il Ducato » Stati Uniti http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » Stati Uniti http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Una storia d’amore a Urbino, il romanzo nato negli Usa che conquista il Maryland http://ifg.uniurb.it/2014/02/26/ducato-online/una-storia-damore-a-urbino-il-romanzo-nato-negli-usa-che-conquista-il-maryland/57957/ http://ifg.uniurb.it/2014/02/26/ducato-online/una-storia-damore-a-urbino-il-romanzo-nato-negli-usa-che-conquista-il-maryland/57957/#comments Wed, 26 Feb 2014 16:53:33 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=57957 Urbino, unexpectedly

La copertina di Urbino, unexpectedly

URBINO – Inaspettatamente, Urbino conquista i lettori statunitensi, come cornice di una bella storia d’amore dei tempi moderni e luogo di serenità. A portare la città oltreoceano è stata Maria Chiara Marsciani con il suo libro Urbino, unespectedly, presentato il primo gennaio di quest’anno.

Urbino, unexpectedly è la storia di una giovane ragazza, Clara, che si sente infelice e inadeguata, un pesce fuor d’acqua, nonostante abbia una vita agiata e priva di particolari difficoltà. La svolta nella sua esistenza arriva per caso, quando proprio a Urbino incontra Leonardo, un dottore di Roma, e con lui trova finalmente l’amore e la serenità. Libera da regole e imposizioni sociali, Clara può finalmente essere sé stessa.

Originaria di Rimini,  Maria Chiara Marsciani vive e lavora come psicologa a Potomac, nel Maryland, dal 1994, con il marito e la figlia di 10 anni. Ma non smette mai di pensare alla sua terra, dove torna ogni estate.

“Ho scelto Urbino innanzitutto perché per me è una delle città più belle d’Italia, venivo spesso a  da piccola con i miei genitori a visitarla, essendo io di Rimini, e mi è rimasta nel cuore – racconta – ma soprattutto perché negli Stati Uniti le nostre zone non sono molto conosciute ed è un vero peccato. Tutti collegano l’Italia principalmente con la Toscana e quindi volevo tentare di diffondere anche qui la bellezza di queste regioni”.

Il libro, scritto per il momento solo in inglese, sta riscuotendo un buon successo nell’ambiente letterario americano e su Amazon, il celebre sito di vendite online, è classificato con 4 stelle e mezza su 5 grazie ai commenti positivi dei lettori. “Ho fatto una presentazione proprio questa domenica – racconta l’autrice –  e terrò alcune sessioni di book signing, presentazione del libro e autografi, in alcune librerie nei prossimi giorni. Sono molto soddisfatta, sto pensando di tradurlo in italiano”.

Tra le coste romagnole e le colline marchigiane, Urbino è il luogo ideale per iniziare una storia d’amore, ed è descritta dall’autrice in tutte le sue caratteristiche: la piazza, il Palazzo Ducale e la corte dei Duchi, l’atmosfera che si respira in ogni angolo della città. “Parlo sempre delle mie zone quando posso e ho anche molte foto a casa che faccio vedere a tutti – conclude Marsciani – ora vivo qui ma non escludo che prima o poi ritornerò, la mia terra è sempre la mia terra”.

 

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Università di Urbino, bando per 3 borse di studio negli Stati Uniti http://ifg.uniurb.it/2013/12/04/ducato-notizie-informazione/universita-di-urbino-bando-per-3-borse-di-studio-negli-stati-uniti/53133/ http://ifg.uniurb.it/2013/12/04/ducato-notizie-informazione/universita-di-urbino-bando-per-3-borse-di-studio-negli-stati-uniti/53133/#comments Wed, 04 Dec 2013 15:19:35 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=53133 [continua a leggere]]]> URBINO – L’Università di Urbino mette a disposizione per l’anno accademico 2014-2015, tre borse di studio destinate agli studenti dell’ateneo per trascorrere sei mesi in una delle 142 università degli Stati Uniti che aderiscono al progetto Isep (international students exchange program). Le domande dovranno essere presentate entro il 13 dicembre.

La borsa comprende vitto e alloggio e l’esenzione dalle tasse di iscrizione all’università ospitante. Gli studenti, che verranno selezionati con un’esame per titoli da una commissione accademica, dovranno provvedere alle spese di viaggio, quelle per l’assicurazione sanitaria e iscriversi al programma Isep, il cui costo è di 320 euro. Sul sito dell’università tutte le informazioni necessarie per accedere al bando.

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Usa, la politica affossa per legge un corso di giornalismo d’inchiesta http://ifg.uniurb.it/2013/06/13/ducato-online/wisconsin-la-politica-affossa-per-legge-un-corso-di-giornalismo-dinchiesta/51106/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/13/ducato-online/wisconsin-la-politica-affossa-per-legge-un-corso-di-giornalismo-dinchiesta/51106/#comments Thu, 13 Jun 2013 10:22:14 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=51106

Università del Wisconsin

La politica spesso attacca la stampa libera, ‘colpevole’ secondo loro di mettere il naso dove non dovrebbe. Frequenti le querele e le intimidazioni, a volte anche fondate. Ma negli Stati Uniti, i senatori dello Stato del Wisconsin hanno fatto un passo ulteriore: hanno colpito con una norma di legge addirittura l’esistenza stessa di un Centro per il giornalismo investigativo, vietandone la collaborazione con l’università.

È successo all’università del Wisconsin che qualche anno fa per permettere agli studenti di entrare in contatto diretto con la professione avevano creato una convenzione con il Centro di giornalismo investigativo della città, un luogo in cui gli alunni avrebbero imparato a usare le armi della professione. Alla felice collaborazione però si è opposto ora il Senato: con un emendamento al bilancio ha imposto all’Ateneo di interrompere i rapporti con il centro.

Il centro era diventato l’anello di congiunzione tra i libri polverosi su cui gli aspiranti giornalisti imparano le regole teoriche e il ritmo frenetico della vita del reporter. Qui gli studenti, vestendo i panni dei giornalisti, cercavano notizie, raccoglievano testimonianze e raccontavano fatti. Fino al 5 giugno: “ I repubblicani- spiega Deborah Blum, insegnante della scuola di giornalismo dell’Università - hanno introdotto nel budget di Stato un emendamento in cui impongono all’Università di non ospitare il centro investigativo nelle sue aule e vieta a tutti gli impiegati di lavorare con loro”.

Il decreto, proposto da un senatore repubblicano, è stato approvato dal Joint Finance Commitee (una sorta di commissione bicamerale economica) è formata da 12 repubblicani e 3 democratici. “I repubblicani dimostrano di non amare il giornalismo investigativo- continua Deborah Blum – non solo hanno votato a favore del decreto ma non ci hanno informati prima di votarlo e, una volta approvato, non hanno voluto giustificare la decisione”.

Tagliare le spese in eccesso: questa sarebbe la motivazione inserita nel provvedimento ma dall’Università ribattono che il centro è un’azienda finanziata con soldi privati e non dipende economicamente dall’Università. “Non ci sono reali ragioni economiche – spiega la Blum – l’Università metteva a disposizione del centro solo qualche aula ma in compenso riceveva un grande apporto in termini di formazione professionale per i nostri allievi”.

Allora perché il Senato si è preoccupato di entrare nel merito dei rapporti tra centro e Università? La risposta, secondo l’insegnante americana, va cercata in una querelle nata tra un senatore repubblicano e i giornalisti del centro. “Un rappresentante repubblicano del comitato- spiega la professoressa Blum- era protagonista di una delle storie trattate da uno dei reporter del centro. Probabilmente non è un caso che proprio lui abbia favorito l’approvazione del decreto.”

Reazioni al provvedimento e alle modalità con cui è stata presa la decisione non sono mancate anche tra le fila dei Repubblicani. Dale Schultz, esponente di vecchia data del partito e noto per le sue posizioni moderate, ha giudicato “estrema” la decisione presa dal comitato. Schultz, commentando le 10 ore di negoziazioni segrete che hanno preceduto la votazione in aula, ha usato parole dure nei confronti dei repubblicani protagonisti della vicenda paragonandoli a Vladimir Putin e Hugo Chavez.

A prescindere dai dissidi interni al partito, ciò che rimane della vicenda è la fine di una collaborazione non solo utile alla formazione degli studenti universitari ma importante per la qualità del giornalismo americano dei prossimi anni. “Che il legislatore decida cosa si possa o non si possa insegnare è una violazione della libertà accademica ma è anche una perdita per lo Stato del Wisconsin- conclude con amarezza Deborah Blum- la Costituzione americana stabilisce la libertà non solo di insegnare ma anche di esprimere le proprie idee. Quel decreto è un’infrazione diretta della nostra libertà e ai principi costituzionali”.

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Datagate, il ruolo di Snowden e la semantica di uno scandalo http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/datagate-il-ruolo-di-snowden-e-la-semantica-di-uno-scandalo/50739/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/12/ducato-online/datagate-il-ruolo-di-snowden-e-la-semantica-di-uno-scandalo/50739/#comments Wed, 12 Jun 2013 05:56:21 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=50739 E fu così che uno dei più grandi scandali del mondo, da mediatico, si fece semantico. Come deve essere definito Edward Snowden, l’informatico di 29 anni al centro dello scandalo Datagate e  sulle cui tracce c’è l’intelligence di mezzo mondo? Un informatore? Una talpa? Solo fonte? Il dibattito sul tema è piuttosto acceso.

“’Talpa’ non è il termine adatto – scrive su Repubblica.it Stefania Maurizi – perché Snowden non ha acquisito notizie segrete per fornirle a organizzazioni avversarie o nemiche. Lo ha fatto per la democrazia”. Ma mentre i giornali italiani lo definiscono indiffentemente come “talpa”, la “gola profonda” o “fonte” del Guardian, il quotidiano di Londra decide di chiamarlo con lo stesso appellativo con cui definì Bradley Manning, il soldato dei 700mila documenti segreti spifferati a Wikileaks: whistle-blower. La parola – che curiosamente non ha una traduzione italiana – deriva dall’espressione inglese “blow the whistle” (soffiare il fischietto) e qualifica tutte quelle persone che, a un certo punto, decidono di denunciare le attività illecite commesse dall’organizzazione pubblica o privata per cui lavorano, esponendosi così a ritorsioni o minacce.

Negli Stati Uniti numerose leggi statali e federali sono state fatte a tutela dei whistle-blower, questo per non rendere ancora più arduo trovare qualcuno disposto a denunciare la corruzione, gli illeciti e le attività illegali del proprio datore di lavoro. Ma molti sostengono che nessuna di queste azioni, al momento, è imputabile alla Nsa (National Security Agency) né tantomeno al governo Obama. O comunque non ci sono prove schiaccianti di illeciti.

Snowden, infatti, avrebbe “soltanto” annunciato che i servizi di sicurezza americani, con l’alibi della lotta al terrorismo, controllavano sistematicamente le telefonate e le comunicazioni via internet utilizzando i dati di grandi compagnie come Verizon, Google e Facebook. Ma “questo è perfettamente legale – ha affermato Obama – nessuno ascolta le telefonate dei cittadini americani”. In realtà, sebbene il presidente abbia dichiarato che il programma di raccolta dati è stato “più volte autorizzato dal Congresso con un appoggio bipartisan e che il governo ne è stato sempre tenuto al corrente”, la stampa ha accusato Obamae di aver perso ogni credibilità.

È necessario, secondo i media internazionali, operare una distinzione: una cosa è esporre una politica con cui non si è d’accordo, ben altra cosa è rivelare degli illeciti realmente compiuti. Secondo molti, come detto, il caso di Snowden si avvicina di più alla prima ipotesi. Ecco spiegato, allora,  perché le testate estere hanno avuto qualche piccola esitazione nel categorizzarlo. Ed ecco perché Tom Kent, responsabile degli standard editoriali dell’Associated Press, ha inviato a tutti i redattori un memo con le linee guida con cui accompagnare d’ora in poi il nome di Snowden. “Per quanto eclatanti, non è stato dimostrato che le azioni compiute dall’Agenzia per la sicurezza nazionale esposte da Snowden siano illegali – ha affermato Kent – perciò non dovremmo chiamarlo whistle-blower. Un termine migliore da usare è leaker oppure source”.

Source in italiano è genericamente tradotto come ‘fonte’, mentre manca una parola per tradurre leaker, che deriva da leakfuga di notizie – e indica l’individuo che rilascia, attraverso media o organizzazioni, informazioni riservate o coperte da segreto riguardanti il governo o un’azienda. Meglio ancora, continua Kent nel memo, “dire ciò che hanno fatto ed evitare etichette: ha fatto trapelare, o esposto, o rivelato informazioni classificate”

Ecco il memo integrale dell’Ap, rivelato dall’Huffington Post:

Colleagues,

With two secret-spilling stories in the news — NSA/Snowden and Wikileaks/Manning — let’s review our use of the term “whistle-blower” (hyphenated, per the Stylebook).

A whistle-blower is a person who exposes wrongdoing. It’s not a person who simply asserts that what he has uncovered is illegal or immoral. Whether the actions exposed by Snowden and Manning constitute wrongdoing is hotly contested, so we should not call them whistle-blowers on our own at this point. (Of course, we can quote other people who call them whistle-blowers.)

A better term to use on our own is “leakers.” Or, in our general effort to avoid labels and instead describe behavior, we can simply write what they did: they leaked or exposed or revealed classified information.

Sometimes whether a person is a whistle-blower can be established only some time after the revelations, depending on what wrongdoing is confirmed or how public opinion eventually develops.

Tom

Sono in parecchi adesso ad inseguirlo, compresi gli agenti del “Gruppo Q” della Nsa, una sorta di direzione affari interni il cui unico fine è quello di impedire fughe di notizie e, in caso di fallimento, catturare il colpevole. Ma il posto scelto da Snowden per la fuga non è casuale: Hong Kong è controllata dall’intelligence cinese e proprio le autorità cinesi sono le uniche a poter impedire la sua estradizione. Se così non fosse, Snowden ha già in mente il piano B: volare in Islanda e chiedere asilo politico al paese che più si batte per la libertà su internet. Difficile dire se riuscirà a sfuggire al governo Usa. Se così fosse, più che la “talpa” forse dovrebbe essere  chiamato la “volpe”.

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Nuovo scandalo per Obama: giornalista di Fox spiato dal governo http://ifg.uniurb.it/2013/05/23/ducato-online/nuovo-scandalo-per-obama-giornalista-di-fox-spiato-dal-governo/48318/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/23/ducato-online/nuovo-scandalo-per-obama-giornalista-di-fox-spiato-dal-governo/48318/#comments Thu, 23 May 2013 12:25:46 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=48318

James Rosen, giornalista di Fox News

La maledizione del secondo mandato, che ha già colpito molti presidenti statunitensi rieletti, rischia di abbattersi anche sull’amministrazione Obama. Un nuovo scandalo legato al dipartimento di Giustizia e al mondo dell’informazione ha infatti colpito il 44° presidente degli Stati Uniti, pochi giorni dopo la bufera scatenata dall’Apgate. Il 20 maggio il Washington Post ha rivelato che  James Rosen, corrispondente nella capitale americana per Fox News, nel corso del 2010 sarebbe stato ‘spiato’ dal dipartimento di Giustizia: oltre a controllare i tabulati delle sue telefonate e le sue mail personali, il dipartimento avrebbe tenuto sott’occhio anche tutti i suoi movimenti all’interno del dipartimento di Stato, grazie alle ‘strisciate’ del suo badge. Il tutto, va detto, con un regolare mandato di un giudice. Nulla di illegale, ma sicuramente discutibile da un punto di vista etico.

Clicca qui per vedere il video incorporato.

Il servizio di Fox News che ha dato notizia dello scandalo

Il Rosen Affair – così i giornali americani hanno rinominato lo scandalo – rientra in un’indagine riguardante una fuga di notizie sulla Corea del Nord. Nel 2009 il giornalista di Fox News pubblicò un articolo nel quale si affermava che Pyongyang avrebbe eseguito dei test nucleari come rappresaglia alle condanne dell’Onu in merito all’uso di armi di distruzione di massa.

La notizia, che sarebbe dovuta essere riservata, sarebbe stata confidata al giornalista da Stephen Jin-Woo Kim, consigliere per la sicurezza nazionale. Kim fu incriminato dal gran giurì con l’accusa di aver diramato senza autorizzazioni informazioni di sicurezza nazionale: il suo processo è in programma l’anno prossimo.

A suscitare clamore è però il fatto che anche Rosen fu messo sotto controllo, come possibile “co-cospiratore”di Kim. L’Fbi e il dipartimento di Giustizia ottennero da un giudice il permesso di ‘spiare’ telefonate e mail del giornalista in quanto sospettato di aver “sollecitato e incoraggiato il signor Kim a divulgare importanti documenti dell’intelligence”. “Una cosa  agghiacciante – ha dichiarato il vice presidente esecutivo di Fox News, Michael Clemente – difenderemo il diritto di James Rosen di lavorare come membro di quella che fino ad oggi è stata una stampa libera”.

“Rosen – si legge sul sito di Fox News in un articolo di Mike Cavender – non è stato incriminato né si aspetta di esserlo. Ma il solo fatto che i suoi movimenti siano stati controllati, le sue mail lette e le sue telefonate registrate è la prova di come il governo stia cercando di criminalizzare le libertà concesse dal primo emendamento” (quello che tutela libertà di parola e di stampa).

Anche Dana Milbank, editorialista del Washington Post, attacca l’operato dell’esecutivo: “Il Rosen Affair è un flagrante attacco alle libertà civili che nemmeno Gorge W. Bush o Richard Nixon si sarebbero sognati. Trattare un reporter come un criminale solo perché ha fatto il suo lavoro, priva gli americani del primo emendamento”.

La Casa Bianca ha fatto sentire la sua voce tramite l’addetto stampa Jay Carney, che pur non commentando direttamente gli sviluppi dello scandalo Rosen, ha dichiarato: “Il presidente è convinto che sia imperativo non tollerare quelle fughe di notizie che possono mettere in pericolo la vita di uomini e donne americane in servizio all’estero”.

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Associated Press spiata per due mesi dal governo americano http://ifg.uniurb.it/2013/05/14/ducato-online/associated-press-spiata-per-due-mesi-dal-governo-americano/47114/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/14/ducato-online/associated-press-spiata-per-due-mesi-dal-governo-americano/47114/#comments Tue, 14 May 2013 17:02:11 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=47114 La sede dell'ApLe redazioni di un’agenzia di stampa sotto osservasionr come covi di malfattori,  telefoni controllati per sessanta giorni con l’unico scopo di svelare il volto della talpa. Non è la trama di un film di spionaggio, ma il retroscena di un’indagine condotta dal dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti nei confronti dell’Associated Press. L’agenzia di stampa ha fatto sapere stamattina di essere stata informata dei controlli sui tabulati di 20 linee telefoniche negli uffici di New York, Hartford e Washington, compreso il numero riservato all’AP nella sala stampa della Camera dei Rappresentanti. Oltre a un comunicato ufficiale sul suo sito, AP ha diffuso la notizia sul suo account Twitter con un video.

Gli investigatori hanno monitorato le chiamate in entrata e in uscita effettuate nei mesi di aprile e maggio del 2012, potendo così tenere d’occhio i contatti di almeno 100 reporter: tra le linee spiate, anche quelle private di cinque giornalisti (Matt Apuzzo, Adam Goldman, Kimberly Dozier, Eileen Sullivan e Alan Fram) coinvolti nella realizzazione di un rapporto che aveva fatto saltare sulla sedia il dipartimento di Giustizia.

Il 7 maggio 2012, infatti, l’Associated Press ha pubblicato i dettagli di un attentato progettato da Al Qaeda per colpire gli Stati Uniti e sventato all’ultimo con un’operazione della Cia in Yemen: dopo questa rivelazione, il dipartimento di Giustizia ha aperto un’inchiesta per capire chi fosse la fonte riservata che aveva fornito all’agenzia di stampa un’informazione talmente sensibile. Finora le autorità non hanno fornito ad Associated Press una spiegazione per giustificare i controlli telefonici, ma la stessa agenzia ritiene che siano da collegare al rapporto del maggio 2012.

“Non ci può essere alcuna giustificazione per una così ampia raccolta di comunicazioni telefoniche della Associated Press e dei suoi giornalisti – ha dichiarato il direttore esecutivo di AP Gary Pruitt in una lettera indirizzata al ministro della Giustizia Eric Holder – queste informazioni potrebbero rivelare le comunicazioni con fonti confidenziali, fornire una road map delle operazioni di raccolta di notizie e divulgare le informazioni sulle attività e le operazioni di AP che il governo non ha alcun diritto di sapere”. Pruitt ha richiesto ufficialmente al dipartimento di Giustizia di distruggere gli elenchi delle telefonate monitorate.

L’indignazione di Pruitt per quella che definisce “un’intrusione enorme e senza precedenti” ha trovato una sponda nelle parole di Christophe Deloire, segretario generale di Reporter Senza Frontiere: “Una tale palese violazione delle garanzie costituzionali deve essere oggetto di una commissione d’inchiesta del Congresso. Siamo spiacenti di vedere che il governo federale ha perpetuato le pratiche che hanno prevalso durante i due mandati di George W. Bush, quando i funzionari hanno sacrificato la protezione dei dati personali e, soprattutto, il primo emendamento sul diritto dei cittadini di essere informati. Questo caso ha dimostrato la necessità di una legge scudo federale che garantisca la protezione delle fonti dei giornalisti”.

Lo stesso panorama politico statunitense è in fibrillazione dopo quanto avvenuto. “La Casa Bianca – ha dichiarato il portavoce Jay Carney – non è a conoscenza di azioni del dipartimento della Giustizia per ottenere i tabulati telefonici di alcune linee in uso alla Associated Press o a suoi giornalisti”. Carney ha inoltre sottolineato che la Casa Bianca “non viene coinvolta in alcuna decisione presa nell’ambito di indagini penali, poiché si tratta di questioni gestite dal dipartimento della Giustizia”. Il deputato repubblicano della California Darrell Issa, uno dei più strenui sostenitori del Patriot Act, ha però puntato il dito contro l’amministrazione Obama, i cui funzionari, secondo Issa “vedono sempre più se stessi come al di sopra della legge e incoraggiati dalla convinzione che non devono rendere conto a nessuno”.

Frank Wolf, repubblicano della Virginia, ha detto al giornale Hill che l’incidente “ricorda lo scandalo Watergate. È l’arroganza del potere. Se possono farlo all’AP, possono farlo a qualsiasi testata del paese”. Anche il presidente della commissione Giustizia del Senato, il democratico Patrick Leahy, ha criticato l’operato delle autorità, chiedendosi se fosse proprio necessario violare l’indipendenza dei media acquisendo i tabulati telefonici.

Ancora più forte l’ondata di protesta che ha attraversato i social media: su Twitter, l’hashtag #ap è uno dei più popolari e si arricchisce continuamente con nuovi contributi. Il tweet di AP che stamattina ha annunciato l’indagine è stato rilanciato finora 177 volte e, sebbene la Casa Bianca abbia preso le distanze dall’indagine su Associated Press, gli utenti continuano a chiedersi: “Come può la stampa essere il cane da guardia del potere, se il governo ficca il naso persino nelle sue telefonate?”.

 

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Addio a Neuharth, l’uomo che con Usa Today capovolse il giornalismo http://ifg.uniurb.it/2013/04/24/ducato-online/addio-a-neuharth-luomo-che-con-usa-today-capovolse-il-giornalismo/44333/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/24/ducato-online/addio-a-neuharth-luomo-che-con-usa-today-capovolse-il-giornalismo/44333/#comments Wed, 24 Apr 2013 13:02:40 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44333 Usa Today è morto in Florida a 89 anni. Con un'idea di quotidiano nazionale, capace di contenere articoli brevi, di facile lettura e con una grafica brillante, ha cambiato radicalmente il giornalismo statunitense]]>

“Come giornalista, ho avuto una meravigliosa finestra sul mondo. Per quasi 50 anni ho cercato di raccontare storie con precisione e in modo imparziale. Condividere con voi quello che ho visto, quello che mi è piaciuto e non mi è piaciuto, è stata un’occasione fantastica e una grandissima responsabilità”

Allen H. Neuharth, fondatore Usa Today

Allen H. Neuharth ha rigorosamente preteso che queste parole fossero pubblicate solo dopo la sua morte, e chissà che non gli sia scappato un sorriso mentre componeva l’ultimo commovente corsivo della rubrica che teneva sul suo giornale. Non sappiamo se il pensiero sia tornato ai primi anni ’80, quando fondò Usa Today, quando tutti lo disprezzavano accusando quel nuovo quotidiano di aver istupidito il giornalismo americano.

Questo esuberante e visionario magnate dei media – morto il 19 aprile a Cocoa, in Florida, a 89 anni – è il papà di quel giornale che gli garantì pochi applausi  e tante critiche. Un look nuovissimo, fatto di colori vistosi e accattivanti, grafica audace, articoli brevi e di facile comprensione. Si capì immediatamente che quel giornale era diverso da qualsiasi altro quotidiano uscito fino ad allora. Era comprensibile, allora, che tutti si mostrassero così scettici e critici verso quella nuova creatura.

Un pizzico di iniziale fiducia in più Neuharth l’avrebbe forse meritata visto che sotto il suo timone il gruppo Gannett diventò il più grande gruppo editoriale degli Stati Unti. Eppure, al lancio del giornale, gli inserzionisti erano riluttanti a mettere i loro soldi in una scommessa così grande. “Grazie a Neuharth, Usa Today è diventato un prodotto capace di attirare l’attenzione dei lettori senza prendersi troppo sul serio – racconta Raffaele Fiengo docente di giornalismo all’università di Padova ed esperto di giornalismo americano  – e fu proprio lui a voler caratterizzare ogni sezione del giornale con un colore diverso, sfruttando il tipico riquadro al margine in alto della prima pagina, diventato poi elemento tipico di molti quotidiani”.

La sua è la storia di un uomo dalle umili origini che, dopo aver svolto i mestieri più disparati, raggiunge il successo e il potere nel proprio Paese sfruttando idee e coraggio. La sua vita racchiude perfettamente ognuna di queste tappe. Infanzia povera in Sud Dakota, rimasto orfano a due anni, Neuharth si è rimboccato le maniche e si è messo fin da ragazzino a svolgere qualsiasi mestiere gli sia capitato a tiro. Garzone, fattorino e perfino bracciante nella fattoria del nonno. Poi, poco più che ventenne, la partenza per il fronte nella seconda guerra mondiale.

Dopo il conflitto, Neuharth frequentò la University of South Dakota dove iniziò a curare il giornale della scuola, in attesa di fondarne uno tutto suo, il SoDak Sport, settimanale dedicato alla scena sportiva statale. Nonostante una buona popolarità iniziale il settimanale andò però in bancarotta nel giro di un anno, facendo perdere a Neuharth i 50mila dollari che aveva investito. Così nel 1954 si trasferì in Florida per lavorare come reporter al Miami Herald, dove scalò rapidamente le gerarchie della redazione.

Fu a quel punto, precisamente nel 1963, che accettò l’offerta di collaborazione avanzatagli dal Gruppo Gannett, una compagnia che allora possedeva un piccolo gruppo di 16 quotidiani nel nord-est. Sarà la svolta della sua carriera e della sua vita. Perché le sue idee, originali e rivoluzionarie,  non tardarono a farsi notare e gli permisero presto di convincere il Ceo (Chief Executive Officier, l’amministratore delegato) della Gannett, Paul Miller, a fargli dirigere il nuovo quotidiano di Cocoa, il Today, che partì nel 1966 e divenne in poco tempo un grande successo editoriale.

Così, la sua encomiabile determinazione lo portò nel 1970 a diventare presidente della Gannett, diventata nel frattempo uno dei più grandi gruppi editoriali degli Stati Uniti. Durante la sua amministrazione i ricavi del gruppo aumentarono in maniera esponenziale: nel 1979 la Gannett possedeva 78 quotidiani, 21 settimanali, 7 emittenti televisive e più di una dozzina di canali radio.

Qualche anno più tardi Neuharth, spinto dal desiderio di creare un quotidiano nazionale per gli Stati Uniti, cercò di mettere in pratica le sue intuizioni. Avere un’idea è quasi sempre un’ottima cosa. Ma è ancora meglio sapere come portarla avanti. Così, Neuharth si mise pazientemente a studiare la teletrasmissione delle pagine, già utilizzata dall’International Herald Tribune in Europa e dal quotidiano economico Wall Street Journal in America. Gli Stati Uniti infatti, per motivi geografici, non avevano mai avuto un quotidiano nazionale, visto che far arrivare le copie alle edicole fuori dalla regione di provenienza per ferrovia o autostrada era tecnicamente impossibile.

Neuharth, che non aveva alcuna intenzione di fare concorrenza ai grandi quotidiani esistenti, intuì che era arrivato il momento di offrire qualcosa di nuovo al pubblico americano e iniziò  a studiare un prodotto per consumatori dal poco tempo a disposizione, esattamente come aveva fatto in ambito alimentare la McDonald’s 35 anni prima. “Il nostro target – disse  – era la popolazione in età di college, poiché pensavamo che seguissero letture già abbastanza serie durante le lezioni”. Neuharth capì che ogni centimetro della pagina doveva essere riempito di informazioni nello stile più facile da leggere, più comodo e comprensibile già alla prima occhiata.

Fu così che, nel settembre 1982, quelle intuizioni geniali e quella formula semplice ma azzeccata debuttarono nelle edicole statunitensi, stravolgendo le abitudini dei lettori americani. Usa Today, respinto e criticato dai giornali tradizionali che consideravano Neuharth un folle, apparve per la prima volta nel 1982 e da quel giorno ha praticamente reinventato il concetto di quotidiano. Lo scarso interesse per la politica tanto interna quanto internazionale, l’ottimismo a tutti i costi e le notizie utili come le previsioni del tempo hanno permesso al giornale di contendersi con il Wall Street Journal la posizione di quotidiano a maggior diffusione negli Stati Uniti, primato che otterrà nel 2003.

Nella sua autobiografia, Confessioni di un figlio di puttana, Neuharth non fece mistero delle sue spietate tattiche di business, come quando rubava le conversazioni dei suoi concorrenti per sfruttarle a suo piacimento. È per questo che quando se è andato in pensione nel 1989 i redattori di Usa Today lo rincorrevano ancora per chiedergli consigli sulla direzione da prendere nella nuova era digitale. Neuharth nel frattempo ha continuato a scrivere periodicamente sulla rubrica intitolata Plain Talk e ha fondato il Freedom Forum, una fondazione dedicata alla libertà di stampa che tiene tuttora conferenze di giornalismo e offre borse di studi agli studenti.

“Neuharth ha reinventato la notizia – ha detto nel suo necrologio l’editore di Usa Today Larry Kramer – e nei nostri recenti sforzi per tradurre la sua visione nel mondo moderno del giornalismo digitale, abbiamo fatto costante affidamento su di lui per capire se stavamo andando nella direzione giusta. Il suo consiglio è stato, non a caso, quello che ci ha aiutato maggiormente”.

Per Neuharth, esempio calzante della realizzazione del sogno americano, sempre attento a non perdere il suo oceano di fedeli lettori, la stampa non doveva soltanto essere libera, doveva anche essere giusta ed imparziale. Con la sua idea di un giornale capace di contenere articoli brevi e di facile lettura, con una grafica vivace e brillante è stato prima deriso e poi largamente imitato dai giornali di tutto il Paese.

“Usa Today è stato un esperimento di successo  –  spiega il giornalista e autore del libro Il giornalismo americano Fabrizio Tonello – ma è rimasto un esperimento isolato, perché arrivava in un momento particolare, quando il mondo della tv americana era ormai in declino. Ha solamente reso evidente questo cambio di direzione  dei giornali verso un approccio meno impegnativo e più accessibile”. Ma il genio di Neuharth è stato proprio questo, intuire quello che ancora  non era chiaro,  spianare la strada al giornalismo moderno modificando la forma ma lasciando sempre alle notizie il ruolo di protagoniste, ex aequo con i consumatori, s’intende.

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Raccontare Tolosa da Tunisi: così si uccide il mestiere del reporter http://ifg.uniurb.it/2013/04/19/ducato-online/raccontare-tolosa-da-tunisi-cosi-si-uccide-il-mestiere-del-reporter/42752/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/19/ducato-online/raccontare-tolosa-da-tunisi-cosi-si-uccide-il-mestiere-del-reporter/42752/#comments Fri, 19 Apr 2013 05:00:40 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=42752 I reporter potrebbero estinguersi ben prima degli orsi bianchi. Questo, perlomeno, è il timore che viene a leggere le notizie in arrivo da Tolosa e da Chicago, dove i giornalisti –  in due casi che hanno fatto scandalo – sono stati sostituiti da redattori in outsourcing.

Economicissimi, silenziosissimi, sfruttatissimi: grazie a database sterminati, al web e a potentissimi aggregatori di notizie, un esercito di giornalisti dei paesi in via di sviluppo è pronto a farsi pagare molto meno dei colleghi sul posto per raccontare realtà lontane anche 15.000 chilometri.

Ma si può scrivere dell’inaugurazione di un ponte nella città francese di Tolosa da Tunisi, o delle dimissioni di un vescovo di Chicago da Manila? Come detto, il caso più recente di questa nuova ‘pratica’ di risparmio editoriale è quello di Actu.fr. Il gruppo editoriale guidato da Cyril Zimmerman si serve di personale tunisino, facendogli fare la cronaca locale di Tolosa, e probabilmente anche delle altre città che la piattaforma copre (Lione, Bordeaux e altre grandi realtà transalpine).

La sede dell’edizione di actu.fr è a Tunisi, come si può leggere sullo stesso sito

A scoprirlo è stata la giornalista d’inchiesta Laure Daussy del giornale @rret sur images. Ha letto le informazioni legali dei siti actu.fr scoprendo che erano appaltati a una società di Tunisi.

I 25 lavoratori tunisini vengono pagati meno di 300 euro al mese per redigere 10-15 articoli al giorno su notizie locali delle città francesi.Non sono giornalisti: sono tutti laureati in materie come economia, lingue, legge, e non si eran mai occupati di stampa prima di iniziare a lavorare per la Hi-Content, filiale della Hi Media  editrice dei siti actu.fr.

“E’ una forma moderna di schiavitù. Ci sottopongono  – hanno raccontato i lavoratori a Laure Daussy – a test di rapidità, dobbiamo scrivere 50 parole al minuto. Non abbiamo contratto e siamo pagati in contanti. Se arriviamo con dieci minuti di ritardo, siamo immediatamente licenziati”.

Dalla società francese guidata dall’inserzionista pubblicitario Zimmerman non è arrivata alcuna risposta all’inchiesta, tranne un tweet della direttrice di produzione Cyrine Boubaker che ha parlato di “insinuazioni irrispettose nei confronti della mia equipe”.

Actu.fr, però non è la prima azienda che tenta questa strada per ingrossare i propri profitti abbassando i costi di produzione.  La lente dei giornalisti internazionali specializzati nel mondo dei media si è accorta della collaborazione tra lo storico giornale Chicago Tribune e Journatic, un’impresa con sede nella stessa città ventosa ma con unità operative sparse in molti paesi del terzo mondo, a causa delle firme false che utilizzavano per coprire il vero autore dell’articolo. 

Il Tribune, in crisi finanziaria come molti giornali cartacei negli Stati Uniti, delegava proprio la cronaca iperlocale di Chicago alla Journatic, che la gestiva dalle Filippine, facendo firmare gli autori – naturalmente sottopagati rispetto ai colleghi a stelle e strisce – con nomi falsi dal suono anglosassone. La vicenda ha dato origine ad un mini-scandalo nel mondo dell’informazione statunitense che ha portato, nel luglio 2012, al “licenziamento” della Journatic da parte del Tribune.

C’è anche chi a questo sistema si è ribellato, violando gli ordini di edizione che imponevano ai lavoratori di “non parlare con nessuno e non rivelare informazioni sulla Journatic sotto nessuna circostanza”. A farlo, e a raccontarlo al Guardian, è stato Ryan Smith, che scriveva cronaca locale di diverse città – da lui molto lontane – dal Missouri centrale.

Un trend globale? Ancora no. Anche perché c’è chi dice “No way!” come Deborah Wilson, fondatrice e insegnante di hyperlocal news alla scuola di giornalismo di Lincoln, una delle più prestigiose del Regno Unito, e reporter per la Bbc. “Per me – ha raccontato al Ducato – il giornalismo locale deve tornare alle origini. L’essenziale, per chi fa questo mestiere, è mantenere il contatto personale con la gente, non penso nemmeno che il giornalismo fatto in outsourcing si possa definire tale. Alcune fasi come quelle di editing e categorizzazione delle notizie possono farsi in remoto ma il raccogliere notizie no. Va contro tutto quello che insegno”. E infatti i reporter tunisini non possono far altro che lavorare sulle agenzie di stampa e sul lavoro degli altri.

E se la crisi morde? Come fanno gli editori a resistere alle seduzione di un guadagno più alto? Secondo Deborah Wilson “bisogna battere l’apatia. La sfida la devono lanciare i lettori, sono loro a dirigere il mercato: se si accontenteranno di un’informazione scadente, allora sopravviverà quella. Se invece saranno disposti a pagare per una qualità maggiore, sarà quella ad affermarsi. Alla fine conta soltanto ciò a cui la gente da un valore”.

Questa è la sfida anche per Bill Grueskin, professore della scuola di giornalismo della Columbia University di New York, giornalista del Wall Street Journal esperto in nuovi media e giornalismo web e premiato col Pulitzer, assieme ai colleghi del Miami Herald, per la copertura dell’uragano Andrew nel 1985. “Il successo –  ci spiega  – di certi modelli di business rispetto ad altri dipende dai lettori, ma anche da chi fa informazione di qualità: sono loro a dovere riaccendere la attenzione degli utenti. Credo che nel futuro il lavoro delocalizzato ci sarà, ma solo per quel tipo di notizie che possono essere trattate ugualmente da Londra o da New York”. Quindi non certo per la cronaca locale.

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Il giornalista Wolf Blitzer vincitore dell’Urbino Press Award 2013 http://ifg.uniurb.it/2013/04/03/ducato-online/il-giornalista-wolf-blitzer-vincitore-dellurbino-press-award-2013/40720/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/03/ducato-online/il-giornalista-wolf-blitzer-vincitore-dellurbino-press-award-2013/40720/#comments Wed, 03 Apr 2013 12:49:52 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=40720

URBINO – Il giornalista della Cnn Wolf Blitzer (foto), è il vincitore dell’edizione 2013 dell’Urbino Press Award.  Inviato di guerra, scrittore e conduttore televisivo, Blitzer è reporter della Cnn dal 1990 e presentatore del programma The Situation Room. Si unisce così alla lista dei vincitori del premio che da otto anni viene conferito al giornalista americano che più si distingue nella capacità di raccontare il mondo che cambia.

“E’uno dei volti più famosi del giornalismo americano contemporaneo – ha commentato Giacomo Guidi, stilista e co-fondatore del premio – e i suoi programmi televisivi, realizzati con competenza e capacità di approfondimento, vengono seguiti dal pubblico di tutto il mondo”.

Nato in Germania da genitori ebrei, Blitzer emigra giovanissimo negli Stati Uniti. Cresce a Buffalo, dove nel 1970 si laurea in Storia. Poi il primo lavoro da giornalista, come corrispondente della Reuters nella sede di Tel Aviv. Nel 1973 viene assunto dal Jerusalem Post dove lavorerà fino al 1990. A metà degli anni settanta inizia a collaborare anche con l’American Israel Public Affais Committe, una lobby americana che sostiene le politiche a favore di Israele, per la quale Blitzer pubblicherà per anni il mensile Near East Report.

Wolf Blitzer interviene ad una conferenza sui diritti degli ebrei

Sulla base delle sue esperienze nel medio oriente, nel 1985 pubblica il suo primo libro: Between Washington and Jerusalem: A Reporter’s Notebook. Un anno dopo sale alla ribalta nazionale per la copertura del caso Jonathan Pollard, un ebreo americano accusato di spionaggio per Israele. Blitzer fu il primo che riuscì ad ottenere un intervista con Pollard e dalla sua storia nascerà anche l’idea di un libro, Territory of Lies.

Nel 1990 l’approdo alla Cnn, dove Blitzer diventa il reporter per le questioni militari. Nel 1992 viene scelto come corrispondente per la Casa Bianca, incarico che manterrà fino al 2000. In quell’anno prende infatti il via il suo primo show, Wolf Blitzer Reports, che dal 2005 si trasformerà in The Situation Room. La Cnn gli affida inoltre il ruolo di anchorman nella copertura delle elezioni presidenziali del 2004, del 2008 e del 2012.

Wolf Blitzer annuncia la vittoria di Obama nelle presidenziali del 2012

L’Urbino Press Award è solo l’ultimo di una lunga serie di riconoscimenti, tra i quali spicca l’Emmy, conquistato per la copertura dell’attacco terroristico del 1995 a Oklahoma City. La cerimonia di gala con annuncio del vincitore è prevista per il prossimo 18 aprile a Washington DC. Tra le tante personalità del mondo culturale, politico ed economico, sarà presente anche l’ambasciatore italiano negli Stati Uniti, Claudio Bisogniero. “Una cerimonia – ha commentato l’ambasciatore – che rappresenta un’importante momento di dialogo tra l’Italia e il mondo dei media americani, nell’anno in cui celebriamo la cultura italiana negli Stati Uniti”.

La consegna ufficiale del Premio a Wolf Blitzer, prevista per il 20 giugno 2013, si svolgerà nel Palazzo Ducale di Urbino.

Aggiornato alle ore 18:47

 

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Ingegneri giornalisti e droni “cronisti”, il mestiere si trasforma http://ifg.uniurb.it/2013/03/12/ducato-online/ingegneri-giornalisti-e-droni-cronisti-il-mestiere-si-trasforma/37984/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/12/ducato-online/ingegneri-giornalisti-e-droni-cronisti-il-mestiere-si-trasforma/37984/#comments Tue, 12 Mar 2013 22:46:38 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=37984 Il lavoro del giornalista? Un continuo evolversi, a partire dalla formazione. Dalle competenze richieste al singolo fino alla tecnologia che si può mettere al servizio del proprio lavoro, sono molti i progetti delle scuole di giornalismo e delle università di tutto il mondo che tentano di fornire un’educazione il più completa possibile alle nuove generazioni di cronisti.

In Francia, per esempio, già da qualche anno ‘spopolano’ i doppi diplomi. Agli studenti di giornalismo, infatti, è offerta la possibilità di ottenere un “double diplome”, che conferisce due titoli: quello di giornalista, appunto, e un’altra laurea non necessariamente connessa.

Capofila della scuola dei “doubles diplomes” è stato il progetto della scuola di Giornalismo Sciences Po, che nel 2008 si è unita alla Columbia University nel tentativo di offrire, di fronte alle mutazioni del giornalismo, “una formazione integrata e complementare”, idonea al mercato globalizzato. In sostanza, gli studenti ottengono una doppia laurea seguendo un corso della durata di due anni, un anno per ogni scuola di giornalismo.

La stessa Columbia University ha aperto poi il centro Dart per il giornalismo e il trauma, dedicato a come affrontare notizie su violenze, conflitti e tragedie. Scopo del corso è incrementare le competenze necessarie per interagire con le vittime di traumi, portando avanti le interviste con compassione e rispetto. Il centro fornisce ai giornalisti di tutto il mondo le risorse necessarie ad affrontare questi temi, avvalendosi di una rete globale interdisciplinare di professionisti di notizie, esperti di salute mentale, educatori e ricercatori.

L’offerta migliore, però, sempre francese, è quella dell’Institut pratique du journalism e della facoltà di Chimie ParisTech. I due istituti propongono infatti una doppia laurea, in giornalismo e ingegneria, per “formare una figura di giornalista in grado di affrontare livelli di informazione sempre più complessi”. Lo scopo è formare non solo giornalisti scientifici, ma tener anche conto di come il mestiere si stia evolvendo: le conoscenze scientifiche che gli studenti acquisiranno durante il percorso di studi potranno essere, così, molto utili alla formazione di giornalista.

Anche oltreoceano il doppio diploma trova audience. La scuola di giornalismo dell’Università dell’Arizona consente infatti ai propri studenti di “raddoppiare le proprie opzioni” con una laurea in giornalismo accoppiata a uno tra cinque diversi programmi: studi latino-americani, studi medio–orientali e nord africani, pubblica amministrazione, suolo, acqua e scienze ambientali, risorse dell’informazione e scienze bibliotecarie.

E la tecnologia? Le ultime frontiere della professione riguardano il drone journalism, l’uso di velivoli droni al servizio del cronista. Due progetti, il Drone Journalism Lab dell’Università del Nebraska e il Drone Journalism Program dell’Università del Missouri, tentano la carta di fornire ai nuovi giornalisti gli strumenti per utilizzare i maneggevoli apparecchi per il proprio lavoro.

Il progetto  del Nebraska è iniziato già a novembre 2011 e fa parte della macroarea di giornalismo digitale e strategie innovative. Il laboratorio è stato creato da Matt Waite - professore e vincitore del premio Pulitzer nel 2009 – che spiega sul sito come, con la rapida evoluzione del mestiere, l’educazione giornalistica debba crescere “insegnando nuove frontiere e strategie narrative, che rimangono i punti principali ed etici del giornalismo”.

In questo laboratorio,  tre studenti – uno prossimo alla laurea, uno più giovane e uno al secondo anno di università –  affiancano Waite nel creare fisicamente creare i droni, sperimentarli e cogliere i problemi etici, legali e di regolamentazione che l’uso di velivoli senza pilota comporta nel fare giornalismo. “Non abbiamo un programma da seguire – spiega Waite – perché nessuno lo ha mai fatto prima. Stiamo cercando di scrivere le regole, o quelle che noi pensiamo dovrebbero essere le basi di come i giornalisti potrebbero usare droni per il giornalismo”.

Negli Stati Uniti, tuttavia, l’uso di questi mezzi per scopi commerciali – e il drone journalism fa parte di questi – è ancora vietato dall’Ente di aviazione federale (FAA). C’è da aspettare il 2015, anno che il Congresso americano ha stabilito come deadline per renderne legale l’uso in questi campi. “Poiché l’utilizzo di droni per il giornalismo è illegale – continua lo studioso – non mi sembrava giusto per insegnare agli studenti di utilizzare abilità che non potevano utilizzare una volta usciti dalla scuola”.

Waite rivela anche che il collegamento con un altro genere di giornalismo, il data journalism, è presto fatto: i droni, infatti, potrebbero essere impiegati per aiutare a raccogliere dati migliori per stimare le dimensioni degli eventi. “I droni – dice – offrono ai giornalisti la possibilità di avere storie che altrimenti potrebbero non ottenere. Sono molto meno costosi di aeromobili con equipaggio. E sono programmabili, in modo da poterli utilizzare per raccogliere dati, video e foto. In sintesi, sono un altro strumento per aiutare i giornalisti a raccogliere maggiori informazioni”.

Il problema principale da affrontare, allora, rimane la privacy: un acceso dibattito si è aperto su come un drone possa invadere la sfera privata delle persone. Molti si trovano d’accordo sull’adozione di un codice etico per evitare un uso scorretto del mezzo. Sul punto, indicazioni precise arrivano da Matthew Schroyer, fondatore della “Professional Society of Drone Journalists”, che sostiene la necessità di “stabilire degli standard che rispettino il diritto alla privacy e alla sicurezza pubblica, pur consentendo ai giornalisti di svolgere le funzioni di quarto potere”.

E nel prossimo futuro cosa ci sarà? Matt Waite non ha dubbi. “Facile – dice – i Google’s Project Glass.  Video in prima persona e realtà aumentata possono davvero incidere su lavoro dei giornalisti e sul modo di raccontare storie”.

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