il Ducato » USA Today http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » USA Today http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Addio a Neuharth, l’uomo che con Usa Today capovolse il giornalismo http://ifg.uniurb.it/2013/04/24/ducato-online/addio-a-neuharth-luomo-che-con-usa-today-capovolse-il-giornalismo/44333/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/24/ducato-online/addio-a-neuharth-luomo-che-con-usa-today-capovolse-il-giornalismo/44333/#comments Wed, 24 Apr 2013 13:02:40 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=44333 Usa Today è morto in Florida a 89 anni. Con un'idea di quotidiano nazionale, capace di contenere articoli brevi, di facile lettura e con una grafica brillante, ha cambiato radicalmente il giornalismo statunitense]]>

“Come giornalista, ho avuto una meravigliosa finestra sul mondo. Per quasi 50 anni ho cercato di raccontare storie con precisione e in modo imparziale. Condividere con voi quello che ho visto, quello che mi è piaciuto e non mi è piaciuto, è stata un’occasione fantastica e una grandissima responsabilità”

Allen H. Neuharth, fondatore Usa Today

Allen H. Neuharth ha rigorosamente preteso che queste parole fossero pubblicate solo dopo la sua morte, e chissà che non gli sia scappato un sorriso mentre componeva l’ultimo commovente corsivo della rubrica che teneva sul suo giornale. Non sappiamo se il pensiero sia tornato ai primi anni ’80, quando fondò Usa Today, quando tutti lo disprezzavano accusando quel nuovo quotidiano di aver istupidito il giornalismo americano.

Questo esuberante e visionario magnate dei media – morto il 19 aprile a Cocoa, in Florida, a 89 anni – è il papà di quel giornale che gli garantì pochi applausi  e tante critiche. Un look nuovissimo, fatto di colori vistosi e accattivanti, grafica audace, articoli brevi e di facile comprensione. Si capì immediatamente che quel giornale era diverso da qualsiasi altro quotidiano uscito fino ad allora. Era comprensibile, allora, che tutti si mostrassero così scettici e critici verso quella nuova creatura.

Un pizzico di iniziale fiducia in più Neuharth l’avrebbe forse meritata visto che sotto il suo timone il gruppo Gannett diventò il più grande gruppo editoriale degli Stati Unti. Eppure, al lancio del giornale, gli inserzionisti erano riluttanti a mettere i loro soldi in una scommessa così grande. “Grazie a Neuharth, Usa Today è diventato un prodotto capace di attirare l’attenzione dei lettori senza prendersi troppo sul serio – racconta Raffaele Fiengo docente di giornalismo all’università di Padova ed esperto di giornalismo americano  – e fu proprio lui a voler caratterizzare ogni sezione del giornale con un colore diverso, sfruttando il tipico riquadro al margine in alto della prima pagina, diventato poi elemento tipico di molti quotidiani”.

La sua è la storia di un uomo dalle umili origini che, dopo aver svolto i mestieri più disparati, raggiunge il successo e il potere nel proprio Paese sfruttando idee e coraggio. La sua vita racchiude perfettamente ognuna di queste tappe. Infanzia povera in Sud Dakota, rimasto orfano a due anni, Neuharth si è rimboccato le maniche e si è messo fin da ragazzino a svolgere qualsiasi mestiere gli sia capitato a tiro. Garzone, fattorino e perfino bracciante nella fattoria del nonno. Poi, poco più che ventenne, la partenza per il fronte nella seconda guerra mondiale.

Dopo il conflitto, Neuharth frequentò la University of South Dakota dove iniziò a curare il giornale della scuola, in attesa di fondarne uno tutto suo, il SoDak Sport, settimanale dedicato alla scena sportiva statale. Nonostante una buona popolarità iniziale il settimanale andò però in bancarotta nel giro di un anno, facendo perdere a Neuharth i 50mila dollari che aveva investito. Così nel 1954 si trasferì in Florida per lavorare come reporter al Miami Herald, dove scalò rapidamente le gerarchie della redazione.

Fu a quel punto, precisamente nel 1963, che accettò l’offerta di collaborazione avanzatagli dal Gruppo Gannett, una compagnia che allora possedeva un piccolo gruppo di 16 quotidiani nel nord-est. Sarà la svolta della sua carriera e della sua vita. Perché le sue idee, originali e rivoluzionarie,  non tardarono a farsi notare e gli permisero presto di convincere il Ceo (Chief Executive Officier, l’amministratore delegato) della Gannett, Paul Miller, a fargli dirigere il nuovo quotidiano di Cocoa, il Today, che partì nel 1966 e divenne in poco tempo un grande successo editoriale.

Così, la sua encomiabile determinazione lo portò nel 1970 a diventare presidente della Gannett, diventata nel frattempo uno dei più grandi gruppi editoriali degli Stati Uniti. Durante la sua amministrazione i ricavi del gruppo aumentarono in maniera esponenziale: nel 1979 la Gannett possedeva 78 quotidiani, 21 settimanali, 7 emittenti televisive e più di una dozzina di canali radio.

Qualche anno più tardi Neuharth, spinto dal desiderio di creare un quotidiano nazionale per gli Stati Uniti, cercò di mettere in pratica le sue intuizioni. Avere un’idea è quasi sempre un’ottima cosa. Ma è ancora meglio sapere come portarla avanti. Così, Neuharth si mise pazientemente a studiare la teletrasmissione delle pagine, già utilizzata dall’International Herald Tribune in Europa e dal quotidiano economico Wall Street Journal in America. Gli Stati Uniti infatti, per motivi geografici, non avevano mai avuto un quotidiano nazionale, visto che far arrivare le copie alle edicole fuori dalla regione di provenienza per ferrovia o autostrada era tecnicamente impossibile.

Neuharth, che non aveva alcuna intenzione di fare concorrenza ai grandi quotidiani esistenti, intuì che era arrivato il momento di offrire qualcosa di nuovo al pubblico americano e iniziò  a studiare un prodotto per consumatori dal poco tempo a disposizione, esattamente come aveva fatto in ambito alimentare la McDonald’s 35 anni prima. “Il nostro target – disse  – era la popolazione in età di college, poiché pensavamo che seguissero letture già abbastanza serie durante le lezioni”. Neuharth capì che ogni centimetro della pagina doveva essere riempito di informazioni nello stile più facile da leggere, più comodo e comprensibile già alla prima occhiata.

Fu così che, nel settembre 1982, quelle intuizioni geniali e quella formula semplice ma azzeccata debuttarono nelle edicole statunitensi, stravolgendo le abitudini dei lettori americani. Usa Today, respinto e criticato dai giornali tradizionali che consideravano Neuharth un folle, apparve per la prima volta nel 1982 e da quel giorno ha praticamente reinventato il concetto di quotidiano. Lo scarso interesse per la politica tanto interna quanto internazionale, l’ottimismo a tutti i costi e le notizie utili come le previsioni del tempo hanno permesso al giornale di contendersi con il Wall Street Journal la posizione di quotidiano a maggior diffusione negli Stati Uniti, primato che otterrà nel 2003.

Nella sua autobiografia, Confessioni di un figlio di puttana, Neuharth non fece mistero delle sue spietate tattiche di business, come quando rubava le conversazioni dei suoi concorrenti per sfruttarle a suo piacimento. È per questo che quando se è andato in pensione nel 1989 i redattori di Usa Today lo rincorrevano ancora per chiedergli consigli sulla direzione da prendere nella nuova era digitale. Neuharth nel frattempo ha continuato a scrivere periodicamente sulla rubrica intitolata Plain Talk e ha fondato il Freedom Forum, una fondazione dedicata alla libertà di stampa che tiene tuttora conferenze di giornalismo e offre borse di studi agli studenti.

“Neuharth ha reinventato la notizia – ha detto nel suo necrologio l’editore di Usa Today Larry Kramer – e nei nostri recenti sforzi per tradurre la sua visione nel mondo moderno del giornalismo digitale, abbiamo fatto costante affidamento su di lui per capire se stavamo andando nella direzione giusta. Il suo consiglio è stato, non a caso, quello che ci ha aiutato maggiormente”.

Per Neuharth, esempio calzante della realizzazione del sogno americano, sempre attento a non perdere il suo oceano di fedeli lettori, la stampa non doveva soltanto essere libera, doveva anche essere giusta ed imparziale. Con la sua idea di un giornale capace di contenere articoli brevi e di facile lettura, con una grafica vivace e brillante è stato prima deriso e poi largamente imitato dai giornali di tutto il Paese.

“Usa Today è stato un esperimento di successo  –  spiega il giornalista e autore del libro Il giornalismo americano Fabrizio Tonello – ma è rimasto un esperimento isolato, perché arrivava in un momento particolare, quando il mondo della tv americana era ormai in declino. Ha solamente reso evidente questo cambio di direzione  dei giornali verso un approccio meno impegnativo e più accessibile”. Ma il genio di Neuharth è stato proprio questo, intuire quello che ancora  non era chiaro,  spianare la strada al giornalismo moderno modificando la forma ma lasciando sempre alle notizie il ruolo di protagoniste, ex aequo con i consumatori, s’intende.

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La news agghiacciante che non avete letto: l’autocritica dei media Usa http://ifg.uniurb.it/2013/04/17/ducato-online/la-notizia-agghiacciante-che-non-avete-letto-i-media-usa-fanno-autocritica/43488/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/17/ducato-online/la-notizia-agghiacciante-che-non-avete-letto-i-media-usa-fanno-autocritica/43488/#comments Wed, 17 Apr 2013 10:49:15 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=43488
Kermitt Gosnell praticava aborti dal 1972

C’è una storia agghiacciante negli Stati Uniti di cui in pochissimi avevano parlato fino a poco fa e che ora sta scandalizzando l’America: il dottor Kermit Gosnell è stato scoperto nel 2009 a far abortire illegalmente donne incinta di oltre sei mesi, con attrezzature non sterilizzate, riutilizzando gli stessi strumenti e poi uccidendo i neonati spezzandogli il midollo spinale con le forbici. Nessuno ne aveva parlato sui media americani finché due articoli pubblicati online hanno costretto i media a fare autocritica. 

I fatti, come detto, sono del 2009. Nel 2011, esclusa la stampa locale di Philadelphia, a scrivere di questa storia furono solo il New York Times, l’Huffington Post e pochi altri giornali. Senza seguito: da quel momento in poi niente più, fino alla data d’inizio del processo quando solo il NYT, nelle ultime pagine del giornale, e alcune pubblicazioni femministe o pro o contro l’aborto parlarono della vicenda

Niente sui telegiornali delle tre televisioni nazionali più importanti. Il processo è iniziato il 18 marzo scorso. Gosnell, 72 anni di Philadelphia, è accusato per l’omicidio di 7 bambini apparentemente nati vivi e di una donna di 41 anni.

Solo oggi, a quasi un mese dall’inizio del processo, la notizia è arrivata su tutti i giornali, che la mettono in prima pagina e molti giornalisti stanno  cercando di dare motivazioni plausibili per giustificare la scarsa copertura mediatica.

C’è chi dice che il tema è troppo delicato, altri ci mettono in mezzo la politica e qualcuno invece dice che i protagonisti della storia erano donne povere e spesso di colore provenienti dai sobborghi, quindi poco interessanti per le grandi testate nazionali di Washington e New York.

Al di là dei perché, la morale della favola è un’altra: il giornalismo americano è capace di una sana e costruttiva autocritica. La storia di Gosnell ha cominciato a stuzzicare l’interesse nazionale solo dopo che due giornalisti,  Kirsten Powers di Usa Today e Conor Friedersdorf del The Atlantic, hanno fatto mea culpa e hanno affermato e ribadito come la storia fosse degna di interesse nazionale.

Ha iniziato la Powers con un editoriale: “Decapitazione infantile. Feti buttati nei barattoli. Il pianto di un bambino ancora vivo dopo che è stato prelevato dalla pancia della madre durante un aborto. Avete mai sentito parlare di queste ripugnanti accuse? No e non è colpa vostra. Da quando il caso Gosnell è finito in tribunale […] la copertura mediatica è stata molto scarsa mentre invece la storia sarebbe dovuta essere su tutte le prime pagine dei giornali”.

Per la giornalista “non era necessario essere contro l’aborto per trovarlo ripugnante, soprattutto se praticato oltre la scadenza dei termini (20 settimane negli Usa, ndr) o per considerare il caso Gosnell degno di attenzioni. L’assordante silenzio della stampa, prima una forza di giustizia in America, è una disgrazia“.

Allo stesso modo Friedersdorf scrive: “Fino a giovedì (11 aprile, ndr) non avevo mai sentito parlare di questa storia e io sono un divoratore di notizie. Poi ho letto l’editoriale di Kristen Powers e sono d’accordo con lei, cosi ho deciso di scrivere anche io del caso Gosnell”.

Una vera e propria strigliata di orecchie a tutti i colleghi ciechi e sordi davanti a una storia di indubbio interesse nazionale. Molti giornali si sono giustificati dicendo di essere incapaci di scrivere delle atrocità del caso, troppo violento e disgustoso, altri dicono che la vicenda è stata esagerata e strumentalizzata dalla politica.

La lezione però è che, anche se il mondo del giornalismo è complesso e spesso chiuso alle critiche esterne, in America ha dimostrato di potersi auto-controllare e quindi di correggere i propri errori di valutazione con una puntina di onestà. Non è poi così scontato che all’interno dello stesso sistema si alzino voci fuori dal coro che fanno una critica e poi vengono veramente ascoltate, riportando in carreggiata i colleghi ‘ribelli’.  Chissà se il giornalismo italiano ne sarebbe capace.

Due giorni fa, in risposta alla collega, Glenn Harlan Reynoldsha scritto su USA Today: “Scrivo molti editoriali e come tutti quelli che lo fanno spero che qualcuno li legga e poi possa guardare alle cose in modo differente. Ogni tanto succede, come l’editoriale di Kristen Powers sul caso Gosnell. […] La storia ci ha insegnato che i media fanno errori, non solo per come coprono le storie ma anche, e soprattutto, nella scelta di quali storie coprire. Tenetevelo in mente per il futuro. E sperate che, nel momento cruciale, un altro editoriale scritto dalla persona giusta possa rompere di nuovo il silenzio“.

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Le Ong informano meglio del Nyt: la sfida del giornalismo ibrido http://ifg.uniurb.it/2013/03/28/ducato-online/le-ong-informano-meglio-del-nyt-la-sfida-del-giornalismo-ibrido/40625/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/28/ducato-online/le-ong-informano-meglio-del-nyt-la-sfida-del-giornalismo-ibrido/40625/#comments Thu, 28 Mar 2013 07:30:43 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=40625

L’informazione delle Ong a volte ‘batte’ quella della stampa tradizionale. E’ questa una delle principali conclusioni di uno studio dell’Università di Denver sul contributo di quotidiani come il New York Times e Usa Today e alcune Ong ( 350.org, OneClimate, Campagna Globale per l’Azione Climatica) alla diffusione delle informazioni circa la conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni unite a Durban.

Che i nuovi mezzi di comunicazione siano da tempo entrati in una nuova dimensione è cosa ormai accertata. La convergenza tra social network, informazione tradizionale e pratiche di cittadini “reporter” è stata infatti alla base delle primavere arabe, diffondendo notizie e portando alla luce situazioni altrimenti impossibili da sottrarre alla censura di regime.

Ma lo studio dell’università di Denver si concentra appunto sul ruolo/rapporto tra stampe e Ong, rapporto che ridefinisce gli orizzonti della consueta ‘oggettività’ giornalistica, fondendosi con l’informazione ‘di parte’ di queste organizzazioni.

Secondo i risultati della ricerca i quotidiani perderebbero la loro consueta attitudine a informare in modo esaustivo, lasciando spazio alle organizzazioni non governative, che di fatto si trasformerebbero in una sorta di “piattaforma informativa”, nettamente più efficiente di tradizionali colossi editoriali. Questa indiscussa ‘superiorità’ si basa sulla possibilità delle Ong di fornire un’enorme quantità di materiale (video-foto-commenti) ai media tradizionali, che non riuscirebbero a produrre in proprio, associata ad un’altra fondamentale proprietà: quella di permettere l’interattività del pubblico nella formulazione della notizia.

A Durban, infatti, il ruolo delle Ong nel raccontare la conferenza si è avvalso della collaborazione tra attivisti e social media, in modo molto più robusto e dinamico – dice lo studio – rispetto a quello che il New York Times può offrire ai suoi lettori.

In questo modo le Organizzazioni non governative non si limitano soltanto a manifestare la loro posizione su determinate questioni, attraverso manifestazioni o proteste, ma possono aggiungere alle loro funzioni anche quella di “cane da guardia della democrazia” da sempre funzione esclusiva dei giornali.

L’esperienza di Durban ha così potuto dimostrare che la possibilità di interazione tra giornalisti e attivisti delle organizzazioni, interpretando oggettivamente le situazioni attraverso commenti interattivi, contribuisce al progresso del giornalismo, capace di svincolarsi di reinventarsi in nuove e molteplici forme. Pur lasciando irrisolti alcuni problemi di oggettività.

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