senso più ampio del termine: capire le tendenze, guardare le apparenze, scoprire la notizia anche tra i commenti di un post. Il ruolo del giornalista è in evoluzione, c’è il pericolo di una possibile scomparsa della mia figura. Non credo, però, che succederà nel breve periodo. Per le grandi testate il nostro continua ad essere imprescindibile”.

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Diffusione stampa, ora conta anche il digitale: il Sole primo su tablet e pc http://ifg.uniurb.it/2013/03/14/ducato-online/diffusione-stampa-ora-conta-anche-il-digitale-il-sole-primo-su-tablet-e-pc/38379/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/14/ducato-online/diffusione-stampa-ora-conta-anche-il-digitale-il-sole-primo-su-tablet-e-pc/38379/#comments Thu, 14 Mar 2013 11:43:20 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=38379 Il digitale entra nel conteggio delle vendite e della diffusione dei giornali. E anche se non hanno ancora la forza di rivoluzionare la classifica, le copie acquistate via internet fanno comunque sentire il loro peso. Nelle statistiche sulla diffusione dei quotidiani nazionali, che vedono da sempre sul podio il Corriere della Sera, la Repubblica e l’edizione del lunedì della Gazzetta dello Sport, è Sole24Ore che stacca tutti per copie digitali diffuse su pc, smartphone e tablet.

Secondo i dati di Ads – Accertamento Diffusione Stampa – pubblicati ieri, a gennaio 2013 il Sole24Ore ha venuto più di 46.000 versioni digitali del proprio quotidiano, più del Corriere e Repubblica, che rimangono comunque in testa per diffusione totale (cartacea più digitale).

Il Sole, grazie alla tecnologia, scala quindi la classifica scavalcando la Gazzetta dello Sport e la Stampa. L’edizione digitale, secondo il nuovo regolamento di Ads del 20 dicembre 2012, è “una replica esatta e non riformattata dell’edizione cartacea in tutte le sue pagine, pubblicità inclusa” e deve essere “distribuita elettronicamente come unità inscindibile ed esclusiva”. Requisito per il conteggio è anche il prezzo: la copia di un’edizione digitale deve avere un costo non inferiore al 30% rispetto al prezzo della versione cartacea. L’Ads distingue inoltre la vendita di copie digitali singole, quelle “multiple” (offerte in stock) e quelle “abbinate”, cioè vendute insieme all’edizione cartacea. Il Corriere della Sera detiene il primato per quanto riguarda le copie digitali vendute in forma singola: 40.616. Subito sotto la Repubblica con 40.207. Più in basso, la Gazzetta dello Sport, con 14.525.

Diffusione cartacea Copie digitali singole Copie digitali multiple+ abbinate Totale copie digitali Diffusione cartacea+ digitale
Corriere della sera 411.400 40.612 5.004 45.616 457.016
Repubblica 360.522 40.207 5.789 45.996 406.519
Gazzetta dello sport (lunedì) 261.872 14.525 1.024 15.549 277.420
La Stampa 234.856 6.920 0 6.920 241.776
Sole 24 Ore 233.997 9.621 36.569 46.190 280.187

Il Sole24Ore vende meno di 10.000 copie singole, ma con le oltre 36.000 copie in abbinamento con il cartaceo e in offerta che guadagna il primato e diventa il primo quotidiano a diffusione digitale. Seconda la Repubblica e terzo il Corriere. La Stampa vende meno di 7.000 copie digitali singole, e nessuna multipla o in abbinamento. Stampa e Gazzetta scendono così anche nella classifica della diffusione totale: se in quella cartacea (che considera vendite, abbonamenti e omaggi) erano in quarta e terza posizione, con il conteggio del digitale si ritrovano più in basso di un posto. Nella lista completa dei 65 quotidiani, sono solo cinque quelli che non vendono nessuna edizione digitale: Avvenire, il Giornale, Italia Oggi, la Gazzetta di Parma e l’edizione del sabato del Quotidiano di Sicilia (che però, nell’edizione normale, si distingue per la vendita di 1 copia digitale).

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‘Colonna destra’ e ‘boxini morbosi’ ai giornali sul web non basteranno più http://ifg.uniurb.it/2013/03/13/ducato-online/colonna-destra-e-boxini-morbosi-ai-giornali-sul-web-non-basteranno-piu/38125/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/13/ducato-online/colonna-destra-e-boxini-morbosi-ai-giornali-sul-web-non-basteranno-piu/38125/#comments Tue, 12 Mar 2013 23:00:09 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=38125 L’ultimo tatuaggio di Rihanna, il figlio della Fico che non si sa se sia pure figlio di Balotelli, un anno di look di Kate Middleton tra abiti Zara e Alexander McQueen. Sì, insomma, questo è il tipo di notizie che compongono la cosidetta ‘colonna destra‘ (che a volte occupa anche altri spazi della pagina) dei siti web delle principali testate giornalistiche italiane.

E, volente o nolente, ognuno di noi almeno una volta nella vita ha cliccato su uno di quei boxini, o perché attratto dal carattere di eccezionalità dei video e delle fotogallerie di quella sezione della pagina o semplicemente per puro svago. Eppure per i più sensibili al tema dell’informazione quella colonna è motivo di disturbo: il gossip, il soft-porn, le papere calcistiche e le notizie strane-ma-vere sviliscono il giornalismo doc, in cambio di qualche click in più sulla pagina del giornale.

E’ questa una delle tesi, che compongono l’e-book sul giornalismo digitale italiano di Alessandro Gazoia, più noto agli internauti come il blogger Jumpinshark, collaboratore dell’inserto culturale di Pubblico, Orwell.

Il web e l’arte della manutenzione della notizia, edito da Minimum Fax, analizza nel dettaglio il fenomeno dei contenuti leggeri della colonna di destra delle testate giornalistiche online, conosciuta anche come “boxino morboso“: concessioni che il giornalismo generalista di qualità farebbe al web per ottenere in cambio un numero maggiore di pagine viste e di conseguenza migliori inserzioni pubblicitarie.

Niente di condannabile in sé, a patto che sia controbilanciato da un’informazione seria e di qualità. L’e-book di Gazoia scava nel profondo dell’anomalia italiana rispetto al panorama straniero: emerge un giornalismo online subordinato alla tirannia della carta stampata e per questo non in grado di sorreggersi autonomamente, contrariamente a quanto avviene all’estero, dove testate come il Guardian o il New York Times hanno saputo rimodellare il web ex novo, conferendogli una propria autorevolezza e rispettabilità. Ma il futuro del giornalismo in byte, in un momento di crisi dell’editoria come quello che stiamo vivendo, impone dei cambiamenti che ristabiliranno il modo di fare notizia sul web.

Da dove nasce l’idea di questo e-book?
Ho sempre avuto, come tantissime altre persone, un vivo interesse per l’informazione e da circa due anni seguo con attenzione il dibattito sul giornalismo digitale (gli esperti americani giocano naturalmente un ruolo di rilievo). Qualche mese fa ho pensato che potesse essere utile una panoramica sull’Italia. L’attenzione nei confronti di Repubblica e Corriere è doverosa: da anni sono i quotidiani online più letti e ancora oggi influenzano molto i concorrenti.

E’ mai stato “vittima” dell’attrazione esercitata dalla colonna di destra?
Tutti i giorni, senza vergogna. Anzi i mici hanno iniziato a piacermi molto di più nella realtà dopo averli visti su Internet… Il problema non è il giornalismo leggero e leggerissimo ma la sovraresponsabilizzazione, anche economica, che la “colonna di destra” ha oggi presso alcune tra le testate più autorevoli.

Il boxino morboso raccoglie informazioni di basso profilo che il più delle volte riguardano personaggi pubblici. Qual è il confine tra diritto di cronaca e gossip?
Domandone a cui non so dare una risposta. Direi banalità o farei moralismi di maniera. Non è proprio il caso, anche perché siamo il paese in cui il programma più ferocemente politico del 2011 è stato Kalispera, con l’intervista di Signorini a Ruby.

La colonna di destra è uno spazio delimitato, un’oasi che il lettore conosce e che per questo sceglie consapevolmente. E’ un servizio nei confronti del lettore?
In una bellissima analisi della colonna di destra di Repubblica, lo scrittore Giorgio Vasta smonta al meglio questa idea della divisione rigida; e, pur ammettendo che vi sia l’onesta intenzione, resta da verificare un punto importante: l'”ideologia”, se non i contenuti, della colonna di destra al suo peggio non filtrano mai al centro? Nonostante la disciplina e serietà di una testata, mi pare difficile che non si ceda mai alla fretta, al pressapochismo, alla mancata verifica, al titolo davvero troppo urlato anche nel “giornalismo serio”, quando a pochi pixel di distanza “vale tutto”, sempre.

Qual è il rapporto tra giornalismo online e carta stampata?
Le versioni online delle testate tradizionali cercano d’intercettare il largo pubblico che non compra il cartaceo. Puntano ai lettori dei settimanali di svago e pettegolezzo, ai visitatori dei grandi portali dove domina l’informazione leggera, agli spettatori della tv del pomeriggio e ai giovani attratti dalle curiosità del web. E, di nuovo, questa “vocazione inclusiva” non è un male in sé.

In Italia è possibile un ripensamento totale del giornalismo online – in stile Guardian – svincolato dall’autorità della stampa cartacea?
Questo 2013 sarà molto probabilmente un anno di grandi cambiamenti, anche dolorosi, come dimostrano le vicende del Corriere della Sera. Alcuni giornali, come Il Sole 24 ore, paiono seriamente intenzionati a “ripensare tutto”, accesso gratuito incluso. La colonna di destra rimarrà – e anche il Guardian in un certo senso ce l’ha – però la sua realizzazione e il suo ruolo saranno forse diversi.

Qual è la differenza tra il traino esercitato dal ‘boxino morboso’ e quello dei blog di firme della testata?
I blogger, veri o mascherati (intendo dire che oggi tira molto il giornalista virato in blogger), svolgono prevalentemente un’opera di commento e su alcune testate, a cominciare dal Fatto Quotidiano che non ha propriamente boxini morbosi, la loro importanza è innegabile. Per quando riguarda i numeri: forse oggi in Italia fa più accessi un post intitolato “Beppe non ti alleare” che “il pancione di Belen”.

Le nuove realtà editoriali online (Linkiesta, Il Post, Giornalettismo) presentano la stessa tendenza di Repubblica e Corriere?
Quasi tutti i quotidiani nativi digitali hanno sia un parco blogger che una qualche forma di “colonna di destra”: alcuni sono molto attenti alla qualità dei blogger e a non superare certe soglie nel desiderio di acchiappare i clic, altri meno. Ripeto: non c’è nulla di scandaloso nel post veloce sulla schiacciata spettacolare della Nba, l’importante è, per usare una metafora molto facile e comune, “una dieta informativa bilanciata”.

Quanto il boxino incide veramente sulla popolarità di una testata? E’ una scelta che paga?
Sembra che paghi sempre meno, anche perché la concorrenza è sempre più ampia. Su quanti siti trovi le foto di Nicole Minetti? E c’è qualcuno che dice “no, io le immagini della bellona in costume le guardo solo su Repubblica.it”? Il processo di formazione del gusto – o il suo decadimento  – è un tema delicatissimo. E al solito “la gente vuole quello” è un’affermazione sullo stato delle cose o una profezia che si autoavvera?

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Ilvo Diamanti sulla crisi: “Il lavoro non è finito, si è trasformato” http://ifg.uniurb.it/2013/02/08/ducato-online/ilvo-diamanti-sulla-crisi-il-lavoro-non-e-finito-si-e-trasformato/34014/ http://ifg.uniurb.it/2013/02/08/ducato-online/ilvo-diamanti-sulla-crisi-il-lavoro-non-e-finito-si-e-trasformato/34014/#comments Fri, 08 Feb 2013 15:40:01 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=34014 LEGGI E SFOGLIA Il nuovo numero del Ducato in edicola LEGGI Mille artigiani si sono arresi alla crisi di M. Cioncoloni / Imu, imposta a zero entrate di F. Morrone ]]>

Ilvo Diamanti, professore di Scienze Politiche all’Università di Urbino

URBINO – Siamo un paese in declino. Gli italiani vivono l’angoscia di una crisi che sembra senza sbocchi e senza fine. Per consumi, benessere e tenore di vita abbiamo fatto un balzo indietro di qualche decennio. Molti hanno perso il lavoro; i giovani che lo cercano lo considerano quasi un miraggio o una chimera. Le famiglie hanno drasticamente tagliato le spese. Dominano l’incertezza e la paura. Per tirare avanti si intaccano i risparmi o si fanno debiti. I più disperati vendono i gioielli di famiglia nei compro oro che proliferano come funghi.

In questo primo numero del 2013 Il Ducato ha voluto analizzare gli effetti della crisi sul nostro territorio: abbiamo raccolto dati, ascoltato la gente, intervistato gli imprenditori, siamo andati alla ricerca di chi ha trovato la strada giusta per capire se e come possiamo avere una speranza, abbiamo intervistato studiosi e analisti dei fenomeni economici e sociali.

Per avere un orientamento su come e dove indirizzare la nostra indagine abbiamo sentito prima di tutto un esperto che vive nel nostro territorio e da anni studia queste dinamiche assieme a un gruppo di eccellenti ricercatori, Ilvo Diamanti, professore ordinario di Scienze Politiche all’Università di Urbino ed editorialista di Repubblica. Il prof. Diamanti proprio in questi giorni ha presentato a Torino all’iniziativa ”La Repubblica delle idee” la 37sima indagine dell’Osservatorio Demos-Coop sul Capitale sociale degli italiani che ha un titolo molto emblematico: ”Ma il lavoro ha un futuro?”

Diamanti comincia il suo intervento citando un economista statunitense, Jeremy Rifkin che già nel 1995, in un saggio diventato un best seller internazionale, preconizzava il trionfo delle macchine sul lavoro umano e indicava possibili soluzioni per ridurre l’impatto sociale e addirittura come trarre vantaggio da questa trasformazione.

Il lavoro – ci ha detto il prof. Diamanti – non è finito, ma è cambiato profondamente sulla spinta della crisi, oltre che delle trasformazioni economiche e tecnologiche. Anche gli orientamenti verso il lavoro, in Italia, sono cambiati, negli ultimi anni. In modo rapido e non lineare».

In che modo la crisi ha cambiato la concezione del lavoro?
«Il “lavoro in proprio” e la “libera professione” non costituiscono più un mito condiviso, come negli ultimi vent’anni. Nel 2004 – considerati insieme – costituivano il primo riferimento per oltre metà degli italiani (53%). Oggi per meno del 40%. Per contro, ha ripreso a farsi sentire il richiamo del lavoro dipendente nella piccola e, ancor più, della grande impresa. Ma, soprattutto, il “pubblico impiego” oggi è (ri)diventato il lavoro preferito dalla maggioranza degli italiani: il 31%, 5 punti più del 2004».

Quali sono le ragioni di questo cambiamento?
«Le spiegazioni sono diverse. La più importante, forse, è l’insicurezza. Tra coloro che, nell’ultimo anno, affermano di aver lavorato, la quota di quanti dichiarano un impiego “sicuro” è il 42%. La stessa misura di coloro che lo definiscono “temporaneo” o “precario”. Tutti gli altri – il 16% – lo considerano, invece, “flessibile”. La flessibilità, nella percezione sociale, non richiama debolezza. Indica, piuttosto, un’attività, meno strutturata e regolata. La “precarietà”, invece, è “stabile temporaneità”. Del lavoro e del reddito. La crescita della precarietà ha, dunque, rafforzato l’importanza del “posto fisso”. Pubblico o privato, non importa. Il 41% degli intervistati ambisce a un “posto sicuro”. Che garantisca un reddito “sicuro”, prima ancora che elevato. Anche la ricerca di un lavoro gratificante, che dia “soddisfazione” perde relativamente di peso».

Qual è stato l’impatto della crisi sulle famiglie?
«Il 20% degli intervistati sostiene che nell’ultimo anno, in famiglia, qualcuno ha perso il lavoro; il 18% che qualcuno è stato messo in mobilità o in Cassa integrazione; il 35% che qualcuno ha cercato un’occupazione – ma senza esito. Il 10%, infine, dichiara di avere un contratto di lavoro in scadenza. La paura di rimanere disoccupati appare, dunque, in grande aumento. Coinvolge il 56% degli italiani. È cresciuta di 26 punti percentuali in circa cinque anni. Nello stesso periodo, la paura di perdere la pensione è salita di quasi 20 punti: dal 36 al 54%. Così, sembra essersi bloccato il mito dell’ascensore sociale. Che aveva mobilitato gran parte della società, facendola sentire “ceto medio”. Nel 2006 era il 60%. Oggi il 43%. Mentre la componente di chi si sente ceto “medio-basso” oppure “basso” è divenuta maggioranza: dal 28% al 51%».

Chi è che si sente più minacciato?
«Le componenti sociali maggiormente investite dalle paure per il lavoro sono, ovviamente, le più vulnerabili. Gli anziani, con minore livello di istruzione. Le donne. Considerate ancora discriminate, circa le possibilità di carriera, dal 58% degli intervistati. Tuttavia, secondo il sondaggio di Demos-Coop, le preoccupazioni maggiori riguardano il futuro dei giovani e dei figli (62%; 16 punti in più in circa 5 anni). Il 64% degli italiani li invita ad andarsene all’estero. Perché questo non è un Paese per giovani».

Ciò ha cambiato anche l’atteggiamento dei cittadini nei confronti delle istituzioni?
«La crisi del lavoro, come fonte di organizzazione e di riconoscimento sociale, sta erodendo la fiducia nel futuro. Ma anche nelle istituzioni e nei soggetti di rappresentanza. Non solo nei partiti e nello Stato. Anche le associazioni economiche. Così, non resta che la famiglia a difendere i lavoratori. L’ultima cittadella assediata. Dal 2004 ad oggi il dato relativo al suo peso, nella percezione degli italiani, è triplicato: dal 10% al 30%».

La crisi ha creato fratture sociali?
«Nel tessuto sociale e fra gli stessi lavoratori, si aprono significative divisioni. Una fra tutte: verso l’impiego pubblico. Il 60% degli italiani ritiene che i “dipendenti pubblici godano di privilegi insostenibili”. In altri termini, mentre cresce l’interesse per il posto pubblico, il pubblico impiego è visto con diffidenza. Non è l’unica contraddizione “cognitiva”. Fra gli italiani è calato l’interesse a intraprendere un lavoro autonomo e professionale ed è in aumento la domanda di occupazione nelle grandi imprese. Eppure, la fiducia nelle piccole aziende appare molto più elevata che verso le grandi imprese. Anche l’appeal della Fiat, oggi, è limitato».

Gli italiani come vedono il futuro?
«Gli italiani che denunciano incertezza verso il futuro sono circa il 60%: 15 punti in più rispetto al 2006. Prima della crisi. L’insicurezza tocca, ovviamente, gli indici più elevati fra le componenti più “precarie” della società. Insicure per definizione. Perché la “precarietà” nasconde il futuro. Così si spiega il senso di disorientamento diffuso. Riflette perdita di senso e di orizzonte. E di “posizione”. Perché il lavoro continua ad essere il riferimento più importante della società. Non a caso, se si guarda la classifica delle professioni in base al prestigio sociale, si osserva come, al di là del punteggio, “tutte” le professioni godano di considerazione. Ad eccezione dei “politici”, molto al di sotto della sufficienza, gran parte dei “lavori” – dagli imprenditori agli operai, dai medici agli insegnanti – superano il 7,5. E negli ultimi anni, “guadagnano”, ulteriormente, stima sociale. Un altro segno dell’importanza del lavoro, tanto più in tempi di crisi. Quando incombe la disoccupazione e la precarietà diventa “normale”. Perché lavorare non dà solo reddito. Dà dignità. Riconoscimento. Identità. Lavorare stanca. Non lavorare: umilia».

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Un link dalla carta al digitale http://ifg.uniurb.it/2010/04/13/ducato-online/un-link-dalla-carta-al-digitale/2397/ http://ifg.uniurb.it/2010/04/13/ducato-online/un-link-dalla-carta-al-digitale/2397/#comments Tue, 13 Apr 2010 16:29:38 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=2397

Avete mai visto questo simbolo?

No? Allora è bene sapere che questo strano disegnino – conosciuto come codice QR – nei prossimi anni potrebbe apparire più o meno ovunque.

In Italia quasi nessuno li ha mai sentiti nominare. In Giappone invece si possono vedere nelle facciate dei grattacieli, la Pepsi in Danimarca li mette sul fondo delle lattine e qualche temerario all’avanguardia li ha impressi pure sulle tombe dei parenti. Attenzione: non si tratta dell’ennesima diavoleria per smanettoni ossessionati dalla tecnologia, ma di qualcosa che in certi casi può essere utile oltre che divertente. Si tratta di una specie di codici a barre a due dimensioni: basta fotografarli con un telefonino, dotato di un opportuno programma e collegato a internet, per avere accesso a qualunque tipo di contenuti.

Da qualche anno sono spuntati come funghi un po’ ovunque, al punto che nelle ultime settimane sono apparsi anche in giornali e riviste italiane. Colossi come la Gazzetta dello Sport prima, PanoramaMilano Finanza poi e ora anche Repubblica e L’espresso, hanno deciso di sperimentare i codici QR (sigla che sta per quick response, risposta rapida) per allungare la vita dei propri prodotti cartacei, da tempo in crisi di vendite.

L’innovazione è un modo per dare al lettore una serie di contenuti che non possono apparire nel giornale di carta, realizzando un vero e proprio quotidiano multimediale da acquistare in edicola.

“Proviamo a pensare alla notizia di un treno che deraglia e si schianta contro un edificio in un centro abitato”, spiega Alessio Sgherza, vicecaposervizio di Kataweb. “Sul quotidiano un fatto simile lo si può raccontare fin nei minimi particolari, ma nulla come un video dell’incidente in questo caso può soddisfare il bisogno di informazione del lettore. Le immagini possono essere meglio di mille parole”.

I codici QR sono stati inventati oltre 15 anni fa da Denso-Wave, una multinazionale giapponese. All’inizio erano impiegati nel settore automobilistico per identificare i pezzi dei veicoli. Poi hanno finito per accompagnare centinaia di prodotti, dalle t-shirt ai biglietti da visita.

A chi prende in mano un giornale recentemente sarà capitato di vedere in fondo ad alcuni articoli il simbolo quadrato. Fotografando questa specie di disegnino con uno smartphone dotato di connessione a internet e applicazione per leggere il codice (si installa in pochi minuti), è possibile accedere ad un universo multimediale di video, fotografie e suoni che fanno da approfondimento alla notizia.

“Così da mezzo statico la carta diventa dinamico”, spiega Elia Blei di Rcs Mediagroup. “E’ un modo per aumentare la diffusione dei contenuti. L’utente medio è un po’ pigro, ma con un tocco sul proprio iPhone può scoprire qualcosa che gli interessa sul serio”.

Il codice QR è un esempio di quella “realtà aumentata” di cui i media parlano da qualche tempo e con la quale ci si troverà a fare i conti in futuro. Ovvero un flusso di informazioni digitali destinato a seguire l’utente ovunque, in giro per la strada come davanti a un Caravaggio durante una mostra. In futuro probabilmente tutti faremo i conti con innovazioni del genere. D’altra parte se nei McDonald’s di Tokyo si trovano nelle confezioni di cheeseburger per conoscerne gli ingredienti, se Roberto Formigoni li ha usati sui manifesti della campagna elettorale, se Giovanni Rana li ha voluti sui pacchetti di tortellini al cioccolato, se Baci e Abbracci ci ha infarcito i cataloghi della propria linea di abbigliamento per giovani, vorrà pur dire che i codici QR servono a qualcosa. E che fanno girare quattrini, anche perché l’utilità commerciale di questi simboli è evidente: una volta fotografato il codice basta ad esempio far partire uno spot pubblicitario prima del video richiesto dall’utente.

Forse anche per questo motivo qualche giornale si limita a guardare il fenomeno da lontano. Marco Pratellesi del Corriere della Sera ne parla con distacco: “Non abbiamo mai parlato di introdurli in nessuna riunione. Per ora è solo una nicchia: staremo a vedere”. Anna Masera della Stampa spiega che il suo quotidiano ha altre priorità: “Sono cose che hanno uno scopo pubblicitario fortissimo. In futuro non escludiamo nulla, ma per il momento puntiamo a realizzare edizioni del giornale per qualsiasi piattaforma”. Poi aggiunge: “Se l’obiettivo è far vedere un contenuto multimediale pazzesco, allora questi codici ci possono stare. Ma molto spesso danno poco valore aggiunto e servono solo ad attirare pubblicità”.

Che si tratti di un prodotto destinato per ora a una nicchia di utenti è evidente. Non tutti hanno uno smartphone e soprattutto non tutti hanno il traffico internet incluso nel piano tariffario per accedere al web con il cellulare. Però è anche vero che i codici QR in Giappone e negli Stati Uniti hanno sfondato. “Nel 1997 – conclude Sgherza – anche internet era destinato a una cerchia di eletti. Poi abbiamo visto come sono andate le cose”.

Guida alla rete:

Quirify

Qr-Code generator

I.nigma

Qr-Code

Come si legge un QR-Code

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Zanchini (Rai Radio 3) inaugura domani seminari su Media e Cultura http://ifg.uniurb.it/2010/02/23/ducato-notizie-informazione/zanchini-rai-radio-3-inaugura-domani-seminari-su-media-e-cultura/1481/ http://ifg.uniurb.it/2010/02/23/ducato-notizie-informazione/zanchini-rai-radio-3-inaugura-domani-seminari-su-media-e-cultura/1481/#comments Tue, 23 Feb 2010 15:52:22 +0000 http://ilducatonotizie.wordpress.com/?p=227 [continua a leggere]]]> ore 16.30

URBINO – Domani pomeriggio Giorgio Zanchini - giornalista e conduttore di “Tutta la città ne parla” su Rai Radio 3 – sarà alle ore 16 alla facoltà di Sociologia di Urbino, per inaugurare il ciclo di seminari “Cultura/Media. Gli scenari contemporanei dell’informazione culturale”.

Gli incontri, organizzati dal “Dipartimento di Scienze dalla Comunicazione. Media, linguaggi, spettacolo” avranno come tema le modalità con cui comunicazione e informazione culturale viaggiano sui media tradizionali (radio, televisione e carta stampata) ai tempi dei Social Network.

L’incontro di domani sarà preceduto alle 15,30 da una conferenza stampa tenuta dallo stesso Zanchini, ideatore della serie di eventi insieme alla direttrice del Dipartimento di Scienze della Comunicazione Lella Mazzoli.

Ecco l’elenco degli altri appuntamenti in programma: Riccardo Chiabierge, del Sole24Ore (17 marzo); Leopoldo Fabiani, de La Repubblica (24 marzo); Piero Dorfles, autore Rai (14 aprile); Marino Sinibaldi, direttore di Rai Radio 3 (21 aprile); Davide Paolini di Radio 24 (28 aprile). (l. a.)

redazioneifgurbino@gmail.com

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La stampa schierata recupera copie http://ifg.uniurb.it/2009/12/17/ducato-online/la-stampa-schierata-recupera-copie/894/ http://ifg.uniurb.it/2009/12/17/ducato-online/la-stampa-schierata-recupera-copie/894/#comments Thu, 17 Dec 2009 11:53:51 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=894 di Luca Fabbri ed Emiliana Pontecorvo

La crisi ha travolto i quotidiani di mezzo mondo, Italia compresa, ma alcuni giornali politicamente più schierati del nostro Paese hanno conquistato migliaia di copie e lettori. A destra il Giornale, a sinistra il Fatto Quotidiano e l’Unità
hanno addirittura guadagnato lettori. Mentre Libero, dato per spacciato dopo l’addio del fondatore Vittorio
Feltri
, è riuscito a rimanere a galla e la Repubblica ha recuperato un buona parte delle perdite precedenti.

E’ un periodo di passione per i quotidiani italiani, che dall’ottobre 2008 hanno perso complessivamente in un anno il 4,4 per cento delle copie. Se si considera il periodo agosto-ottobre, l’ultimo trimestre per il quale la Federazione degli editori (Fieg) ha dati disponibili, il complesso della stampa quotidiana ha perso in un anno circa il 3,6 per cento.

La girandola dei direttori che il 21 agosto ha riportato Feltri alla guida del Giornale e il 13 agosto ha spostato Maurizio Belpietro al timone di Libero, ha frenato il calo costante di copie dei due quotidiani di centrodestra nell’ultimo anno. Secondo i dati Fieg, relativi al prodotto acquistato in edicola e agli abbonamenti, nel primo mese di direzione Feltri – che ha visto, tra l’altro, il Giornale impegnato nella polemica con il direttore di Avvenire Dino Boffo – il quotidiano ha guadagnato oltre 22.000 copie (da 197.781 a 220.117).

La crescita è stata costante anche a ottobre, con quasi 211.000 copie vendute, facendo registrare dal foglio fondato da Indro Montanelli un aumento del 13,3 per cento rispetto al periodo agosto-ottobre del 2008. Si tratta di qualcosa di più di una boccata d’ossigeno per il Giornale, che da gennaio 2008 non faceva che perdere copie (a maggio 2009 oltre 32.000 giornali venduti in meno, il 15,8% rispetto a dodici mesi prima).

Si poteva pensare che l’addio di Feltri a Libero, avrebbe affossato il quotidiano. E invece no: il nuovo direttore, Maurizio Belpietro, ha frenato la prevedibile emorragia di lettori: da agosto a ottobre Libero ha venduto quasi novemila copie in più (da 111.040 a 119.836). Belpietro comunque qualche problema ce l’ha, visto che a differenza del concorrente diretto il Giornale, il 2009 è stato un anno costantemente nero in termini di vendite: da gennaio 2008 ad agosto 2009 Libero ha perso poco più del sette per cento di copie. Da quando è direttore Belpietro è riuscito ad arginare il momento di difficoltà del giornale solo in parte: tra settembre e ottobre Libero ha perso in media il 4,6 per
cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Stefano Lorenzetto, editorialista ed ex vicedirettore del Giornale, commenta il successo di Feltri: “E’ un marchio di fabbrica, è un uomo che ovunque va si porta dietro un patrimonio di copie e lettori. Di giornalisti così ci sono stati solo Indro Montanelli e Gianni Brera per lo sport”. Resta da capire  che cosa ha Feltri che non ha Belpietro. “Feltri è come la Coca Cola, Belpietro è come la Pepsi. Sono buone entrambe ma la prima vende di più, non c’è niente da fare”.

Andamento analogo a Libero è quello di Repubblica.  Il giornale fondato da Eugenio Scalfari per tutto il 2008 ha perso copie, ma la radicalizzazione dei toni del quotidiano ha attutito i colpi della crisi. In coincidenza con la campagna giornalistica delle cosiddette “Dieci domande” a Silvio Berlusconi, Repubblica ha progressivamente limitato i danni passando dal -16,4 per cento di maggio (anche qui rispetto all’anno precedente) al + 0,1 per cento dello scorso settembre.

I dati sui giornali più schierati fanno riflettere se paragonati all’andamento delle vendite del quotidiano più influente d’Italia, il Corriere della Sera, che nel trimestre agosto – ottobre 2009 ha perso il 9,5 per cento rispetto all’anno scorso. Ferruccio De Bortoli dirige il quotidiano di Via Solferino da aprile: a ottobre di un anno fa il Corriere della Sera vendeva oltre 64.000 copie in più rispetto allo stesso periodo del 2009. In nove mesi De Bortoli ha solo arginato il calo costante di copie, che a maggio era arrivato al picco del 13,7 per cento.

Nell’area della sinistra più agguerrita è sotto gli occhi di tutti il fenomeno Fatto Quotidiano, nato il 23 settembre 2009, che ha dato uno scossone a tutti i giornali di opposizione. A testimoniarlo non è la Fieg, che non include tra gli associati il quotidiano guidato da Antonio Padellaro, ma un editoriale pubblicato sul sito web del Fatto Quotidiano nel quale il direttore comunica i dati di vendita: “In quindici giorni di vita il giornale che state leggendo ha venduto, in media, circa centomila copie e non è mai sceso sotto quota 80mila. In più vanno considerati i 36mila abbonamenti, di cui 13 mila postali e 23 mila via internet”.

Le cose vanno meglio anche all’Unità da quandoa fine agosto 2008 Concita de Gregorio è arrivata alla direzione. Sempre secondo i numeri forniti dalla Fieg il quotidiano fondato da Antonio Gramsci nel periodo agosto-ottobre del 2009 ha venduto oltre novemila copie in più, con un aumento del 19,8 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2008. Il record di vendite è stato toccato a settembre, quando ha superato le 61.000 copie, con un aumento del 31,4 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Secondo Angelo Agostini, direttore del trimestrale Problemi dell’Informazione, “l’aumento delle vendite dei giornali più radicalizzati politicamente è un esempio possibile di via d’uscita dalla crisi economica della carta stampata. I quotidiani non erogano più notizie ma sono uno strumento per inquadrare il mondo. Quindi chi rappresenta la radicalizzazione dello scontro politico inevitabilmente attira più lettori”. Riguardo al Fatto Quotidiano Agostini sospende il giudizio: “E’ ancora troppo presto per parlare. E poi spesso questo tipo di giornali cavalcano onde molto alte, come l’antiberlusconismo attuale”.

Guida alla rete:

Libero

Il Fatto Quotidiano

l’Unità

la Repubblica

Il Corriere della Sera

Fieg

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Arriva in Italia il Twitter Journalism http://ifg.uniurb.it/2009/02/20/ducato-online/arriva-in-italia-il-twitter-journalism/730/ http://ifg.uniurb.it/2009/02/20/ducato-online/arriva-in-italia-il-twitter-journalism/730/#comments Fri, 20 Feb 2009 10:24:26 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=730 Da gennaio Repubblica.it ha avviato la prima sperimentazione italiana di Twitter Journalism. Ha cioè aperto un canale per distribuire i propri contenuti sulla piattaforma di microblogging.

Clicca qui per vedere il video incorporato.

Sulla pagina appaiono in automatico i titoli con i link agli articoli del sito. Ad oggi, circa 150 persone si sono iscritte come “followers” e ricevono, in tempo reale nella propria homepage di Twitter, in media 28 brevi messaggi al giorno che contengono il titolo e il link della notizia appena pubblicata sul sito.

“Ci interessa molto l’informazione sui cellulari e Twitter potrebbe essere l’anello di congiunzione tra informazione sul web e sui telefonini”, spiega al Ducato online Giuseppe Smorto, responsabile di Repubblica.it.

Proprio pochi giorni fa l’amministratore delegato del social network, Jack Dorsey, ha dichiarato che Twitter avrà entro l’anno una versione in italiano e ripristinerà la possibilità di ricevere gli aggiornamenti degli amici via sms. Ricezione che era stata disattivata a metà 2007 per costi eccessivi.

To twit in inglese significa “cinguettare”. Twitter è una piattaforma di microblogging con funzionalità di social network; è un servizio internet gratuito che consente di pubblicare dei messaggi, non più lunghi di 140 caratteri, tramite web, messenger o sms. Ogni utente può scegliere di seguire altri utenti: in questo modo otterrà una pagina con tutti i loro “cinguettii” (i messaggi), in ordine di tempo.

L’esperimento di Repubblica potrebbe essere solo l’inizio di analoghe esperienze in Italia: “I grandi gruppi editoriali italiani dovrebbero sperimentare nuove combinazioni per sfruttare Twitter. Ad esempio CNN e Facebook hanno trovato un buon modo di combinare Tv e social network”, dice al Ducato online Sergio Maistrello, giornalista e saggista, esperto in comunicazione on-line e nuove tecnologie.

CNN e Facebook, infatti, hanno sperimentato un nuovo modo di comunicare: la diretta organizzata per seguire l’insediamento del presidente Barack Obama si poteva vedere in internet tramite il canale cnn.com che oltre a mettere a disposizione 4 canali differenti, dava la possibilità di seguire le conversazioni che avvenivano in Facebook sia dei propri amici che delle persone che stavano seguendo l’evento. Tv e chat di Facebook combinati in un’unica finestra.

Per Maistrello inoltre: “Twitter potrebbe essere un’opportunità per raccontare i fatti in modo più emotivo, più diretto, meno freddo rispetto ai normali articoli giornalistici”.

Negli Stati Uniti sono molte le testate giornalistiche che hanno scoperto da tempo questa possibilità: oltre 70 quelle che “twittano” quotidianamente circa dieci notizie ed hanno creato più account: uno per ogni per ogni area tematica (economia, sport, cronaca ecc). La CNN, per esempio, ha 237.000 “followers” cui invia quotidianamente una media di 12 “tweets”.

Twitter è utile ai giornalisti anche come fonte di informazione: la rapidità e l’immediatezza d’uso ne fanno un mezzo per pubblicare in tempo reale notizie e aggiornamenti, anticipando di diversi minuti la pubblicazione delle testate tradizionali.

Se ne è avuta una conferma con l’incidente aereo sul fiume Hudson (New York) del 16 gennaio. Il primo a dare notizia dell’ammaraggio dell’aereo e a pubblicarne una foto è un privato cittadino, Janis Krums. E lo fa su Twitter.

Lo stesso social network era stato preso d’assalto durante l’attacco terroristico di Mumbai del 26 novembre 2008. Secondo la CNN i testimoni oculari inviavano via sms circa 80 messaggi ogni 5 secondi a Twitter.com.

Giuseppe Smorto di Repubblica.it ritiene che: “Twitter possa effettivamente essere molto utile per seguire in tempo reale fatti specifici, eventi particolari che hanno un determinato svolgimento temporale come attentati terroristici o anche partite di calcio. Sul nostro sito Repubblica.it abbiamo però già da tempo la ‘cronaca minuto per minuto’. Si tratta di capire come poter sfruttare le potenzialità di Twitter che ha anche la limitazione dei 140 caratteri”.
Guida alla rete:

Twitter.com
Repubblica.it in Twitter
Statistiche di Repubblica.it in Twitter
CNN in Twitter
Incidente aereo fiume Hudson in Twitter
CNN e Facebook insieme

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