il Ducato » Siria http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » Siria http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it “Vi racconto il dramma della Siria”. Dachan vince il premio “A passo di notizia” http://ifg.uniurb.it/2015/03/01/ducato-online/vi-racconto-il-dramma-della-siria-dachan-vince-il-premio-a-passo-di-notizia/66453/ http://ifg.uniurb.it/2015/03/01/ducato-online/vi-racconto-il-dramma-della-siria-dachan-vince-il-premio-a-passo-di-notizia/66453/#comments Sun, 01 Mar 2015 10:37:24 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=66453 DSCN2047

La guerra civile siriana, iniziata nel 2011, si è fatta ancora più aspra e caotica in seguito all’ingresso in campo dell’Isis

Ha raccontato il dramma siriano sfidando la bombe e visitando i campi profughi, cercando di non dare nell’occhio perché poteva costarle caro. Asmae Dachan, giornalista anconetana di origini siriane, ha vinto il premio “A passo di notizia”, messo in palio dall’Ordine dei giornalisti delle Marche e dedicato quest’anno al giornalismo in zone di guerra. Il reportage che le ha fruttato il premio offre una panoramica del nord della Siria, dove si trova Aleppo, la città più popolosa del Paese, e dove abbondano i campi profughi (di 23 milioni di siriani, ben 9 vivono da sfollati). La  premiazione si terrà il 7 marzo ad Ancona nella Mole Vanvitelliana. Dopo la cerimonia, verrà inaugurata nella stessa Mole la rassegna “Siria: tra macerie e speranze“, dove saranno esposte le foto scattate dalla Dechan durante il reportage. Le interviste e le foto della Dachan sono state pubblicate su diversi giornali e siti in tutta Italia, tra i quali Tellus Folio, ‘l Gazetin, Cagliari Globalist, Voce della Vallesina e l’agenzia Sir.

“Era la mia prima esperienza in una situazione così al limite – racconta la Dachan –  mi sono trovata a fare interviste sotto i bombardamenti, mi è capitato anche di trovarmi faccia a faccia con i cecchini. Dovevo spostarmi continuamente, evitando di dare nell’occhio e portarmi dietro solo attrezzatura che potesse entrare in uno zaino. Cercavo di non attirarmi l’antipatia della gente, che ha paura dei giornalisti e non vuole essere ripresa”.

Su 23 milioni di persone presenti in Siria, ben 9 vivono da sfollati

Su 23 milioni di persone presenti in Siria, ben 9 vivono da sfollate

Col suo servizio la giornalista ha voluto dare voce alle categorie più disagiate di un Paese che, da ormai quattro anni, è alle prese con la guerra civile. “Ho fatto tantissime interviste, soprattutto alle donne – spiega – volevo fare un racconto che partisse dal basso, per mostrare quali sono le condizioni di vita nelle tendopoli. Io stessa vivevo lì con loro, senza corrente né acqua potabile, per provare sulla mia pelle quella che è la situazione di uno sfollato. Ho intervistato anche alcuni bambini, che in Siria a otto anni spesso sanno già perfettamente cos’è la morte dato che vedono tantissime esecuzioni e in molti casi hanno perso i genitori. Purtroppo sono fonti di notizie anche loro, e le raccontano in una maniera così dettagliata da lasciare allibiti”.

Nel contatto con la gente il fatto di essere di origine siriana l’ha aiutata tanto. “Parlando siriano non avevo bisogno dell’interprete. Questo per me è stato un vantaggio enorme, ho potuto cogliere tante sfumature linguistiche che altrimenti mi sarei persa. Mi ha fatto riflettere molto il fatto che dopo un po’ mi percepivano come straniera, anche se ho origini siriane”.

Asmae Dachan ha documentato la propria esperienza con tantissime foto e anche con qualche video. “Di riprese però non ne ho fatte tantissime, non sono proprio il mio settore. Però sono riuscita a immortalare alcune situazioni molto toccanti. Come ad Aleppo, dove ho filmato dei soccorritori che estraevano il corpo di una donna dalle macerie sotto le quali era sepolto da oltre una settimana”.

La situazione del Paese, intanto, si fa sempre più critica. “Sono stata due volte in Siria, nel 2013 e nel 2014, da un viaggio all’altro la situazione è ulteriormente precipitata. E a pagarne le conseguenze e sono i civili. Gli ospedali sono paralizzati un po’ ovunque, bisogna creare al più presto una no fly zone e aprire dei corridoi umanitari”.

DSCN2576Proprio per questo, la Dachan apprezza molto le persone che vanno in Siria per aiutare la popolazione. Come Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due cooperanti italiane rapite in Siria e poi liberate.  “Intervistai Vanessa nel 2012 a Bologna, durante una marcia di solidarietà per i bambini siriani. Sono addolorata per la deriva sessista e schizofrenica che ha preso il dibattito attorno alla sua vicenda. Sicuramente lei e la sua amica hanno sbagliato a entrare in Siria in quel modo, ma mi sento solo di dirle grazie. Davanti alle sofferenze del popolo siriano non si è girata dall’altra parte, ha cercato di dare una mano”.

La gravità della situazione siriana, comunque, è più antica di quel che si pensa. “Perché se ne è sempre parlato poco. È oggettivamente difficile raccontare la Siria, un Paese ostile coi giornalisti e dove manca del tutto la libera informazione, visto che l’unica fonte è quella del regime. Per questo sento di dover ringraziare l’Italia, che garantisce la libertà di espressione e di stampa nella Costituzione. Certo la libertà è un percorso da confermare giorno per giorno, ma i mezzi legali per farla rispettare li abbiamo. Noi giornalisti dobbiamo lottare quotidianamente per recuperare gli spazi di libertà che nessuno ci può negare, dicendo le cose come stanno senza accettare compromessi. Altrimenti la nostra professione non ha senso”.

Per fortuna, sostiene la Dachan, anche nel caos generale della Siria qualcosa si muove. “I giovani siriani hanno capito l’importanza di internet. Molti sono diventati citizen reporter, documentano ciò che succede attorno a loro con video e foto e li pubblicano sul web. Grazie al supporto di organizzazioni straniere sono nate anche delle agenzie che li seguono”.

Dell’Italia, la giornalista italo-siriana apprezza anche l’approccio nei confronti dei migranti. “Mi piace il modello di integrazione italiano, è fondato sull’inclusione e sulle partecipazione e in questo modo non si creano ghetti ed emarginati sociali. Bisogna lavorare sull’armonia, senza rinunciare alle proprie origini e ai propri simboli. La cultura italiana è portatrice di valori importanti che devono essere trasmessi ai giovani stranieri, per questo la scuola è importante”.

 

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Banksy a Urbino, #withsyria il progetto della studentessa Claudia Trianni http://ifg.uniurb.it/2014/03/25/ducato-online/banksy-a-urbino-withsyria-il-progetto-della-studentessa-claudia-trianni/60297/ http://ifg.uniurb.it/2014/03/25/ducato-online/banksy-a-urbino-withsyria-il-progetto-della-studentessa-claudia-trianni/60297/#comments Tue, 25 Mar 2014 17:44:30 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=60297 GUARDA IL VIDEO]]> Nella foto, con il cuore, Claudia Trianni

Nella foto, con il cuore, Claudia Trianni

URBINO – Un palloncino a forma di cuore è passato di mano in mano tra le vie di Urbino. Un gruppo di ragazzi ha realizzato un video ispirato al famoso graffito di Banksy contro la guerra in Siria. Come la bambina che vede volar via il suo giocattolo preferito, i passanti hanno posato con il palloncino davanti all’obiettivo di Claudia Trianni.

“Volevamo generare interesse intorno al tema della guerra in Siria – racconta la studentessa di 21 anni – spesso coloro che fermavamo non sapevano di cosa si trattasse. Noi abbiamo raccontato di Banksy, del suo progetto nato per ricordare i tre anni dall’inizio del conflitto. In questo modo abbiamo fatto un pò di ‘informazione'”.

Da piazza della Repubblica a via Raffaello, dalle mura alla Fortezza, Claudia Trianni ha filmato e scattato foto a chiunque, facendosi aiutare da Sabrina Zennaro, Clotilde Bagnaresi e Sara De Benedictis, sia nelle riprese sia nel montaggio. In tutto ci sono voluti quasi dieci giorni di lavoro: “So che il video non è venuto perfetto ma era la prima volta che mi cimentavo in un progetto simile – racconta Claudia – studiando Sociologia, indirizzo ‘Informazione, media e pubblicità’, ho sempre avuto una passione per gli spot con finalità sociali“.

Il video, condiviso su Youtube e Facebook e inserito nel blog Pubblicity, sembra aver riscosso molto successo. “Lo scopo del nostro lavoro era proprio mandare un messaggio. Stimolare l’interesse della gente, far capire che sta succedendo qualcosa di ‘grosso’ poco lontano da qui”.

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Giornalisti presi di mira in Siria, il Paese “più pericoloso da raccontare” http://ifg.uniurb.it/2013/05/27/ducato-online/giornalisti-presi-di-mira-in-siria-il-paese-piu-pericoloso-da-raccontare/48361/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/27/ducato-online/giornalisti-presi-di-mira-in-siria-il-paese-piu-pericoloso-da-raccontare/48361/#comments Mon, 27 May 2013 07:40:16 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=48361 [continua a leggere]]]> Nel 2010, all’alba del conflitto siriano, il movimento nato contro il dittatore  Bashar al-Assad sembrava l’ultima delle rivoluzioni della primavera araba, ma dopo pochi mesi ha mostrato il suo volto più nascosto: una vera guerra fratricida. Il conflitto siriano è inedito per i media: tutte le fazioni in gioco hanno un forte potere propagandistico e per scoprire la verità serve addentrarsi nei meandri delle città in rivolta. I giornalisti che entrano nel Paese cercano di ridurre al minimo i rischi, ma spesso non basta per restare vivi. Negli ultimi tre anni, in Siria, sono morti 45 giornalisti e ne sono stati imprigionati 14. I dati sono stati diffusi dal Comitato internazionale per la tutela dei giornalisti, che registra costantemente i reporter caduti sul campo e quelli in carcere per motivi legati alla professione

Tra i caduti ci sono il video-operatore di France 2 Gilles Jacquier, il giornalista di Al-Jazeera Mohamed al-Mesalma, la fotoreporter del Japan Press Mika Yamamoto e la giornalista del Sunday Times  Marie Colvin, morta durante l’assedio di Homs. Nel 73% dei casi i giornalisti hanno perso la vita a causa di proiettili vaganti, il 14% in compiti pericolosi e nell’11% dei casi sono stati volontariamente assassinati. In tutti i casi di omicidio i colpevoli non sono stati puniti, in un clima di anarchia quasi totale. Tra i giornalisti uccisi, solo il 14% provengono da fuori il Paese e la maggior parte dei caduti appartiene al mondo arabo. Più della metà lavorava per il Web e il 41% erano freelance.

Marie Colvin, giornalista del Sunday Times uccisa ad Homs nel 2011

Non esistono, invece, dati ufficiali sui giornalisti rapiti, ma si sa che i professionisti scomparsi nel nulla in Siria sono almeno 5 finora.  L’ultimo giornalista italiano di cui si sono perse le tracce é l’inviato della stampa Domenico Quirico, scomparso il 9 aprile scorso nei pressi di Homs. È già capitato in passato che l’esercito regolare arrestasse giornalisti e non diffondesse più loro notizie per mesi, come nel caso dello statunitense James Foley: il  freelance di 39 anni, che collabora con il GlobalPost e l’agenzia France-Presse,  e’ tenuto in ostaggio dai servizi segreti siriani in un centro di detenzione fuori Damasco. La notizia é stata diffusa solo a inizio maggio, dopo sei mesi di prigionia.

Lo stesso Comitato afferma che ad oggi “la Siria è il luogo più pericoloso per i giornalisti”, poiché è il Paese in cui si hanno meno garanzie e in cui si rischia maggiormente di essere uccisi. Il team della freelance Susan Debbous, rapita in Siria lo scorso aprile e rilasciata dopo 10 giorni, aveva una scorta armata, ma neanche questo è bastato a non finire nelle mani dei rapitori.

Anche oggi una giornalista ha perso la vita in Siria.  Si tratta di Yara Abbas, corrispondente di guerra della tv di Stato siriana Al-Ikhbariyah. la giornalista sembra essere stata uccisa dai ribelli mentre si trovava nei pressi della base militare di Dabaa, nella provincia centrale di Homs. In quella zona infuriano gli scontri tra i terroristi islamici di Hezbollah e i ribelli.

 

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Il Pulitzer Contreras: “Uso le foto per non far cadere le tragedie nell’oblio” http://ifg.uniurb.it/2013/05/27/ducato-online/il-pulitzer-contreras-uso-le-foto-per-non-far-cadere-le-tragedie-nelloblio/47942/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/27/ducato-online/il-pulitzer-contreras-uso-le-foto-per-non-far-cadere-le-tragedie-nelloblio/47942/#comments Mon, 27 May 2013 06:30:47 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=47942 SCHEDA La Siria non è un paese per reporter]]>

Ribelli siriani (AP/Narciso Contreras)

Nella Siria dilaniata dalla guerra civile, i cecchini si appostano per giorni nei palazzi delle città distrutte: restano immobili e guardano fuori attraverso piccoli fori di proiettile, le uniche ‘finestre’ che riescono a far passare sottili fasci di luce. Nelle strade è molto forte l’odore di morte e tra le macerie delle case, smembrate dalla guerriglia e dai bombardamenti del regime, il rosso del sangue rattrappito si mischia alla polvere. Solo gli scatti dei fotoreporter e dei video-operatori immortalano attimi e persone che rischiano di svanire nel nulla, protagonisti di storie troppo facili da dimenticare.

SCHEDA La Siria non è un paese per reporter

Narciso Contreras è uno dei giornalisti che sono scesi nell’inferno siriano e sono riusciti a tornare: negli ultimi 3 anni sono stati uccisi ben 44 reporter, come testimoniato dal Comitato per la protezione dei giornalisti, che sul suo sito aggiorna costantemente il numero delle vittime. quest’anno, Contreras, è stato insignito del premio Pulitzer nella categoria Breaking news photography, insieme ad altri quattro colleghi che lavorano per l’Associated Press (Rodrigo Abd, Manu Brabo, Khalil Hamra e Muhammed Muheisen) per aver “coperto in modo eccellente la guerra civile in Siria, producendo immagini memorabili in condizioni di pericolo estremo”.

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Il fotoreporter non è un soldato, è un uomo che racconta storie, partecipe e spettatore al tempo stesso degli eventi. Ma anche se il ruolo del giornalista non è ‘fare la guerra’, deve comunque prepararsi nel modo più preciso possibile, in modo da ridurre al minimo i rischi.

Come ti prepari prima di entrare in un’area pericolosa?
Esamino la situazione il più attentamente possibile: studio l’area che dovrò coprire, chi troverò sul territorio; leggo tutte le informazioni reperibili e individuo le vie d’accesso. Poi traccio il percorso da seguire con i miei colleghi e preparo mappa, l’equipaggiamento fotografico, quello di sicurezza e quello di primo soccorso. Una delle cose più importanti di cui tenere conto prima di entrare in una zona pericolosa sono le parti coinvolte: bisogna conoscere il loro backgound e gli sviluppi delle dinamiche interne. Però, d’altra parte, evito il più possibile di farmi dei pregiudizi.

Cosa ti spinge a rischiare la vita per questo lavoro?
Personalmente non rischio la vita per questo lavoro, non è questo il senso in cui intendo la mia occupazione. Sono un fotografo, non sono né un fotografo di guerra né  mi piace avere altre etichette simili. La fotografia è il modo a me più congeniale di intendere la comunicazione, il mio modo di relazionarmi con i soggetti ai quali sono interessato. Io credo che la fotografia sia un modo per essere testimoni delle tragedie umane, per documentarle e per fare in modo che non cadano nell’oblio.

Come si può riassumere la tua esperienza in Siria?
La Siria è lo scenario in cui si stanno definendo gli equilibri del potere a livello mondiale. Noi siamo testimoni di un cambiamento di rotta spinto dall’alto, a costo di migliaia di vite umane. La tragedia siriana sta ridefinendo l’influenza dei Paesi occidentali e dei loro alleati arabi sul Medio oriente. La guerra in Siria è la guerra che definisce questo momento storico; è importante capire e documentare questo per quanto è possibile. La mia esperienza in Siria è stata rivelatrice e sono rimasto scioccato da quello che sto documentando.

Cosa provi a scattare fotografie nel mezzo di un conflitto?
Paura. il brivido di essere dentro la battaglia, in mezzo a un vero combattimento. Ma più riesci ad affrontare la paura, più sei in grado di sopportarla e di uscire vivo dalle situazioni pericolose.

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Giornale radio 14/5/2013 – ore 12.30 http://ifg.uniurb.it/2013/05/14/radio-ducato/giornale-radio-1452013-ore-12-30/47079/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/14/radio-ducato/giornale-radio-1452013-ore-12-30/47079/#comments Tue, 14 May 2013 12:49:20 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=47079 Ascolta il GR delle 12.30

a cura di Mario Marcis

In studio Silvia Pasqualotto e Stefano Rizzuti

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Giornale radio 13/5/2013 – ore 17.30 http://ifg.uniurb.it/2013/05/13/radio-ducato/giornale-radio-1352013-ore-17-30/46840/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/13/radio-ducato/giornale-radio-1352013-ore-17-30/46840/#comments Mon, 13 May 2013 16:32:10 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=46840 [continua a leggere]]]> Ascolta il GR delle 17.30

a cura di Mario Marcis

In studio Giovanna Olita e Francesco Morrone

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Susan Dabbous: “La Siria è un Paese ormai fuori controllo” http://ifg.uniurb.it/2013/05/01/ducato-online/susan-dabbous-la-siria-e-un-paese-ormai-fuori-controllo/44877/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/01/ducato-online/susan-dabbous-la-siria-e-un-paese-ormai-fuori-controllo/44877/#comments Wed, 01 May 2013 17:42:13 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44877

Susan Dabbous

Un conflitto sporco fatto di tutti contro tutti: la Siria di Assad brucia, ma le informazioni che riescono ad oltrepassare la barriera del silenzio sono frammentate. I giornalisti che vogliono raccontare la rivoluzione siriana devono lavorare in clandestinità e rischiano ogni giorno di essere rapiti.

L’ultimo giornalista di cui si sono perse le tracce è l’inviato della Stampa Domenico Quirico: il giornale di Torino non ha sue notizie da due settimane, quando si trovava nella zona di Homs.

Ad aprile erano scomparsi altri giornalisti, tra cui Susan Dabbous, che in questi anni ha seguito gli scontri tra l’esercito ribelle e il regime di Assad: lei è stata la prima a raccogliere le testimonianze apparse sui giornali italiani dei disertori torturati dal regime di Damasco. Il 4 aprile scorso è stata rapita, insieme a tre colleghi (Amedeo Ricucci, Elio Colavolpe e Andrea Vignali), da un gruppo islamista, per essere poi liberata dopo 8 giorni. Lei e i suoi colleghi erano stati accusati di spionaggio perché probabilmente avevano ripreso qualcosa che i ribelli non volevano si vedesse.

In Siria la diffidenza verso gli stranieri è alta e i giornalisti sono quelli più a rischio. Chi decide di partire per la Siria lo fa sapendo quello che rischia, ma in questo lavoro non vale improvvisare.

Qual è stata la tua preparazione prima di partire?
Quando ero al quotidiano Terra ho reperito informazioni lavorando dal desk: ho preso contatto con la comunità siriana in Italia, ho studiato il territorio e poi sono stata in Turchia per approfondire la situazione siriana da quella parte del confine. Ero una neofita in questo tipo di giornalismo e prima di entrare fisicamente in Siria mi sono creata una rete di contatti che ho avuto tramite colleghi. In casi come questi bisogna essere solidali con gli altri giornalisti, anche perché farsi concorrenza non porta da nessuna parte. La lunghezza del conflitto non permette di essere in competizione. Andare allo sbaraglio non conviene, si rischia la pelle; ti può andare bene, come ti può andare molto male. C’è chi l’ha fatto: ci sono alcuni freelance americani che sono scomparsi da 7 mesi e non si sa dove siano finiti. È fondamentale chiamare dei professionisti già presenti sul territorio per avere una rete: in questo modo si riesce a fare un lavoro straordinario.

Come hai fatto concretamente ad entrare in Siria?
La Siria ha proposto dei problemi abbastanza inediti: il regime non rilascia visti, perciò se vuoi entrare nel Paese lo devi fare illegalmente, nelle totale clandestinità. Per farlo ti devi affidare a qualcuno che può farti passare il confine. Una volta dentro devi affidarti ai tuoi contatti. Questi ti portano dalle persone da intervistare o dove c’è qualcosa da raccontare: campi profughi spontanei, città senza elettricità, villaggi bombardati e feriti senza assistenza. Tutte storie che ho raccontato in questi anni. All’inizio chi voleva entrare in Siria doveva affidarsi a dei contatti presenti sul territorio in grado di garantirti una protezione, ma a due anni di distanza quelle stesse persone non possono più darti protezione perché la situazione è totalmente fuori controllo.

In che senso “senza controllo”? Che tipo di conflitto è quello siriano?
Il conflitto siriano è una guerra civile, senza dubbio. Ma nell’ultimo periodo le cose stanno cambiando; si è aperta una nuova fase in cui non ci sono più solo due schieramenti ben distinti: l’esercito ribelle non è più compatto e l’opposizione siriana si è frammentata in molti gruppi che perseguono diversi scopi e sono in guerra fra loro. Non esiste più un blocco unico fatto di ‘tutti contro Assad’ come invece era all’inizio.

Chi sta prendendo le redini dell’opposizione? I gruppi laici o quelli islamici?
I gruppi islamici sono armati meglio e stanno avendo un ruolo da protagonisti nel conflitto militare. L’anima laica della Siria è in minoranza perché oppressa dalla propaganda islamista, ma è comunque presente sul piano politico. Ci sono molte figure interessanti all’interno dei gruppi laici che avranno sicuramente un peso nella leadership futura del Paese. Molti di questi esponenti sono in esilio e quando rientreranno si aprirà sicuramente una nuova partita. Ma per il momento questa prospettiva è ancora lontana, visto che la situazione militare è bloccata.

Avevi delle guardie del corpo in Siria?
All’inizio non avevo una scorta militare, poi quando mi sono unita ad una troupe televisiva è diventato necessario avere delle guardie armate. Eravamo molti e davamo nell’occhio, per questo avevamo due uomini delle sicurezza e una guida. Ma è servito a poco, dato che alla fine ci hanno preso…

Che ruolo hanno i paesi confinanti in questo conflitto?
In Iraq, il governo ufficiale appoggia il regime di Assad, ma Al-Qaeda sta con i ribelli islamici. La Turchia è la nazione confinante più potente e cerca di sfruttare questa situazione, anche politicamente. Il Libano, invece, è uno Stato troppo debole per avere una sua linea autonoma ed è sotto l’influenza del governo di Damasco. Però al suo interno, la comunità sunnita appoggia l’opposizione.

Ribelli siriani tra le strade di Aleppo

Quale potrebbe essere il futuro politico della Siria? Il nuovo governo sarà composto da islamici moderati sul modello egiziano di Morsi?
È veramente difficile fare un pronostico in questo momento, la composizione etnico sociale della Siria è molto diversa da quella dell’Egitto: lì c’è una quasi totalità di musulmani sunniti, circa il 90%, mentre in Siria questa componente è al 70%. La restante parte è fatta di altre confessioni religiose. Oltre a una consistente comunità cristiana c’è anche la minoranza musulmana alawita, di cui fa parte la famiglia di Assad, al potere da 40 anni. Prima questa comunità era la più svantaggiata e marginalizzata, mentre adesso è diventata classe media. Il colpo di Stato le ha fatto fare un salto di qualità e gli alawiti fanno di tutto per mantenere i privilegi acquisiti.

Tornando alla tua specifica esperienza, per una donna giornalista è più difficile lavorare in zone di guerra e raccontare un conflitto in prima persona?
Non credo che sia più difficile per una donna lavorare in una zona di conflitto. E non ci sono problemi per una giornalista lavorare in un Paese islamico: in Marocco, in Egitto o altri lo fai tranquillamente. Il problema è quando ci sono gruppi fondamentalisti islamici: loro vedono la donna come qualcosa di ‘impuro’, per semplificare. Nel mio caso, quando vieni rapita da uno di questi gruppi hai l’aggravante di essere una donna. Da parte loro c’è il rispetto del corpo, ma non quello dell’individuo”.

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Siria e primavere arabe, la conferenza a Scienze politiche http://ifg.uniurb.it/2013/04/16/ducato-notizie-informazione/siria-e-primavere-arabe-la-conferenza-a-scienze-politiche/43189/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/16/ducato-notizie-informazione/siria-e-primavere-arabe-la-conferenza-a-scienze-politiche/43189/#comments Tue, 16 Apr 2013 13:36:51 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=43189 [continua a leggere]]]> URBINO –  La Siria e le primavere arabe sono al centro della conferenza di domani organizzata dalla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Urbino. In cattedra ci saranno Stefano Visentin, professore di storia del pensiero politico e il professore Massimiliano Trentin dell’Università di Bologna che spiegheranno i risvolti politico – sociali delle primavere arabe e chiariranno alcuni aspetti ancora ‘oscuri’ delle vicende mediorientali.

Il ‘launch seminar’ dal titolo “Siria, il lato oscuro delle primavere arabe”  avrà inizio alle 13,30  nell’aula Magna della facoltà di scienze politiche .

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Giornale radio 27/03/2012 – ore 17.30 http://ifg.uniurb.it/2012/03/27/radio-ducato/giornale-radio-27032012-ore-17-30/29891/ http://ifg.uniurb.it/2012/03/27/radio-ducato/giornale-radio-27032012-ore-17-30/29891/#comments Tue, 27 Mar 2012 16:43:49 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=29891 [continua a leggere]]]> Ascolta il GR delle 17.30

a cura di Barbara Lutzu

In studio conducono

Martina Ilari e Antonio Siragusa

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Giornale Radio del 14/3/2012 – ore 17:30 http://ifg.uniurb.it/2012/03/14/radio-ducato/giornale-radio-del-1432012-ore-1730/28592/ http://ifg.uniurb.it/2012/03/14/radio-ducato/giornale-radio-del-1432012-ore-1730/28592/#comments Wed, 14 Mar 2012 17:08:25 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=28592 Ascolta il GR delle 17.30

a cura di Dino Collazzo

In studio conducono

Davide Maria De Luca e Nadia Ferrigo

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http://ifg.uniurb.it/2012/03/14/radio-ducato/giornale-radio-del-1432012-ore-1730/28592/feed/ 0 Ascolta il GR delle 17.30 - a cura di Dino Collazzo - In studio conducono - Davide Maria De Luca e Nadia Ferrigo Ascolta il GR delle 17.30 a cura di Dino Collazzo In studio conducono Davide Maria De Luca e Nadia Ferrigo il Ducato no