il Ducato » tunisia http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » tunisia http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Dai cortili alle trincee: il volto femminile delle rivolte arabe http://ifg.uniurb.it/2013/05/29/ducato-online/dai-cortili-alle-trincee-il-volto-femminile-delle-rivolte-arabe/49046/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/29/ducato-online/dai-cortili-alle-trincee-il-volto-femminile-delle-rivolte-arabe/49046/#comments Wed, 29 May 2013 13:04:39 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=49046

Amina Tyler

Nadia al Sakkaf questo mese ha vinto il premio “Oslo Business for Peace Award 2013”. Amina Tyler aspetta in carcere la prossima udienza, mentre la notizia della morte della giornalista Yara Abbas ha fatto il giro del mondo. Nel racconto dei media occidentali il ruolo delle donne nelle primavere arabe viene spesso sottovalutato. Ma partire dai volti di alcune delle protagoniste più note può aiutare a restituire la giusta importanza a questa folla silenziosa, spesso fuori dai flussi tradizionali dell’informazione.

“Le rivolte tunisine, egiziane, libiche e tutto quello che ne è conseguito sono un fenomeno corale, le voci che hanno tentato di raccontarle innumerevoli, ma identificarne alcune è utile per tenere viva l’attenzione ”. A ribadirlo è Leila Ben Salah, giornalista italo tunisina, coautrice di Ferite di parole, presentato all’ultimo Salone del libro di Torino. Insieme alla psicologa  Ivana Trevisani, ha raccolto le testimonianze di donne siriane, libiche, tunisine ed egiziane che hanno vissuto da  protagoniste le rivoluzioni, “restando,come gli veniva chiesto, in fondo ai cortei”, ma non sempre catturando l’attenzione di media e opinione pubblica.

Amina Tyler invece ha scelto di dare il suo contributo attraverso la provocazione. In Tunisia, per sollevare cori d’indignazione e finire in carcere sei mesi basta scrivere “Femen” sul muro di una città sacra. La giovane liceale, appartenente al gruppo femminista, lo ha fatto domenica scorsa a Kairouan, durante un raduno di salafiti. Amina è già nota ai media  per aver postato alcune sue foto a seno nudo su Facebook, ma dopo l’episodio di domenica scorsa si trova costretta ad affrontare un processo per attentato alla pubblica decenza, l’indignazione delle massime autorità tunisine, politiche e religiose.

Il governatore di Kairouan aveva detto che la giovane attivista si era mostrata a seno nudo davanti alla città sacra, ma un video delle stesse Femen lo ha smentito: la polizia è riuscita a impedirglielo. Il ministro dell’Interno vuole processare Amina perché “stava per commettere un gesto immorale”. Anche la famiglia ha faticato nel prendere le difese della giovane attivista. Solo ieri il padre ha dichiarato a RaiNews piena solidarietà alla figlia, mentre ancora qualche giorno fa la madre aveva detto “soffre di problemi psichici”.

Radhia Nasroui

Radhia Nasraoui

A difendere Amina in tribunale sarà la famosa attivista femminista Radhia Nasraoui, da sempre impegnata nei diritti umani. Precisa Ivana Trevisani: “Più che richiamare l’attenzione sulle ultime provocazioni delle Femen si deve ricordare che grazie alle primavere arabe le donne sono emerse come categoria sociale. Per sintetizzare ho usato l’espressione dai cortili alle piazze”.

Nadja Dariz

Nadja Dariz

Piazze, trincee ed ospedali: in questi terribili scenari si sono mosse le libiche del comitato 8 marzo, donne di Misurata, capitanate dalla coraggiosa Nadja Dariz, di trent’anni. Nel documentario di Laura Silvia Battaglia, Al Hurria, dice di aver fondato il comitato “per le donne rimaste senza punti di riferimento, che hanno perso mariti e padri in guerra”. Accanto a lei c’è Hana, vent’anni, sordomuta, rimasta orfana dal 2011.

Nadia Al Sakkaf

Nadia Al Sakkaf

Anche Nadia Al Sakkaf ha perso il padre, assassinato nel 1999. Era uno dei più aspri critici del regime yemenita e per far conoscere a tutti le condizioni del suo paese aveva fondato lo Yemen Times. Dal 2005 Nadia è responsabile della testata. Fra i primi cambiamenti sotto la sua direzione l’assunzione di donne e l’uso consistente delle nuove tecnologie. Durante le primavere arabe lo Yemen Times è stata una delle poche fonti d’informazione dirette per i media occidentali, che hanno acceso i riflettori anche sulle proteste di Sana’a. Due settimane è stata una dei premiati dal comitato Oslo Business for Peace  “per aver contribuito a costruire la pace e la democrazia nello Yemen”.

Sulle differenze esistenti fra i Paesi che nel 2011 hanno visto esplodere le proteste, la Ben Salah precisa: “Una prima distinzione  che si può fare sulle conseguenze delle primavere arabe è che, al contrario di quanto è accaduto in Tunisia e in Egitto, in  molti altri Paesi le proteste non hanno portato a cambiamenti significativi nell’assetto politico”.

Maryamal Khawaja

Il Barhein è uno di questi. Maryamal Khawaja ha 26 anni, è  presidente del Centro per i diritti umani del Golfo ed è una delle poche voci libere del suo paese, “poco interessante” per i media e per l’opinione pubblica, tranne durante il Gran Premio di Formula1. Approfittando della sua posizione di interlocutore con l’Occidente, nel suo ultimo viaggio in Italia ha denunciato con forza la scarsa attenzione nei confronti della sua nazione. Maryamal, grazie a Twitter, ha iniziato a far sentire la sua voce nel 2010, quando l’Arabia Saudita ha mandato i carri armati a reprimere le proteste esplose anche a Manama. Ora ha  90.000 follower  e continua a denunciare la repressione quotidiana del regime che, soltanto dopo le proteste del 2011, ha revocato il decreto sulla  sicurezza in vigore dal 1974. La legge autorizzava il ministro degli Interni a tenere in carcere sino a 3 anni e senza processo i cittadini politicamente sospetti.

Anche Asmaa Mahfouz deve la sua fama alla rete. Sul suo blog campeggia la scritta The girl who helped start the revolution in Egypt. È suo il video con cui il 19 gennaio 2011 ha lanciato la famosa sfida al regime di Murabak e invitato il popolo egiziano alla rivolta.

Clicca qui per vedere il video incorporato.

Pochi giorni dopo queste immagini, il 25 gennaio, in Piazza Tahrir c’erano 25.000 manifestanti. Un video considerato l’inizio della protesta egiziana. La sua famiglia è conservatrice, un fratello ufficiale di polizia e un altro ufficiale dell’esercito, e all’inizio è rimasta a dir poco sconcertata dal suo interesse per la politica. La Mahfouz,  in un’intervista, ha dichiarato: “Mi bloccavano Internet, così andavo a manifestare in strada , mi hanno proibito di andare in strada, così ho usato il telefono”.

Yara Abbas

Yara Abbas

Infine un volto che ha fatto il giro del mondo perché ha pagato con la vita le conseguenze delle primavere arabe. Due giorni fa, mentre raccontava il difficile conflitto siriano dalla prime linee, è stata uccisa Yara Abbas.  Lavorava per la Tv di Stato Al-Ikhbariyah. La giornalista è rimasta coinvolta insieme a un cameraman ed un suo assistente in quello che il governo siriano definisce “un agguato” da parte delle forze di opposizione: il cecchino ha ferito anche alcuni dei suoi colleghi. Da circa un mese la Abbas si trovava nella provincia di Homs, al confine con il Libano e documentava gli scontri anche per conto dell’Associated Press. La Abbas lavorava per la tv ufficiale del regime di Bashar al-Assad, dall’altra parte della barricata rispetto alle donne simbolo delle primavere arabe. Ma non è un buon motivo per non ricordarla.

 

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“Così ti racconto una rivoluzione”: guida social alle proteste tunisine http://ifg.uniurb.it/2013/02/12/ducato-online/ti-racconto-una-rivoluzione-guida-social-alle-proteste-tunisine/33822/ http://ifg.uniurb.it/2013/02/12/ducato-online/ti-racconto-una-rivoluzione-guida-social-alle-proteste-tunisine/33822/#comments Tue, 12 Feb 2013 03:39:57 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=33822 E’ la mattina del 6 febbraio 2013, il leader dell’opposizione tunisino, Chokri Belaid, è stato appena assassinato e davanti alla sua casa si riunisce la rabbia dei suoi sostenitori. Il video di Radio Shems Fm viene rimbalzato su Twitter e fa il giro del mondo.

La Tunisia è di nuovo in rivolta: nel 2011 il regime di Ben Alì era stato sovvertito dalla rabbia popolare delle manifestazioni di piazza. La stabilità del paese è nuovamente a rischio e ancora una volta sono i social network a raccontarcelo. Quella tunisina infatti è una rivolta che si può seguire a distanza come se si fosse sul posto. Basta sapere cosa leggere, scegliere bene i ‘follow’ e quali pagine Facebook tenere d’occhio.

Clicca qui per vedere il video incorporato.

“Bombes lacrymo a l avenue” (“lacrimogeni in strada”) twitta  alle 5.31 del mattino Lina Ben Mhenni (@benmhennilina) una delle blogger più famose e seguite dopo i fatti del 2011, e forse uno dei personaggi simbolo della Primavera araba.

Una delle foto pubblicate da Lina Ben Mhenni

Tre ore dopo la blogger pubblica sul suo profilo Facebook 67 foto delle strade di Tunisi: la gente è in strada, si intravede il fumo dei lacrimogeni. Il palo di un cartello di divieto di sosta è stato divelto e spaccato, qualcuno sale sui tetti delle macchine ferme nel traffico forse per reclamare giustizia. Nei volti, tutti, si vedono le rughe della rabbia e della preoccupazione. Queste foto fanno il giro del mondo e sono alcune delle prime testimonianze della nuova rabbia.

Da Facebook, da Instagram e da Youtube, le foto e i video pubblicati da Lina Ben Mhenni ci conducono a Tunisi: si vedono striscioni appesi con scritte in arabo e il volto di Belaid; una corona di fiori e una bandiera tunisina forse lasciate fuori dalla casa del leader di opposizione.

Il giorno dopo, alle 13.31 un’altra foto. Un pezzo di cartone con dei fiori attorno e una candela accesa. Sopra c’è scritto: “Je suis de la race des guerriers. Ils peuvent me tuer mais ils ne me feront jamais taire. Je préfere mourir pour mes idées que de lassitude ou de vieillesse” (Io sono della razza guerriera. Loro possono uccidermi ma non mi faranno mai tacere. Preferisco morire per le mie idee ma non mi faranno mai tacere).

La frase è di Lounès Matoub, poeta, cantautore e attivista algerino ucciso nel ’98 da un commando armato di fondamentalisti. Il riferimento è chiaro, anche Chokri Belaid è considerato dalla sua gente un martire.

L’8 febbraio la blogger scrive su Twitter: “Les lacrymogènes au cimetière c est la meilleure” (I lacrimogeni al cimitero sono il massimo). E’ il giorno dei funerali di Belaid e dal tweet sappiamo prima che dei giornali che la polizia sta usando i lacrimogeni contro chi manifesta la sua rabbia.

La foto dei funerali si Chokri Belaid

Sempre dalla pagina Facebook di Lina Ben Melli (pagina che si chiama Tunisian girl) viene pubblicato un album di foto.  C’è traffico perché le strade sono piene di gente. Molti di loro hanno una pettorina bianca, la mezzaluna e la stella rosse sul cuore e la foto del loro compianto leader tra le mani. I volti sono seri, come sempre, ma costringono a una riflessione più profonda, hanno un “perché?”  stampato in fronte.

“L’avenue now” è il titolo di un’immagine sul profilo Instagram della blogger. Viale Bourguiba è fotografato in verticale . Agli alberi squadrati si alternano le colonne di persone. E’ il 9 Febbraio e le proteste non si placano.

Lina Ben Mhenni è molto considerata. Anche l’ anchorman di France 24, François Picard, non appena appresa la notizia dell’uccisione del leader tunisino, chieda proprio a lei: “Wed #F24Debate Who’s to blame for assassination of #Tunisiaopposition leader #Belaid?” (C’è un colpevole per l’assassinio del leader di opposizione tunisino Belaid?)

In un tweet di mercoledì mattina di Nawaat (nawaat.org) – che in arabo significa “il nucleo” ed è il nome di un blog corale tunisino che fu censurato dal 2004 al 2011 e poi riaprì con la caduta di Ben Ali – si legge: “Chokri #Belaid leader of leftists Popular Front shot in front of his home becomes 1st politician killed in post-revolution #Tunisia” (Chokri Belaid leader della fazione più a sinistra del Fronte popolare. Gli hanno sparato davanti a casa sua. E’ il primo politico ucciso nella Tunisia post-rivoluzionaria)

Tutti in piazza i sostenitori di Belaid ritratti nelle foto del blog. Ci sono anche le lacrime di una donna. Un uomo di spalle la consola con una carezza. L’articolo, in francese, riporta le parole della folla: “Dimissioni, dimissioni” gridano assembrati sotto il Ministero dell’interno. Qualcuno canta l’inno nazionale, scrive ancora  Nawaat.

Tutte le foto, bellissime, vengono pubblicate poco dopo dal blog e girate su Twitter. Uomini, donne, giovani, anziani, ma soprattutto gli scontri, le botte, le barricate, i roghi: la polizia picchia alcuni manifestanti, cassonetti e panchine in fiamme, i fumi che si alzano tra i palazzi di Viale Bourguiba, i blindati passeggiano tra le rovine lasciate dai manifestanti.

Rabbia, dolore e repressione. Internet mostra tutto, Nawaat non censura nulla e racconta con le immagini una mattina di febbraio a Tunisi, anche se non una mattina come le altre.

Le persone in piazza sono il simbolo di una Tunisia che reclama il progresso. Belaid ne era quasi un profeta. Ehnnada e il presidente della Tunisia, Rashid al-Ghannushi sono il potere e rappresentano coloro che non sono in piazza, fatta eccezione per i poliziotti, quelli col manganello.

I tweet del blog Boukornine mostrano apertamente qual’è la sua visione degli avvenimenti:

  • Tout le monde est sur l’avenue Bourguiba. Manifestation monstre. La furie de la foule fait trembler le sol sous nos pieds. #ChokriBelaïd” (Tutti sono in Viale Bourguiba. Manifestazione di massa. La furia della folla fa tremare il suolo sotto i nostri piedi);
  • “Ça a dégénéré. On est dans un immeuble. La police s’est déchaînée. Du lacrymo partout” (La situazione è degenerata. Siamo dentro un edificio. La polizia è scatenata. Lacrimogeni dappertutto);
  • “La Tunisie s’endormira orpheline de Chokri Belaïd ce soir en espérant que tout ne soit qu’un mauvais rêve” (La Tunisia si addormenterà orfana di Chokri Belaid stanotte nella speranza che tutto non sia stato altro che un brutto sogno).

Sarah Ben Hamadi commenta, documenta con immagini e soprattutto ritwitta. Il giorno del funerale del leader dell’opposizione pubblica un video. Un uomo afferra una bomboletta e su un telone bianco disegna due grossi baffi neri. Sono i baffi neri di Belaid. Il movimento Zwewla, corrente artistica spontanea di graffittari nata durante la rivoluzione del 2011, torna alla mente. Il video è di quelli che fanno commuovere.

Anche l’aggregatore di notizie e contenuti Sidi Bouzid News (qui la pagina Facebook) racconta la piazza da Twitter. “Brutalité policière à l’avenue H.Bourguiba le 6/02/2013″ (La brutalità della polizia in Avenue Bourguiba del 6/2/2013) scrive diffondendo un video degli scontri.

Sidi Bouzid da anche i numeri delle manifestazioni: “Selon les chiffres officiels du ministère de l’Intérieur, pas moins de 1,4 million de personnes se sont déplacées” (Secondo i dati ufficiali del Ministero dell’Interno, non meno di 1,4 milioni di persone sono scese in piazza).

Le manifestazioni di protesta continuano, la politica a Tunisi fatica a trovare un accordo e, di pari passo, l’attività informativa sui social network e sui blog di quello che accade, è sempre più nutrita. È solo un esempio di come i social network, soprattutto negli scenari instabili dove il giornalismo professionista sempre più raramente ha dei suoi inviati, diventano una delle fonti primarie dalle quali trarre informazioni.

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