il Ducato » usa http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » usa http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it La news agghiacciante che non avete letto: l’autocritica dei media Usa http://ifg.uniurb.it/2013/04/17/ducato-online/la-notizia-agghiacciante-che-non-avete-letto-i-media-usa-fanno-autocritica/43488/ http://ifg.uniurb.it/2013/04/17/ducato-online/la-notizia-agghiacciante-che-non-avete-letto-i-media-usa-fanno-autocritica/43488/#comments Wed, 17 Apr 2013 10:49:15 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=43488
Kermitt Gosnell praticava aborti dal 1972

C’è una storia agghiacciante negli Stati Uniti di cui in pochissimi avevano parlato fino a poco fa e che ora sta scandalizzando l’America: il dottor Kermit Gosnell è stato scoperto nel 2009 a far abortire illegalmente donne incinta di oltre sei mesi, con attrezzature non sterilizzate, riutilizzando gli stessi strumenti e poi uccidendo i neonati spezzandogli il midollo spinale con le forbici. Nessuno ne aveva parlato sui media americani finché due articoli pubblicati online hanno costretto i media a fare autocritica. 

I fatti, come detto, sono del 2009. Nel 2011, esclusa la stampa locale di Philadelphia, a scrivere di questa storia furono solo il New York Times, l’Huffington Post e pochi altri giornali. Senza seguito: da quel momento in poi niente più, fino alla data d’inizio del processo quando solo il NYT, nelle ultime pagine del giornale, e alcune pubblicazioni femministe o pro o contro l’aborto parlarono della vicenda

Niente sui telegiornali delle tre televisioni nazionali più importanti. Il processo è iniziato il 18 marzo scorso. Gosnell, 72 anni di Philadelphia, è accusato per l’omicidio di 7 bambini apparentemente nati vivi e di una donna di 41 anni.

Solo oggi, a quasi un mese dall’inizio del processo, la notizia è arrivata su tutti i giornali, che la mettono in prima pagina e molti giornalisti stanno  cercando di dare motivazioni plausibili per giustificare la scarsa copertura mediatica.

C’è chi dice che il tema è troppo delicato, altri ci mettono in mezzo la politica e qualcuno invece dice che i protagonisti della storia erano donne povere e spesso di colore provenienti dai sobborghi, quindi poco interessanti per le grandi testate nazionali di Washington e New York.

Al di là dei perché, la morale della favola è un’altra: il giornalismo americano è capace di una sana e costruttiva autocritica. La storia di Gosnell ha cominciato a stuzzicare l’interesse nazionale solo dopo che due giornalisti,  Kirsten Powers di Usa Today e Conor Friedersdorf del The Atlantic, hanno fatto mea culpa e hanno affermato e ribadito come la storia fosse degna di interesse nazionale.

Ha iniziato la Powers con un editoriale: “Decapitazione infantile. Feti buttati nei barattoli. Il pianto di un bambino ancora vivo dopo che è stato prelevato dalla pancia della madre durante un aborto. Avete mai sentito parlare di queste ripugnanti accuse? No e non è colpa vostra. Da quando il caso Gosnell è finito in tribunale […] la copertura mediatica è stata molto scarsa mentre invece la storia sarebbe dovuta essere su tutte le prime pagine dei giornali”.

Per la giornalista “non era necessario essere contro l’aborto per trovarlo ripugnante, soprattutto se praticato oltre la scadenza dei termini (20 settimane negli Usa, ndr) o per considerare il caso Gosnell degno di attenzioni. L’assordante silenzio della stampa, prima una forza di giustizia in America, è una disgrazia“.

Allo stesso modo Friedersdorf scrive: “Fino a giovedì (11 aprile, ndr) non avevo mai sentito parlare di questa storia e io sono un divoratore di notizie. Poi ho letto l’editoriale di Kristen Powers e sono d’accordo con lei, cosi ho deciso di scrivere anche io del caso Gosnell”.

Una vera e propria strigliata di orecchie a tutti i colleghi ciechi e sordi davanti a una storia di indubbio interesse nazionale. Molti giornali si sono giustificati dicendo di essere incapaci di scrivere delle atrocità del caso, troppo violento e disgustoso, altri dicono che la vicenda è stata esagerata e strumentalizzata dalla politica.

La lezione però è che, anche se il mondo del giornalismo è complesso e spesso chiuso alle critiche esterne, in America ha dimostrato di potersi auto-controllare e quindi di correggere i propri errori di valutazione con una puntina di onestà. Non è poi così scontato che all’interno dello stesso sistema si alzino voci fuori dal coro che fanno una critica e poi vengono veramente ascoltate, riportando in carreggiata i colleghi ‘ribelli’.  Chissà se il giornalismo italiano ne sarebbe capace.

Due giorni fa, in risposta alla collega, Glenn Harlan Reynoldsha scritto su USA Today: “Scrivo molti editoriali e come tutti quelli che lo fanno spero che qualcuno li legga e poi possa guardare alle cose in modo differente. Ogni tanto succede, come l’editoriale di Kristen Powers sul caso Gosnell. […] La storia ci ha insegnato che i media fanno errori, non solo per come coprono le storie ma anche, e soprattutto, nella scelta di quali storie coprire. Tenetevelo in mente per il futuro. E sperate che, nel momento cruciale, un altro editoriale scritto dalla persona giusta possa rompere di nuovo il silenzio“.

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Tre pagine al posto di due: la stampa si evolve per salvare i giornali http://ifg.uniurb.it/2013/02/16/ducato-online/tre-pagine-al-posto-due-la-tipografia-si-evolve-per-salvare-i-giornali/34935/ http://ifg.uniurb.it/2013/02/16/ducato-online/tre-pagine-al-posto-due-la-tipografia-si-evolve-per-salvare-i-giornali/34935/#comments Sat, 16 Feb 2013 10:43:48 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=34935

I due formati del Columbus Dispatch a confronto

Un’ innovazione d’oltreoceano potrebbe salvare, o quantomeno allungare la vita, al mondo della carta stampata, che giorno dopo giorno è costretta subire i colpi dell’invasione digitale.

Negli Stati Uniti, il Columbus Dispatch, il terzo quotidiano per importanza dell’Ohio, è appena diventato il pioniere di una tecnica di stampa che potrebbe rivoluzionare il settore. Il metodo si chiama 3Volution ed è stato messo a punto dalla mente di Phillip DiGenova. La nuova tecnologia si basa sul  ‘three around printing ’ e rivoluziona il sistema della rotativa.

“Alla base c’è una riduzione del formato del giornale” spiega Ruggero Zuliani, direttore del ‘Poligrafico italiano’, rivista specializzata in tecniche di stampa. “Nella rotativa sono stati sostituiti i cilindri porta lastre in modo tale che nello sviluppo del cilindro ci stiano tre lastre (ovvero tre pagine). Le dimensioni complessive del cilindro sono invariate, solo che prima ci stavano 2 pagine ora 3 (più piccole)”. “Naturalmente – conclude Zuliani – anche l’unità di piega è stata modificata per poter trattare il nuovo formato”.

Nel mercato americano, che ha visto scendere nel 2012 dell’8,2% la vendita dei quotidiani, gli effetti sarebbero dirompenti: un risparmio del 33% sui costi della carta, un formato molto più compatto, un miglioramento del colore fino al 50% e sezioni più flessibili. Senza contare che ciò comporterebbe una maggiore facilità di lettura. Inoltre, grazie a un sensibile aumento della velocità, si passerebbe dalle 50.000 alle 75.000 copie di giornali all’ora.

Clicca qui per vedere il video incorporato.

Il video che mostra  il funzionamento della 3Volution

Benjamin Marrison, editore del Columbus Dispatch, sebbene sia il primo, non è l’unico in America a credere nella 3Volution. A breve anche il Cincinnati Enquirer and Kentucky Enquirer, entrambi di proprietà della Gannett Co.Inc., saranno stampati col nuovo metodo. La famiglia Wolfe, proprietaria del Columbus ha firmato un’intesa con la Garrett Co. che inizialmente utilizzerà la rotativa del Dispatch per stampare i suoi giornali. Questo permetterà al Columbus di ammortizzare i costi per l’acquisto della rotativa e a Garrett di sperimentare la nuova tecnologia.

Durante la presentazione della 3Volution, Marrison ha sottolineato quanto sia importante reinvestire energie in un settore in profonda difficoltà. In un momento in cui gli editori scelgono la filosofia del ‘less to less’, ovvero diminuire la quantità di pagine per risparmiare, la nuova sfida è aumentare l’offerta per incrementare i guadagni.

Dal ‘less to less’ al ‘more to more’: “Mentre tutti tagliano, noi aggiungiamo”. La scelta di attenzione ai contenuti di Marrison è controcorrente, ma non anacronistica. L’era dell’analogico non è finita; il Columbus Dispatch, così come molti altri quotidiani, dipende per il 90% dal cartaceo. Esiste infatti un pubblico fidelizzato che non vuole rinunciare a sfogliare il giornale della mattina. L’obiettivo è non solo quello di soddisfare i lettori affezionati, ma di conquistarne di nuovi.

In Italia questa tecnica di stampa è ancora sconosciuta, come tante altre innovazioni si dovrà probabilmente aspettare ancora qualche anno. Dal direttore di una rivista del settore, arrivano però segnali di apertura. Quanto detto da Ruggero Zuliani, potrebbe diventare l’emblema di una categoria: “Penso che tutto quanto dia delle chance ai giornali su carta sia benvenuto”.

 

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Pirateria, sciopero contro il “Sopa”: la Rete sfida le major americane http://ifg.uniurb.it/2012/01/17/ducato-online/pirateria-online-sciopero-contro-il-sopa-la-rete-sfida-le-major-americane/15928/ http://ifg.uniurb.it/2012/01/17/ducato-online/pirateria-online-sciopero-contro-il-sopa-la-rete-sfida-le-major-americane/15928/#comments Tue, 17 Jan 2012 09:09:29 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=15928 (leggi il comunicato sul sito italiano). Un black out di protesta contro la proposta di legge americana sul diritto d'autore e la pirateria online. Manca ancora l'adesione di altri "big" come Google e Facebook]]>

Lo sciopero del 18 gennaio

Aggiornato alle ore 12.00 di martedì 17 gennaio 2012

A lanciare l’idea del black out è stato Reddit, noto portale-community di condivisione di contenuti. Poi sono arrivate le adesioni di Mozilla, Twitpic, XDA Developers, mentre poche ore fa anche Wikipedia ha annunciato che oscurerà la sua versione inglese. Ma ci stanno pensando anche altri big come Facebook, Amazon e Google, spinti da milioni di utenti che vorrebbero salvaguardare la libertà e i diritti del web.

Sono questi i nomi dei siti e dei social network che stanno preparando per il 18 gennaio “The Great Internet Strike ”, il grande sciopero della Rete. Dodici ore, a partire dalle 8.00 di mattina, nelle quali non sarà possibile accedere a servizi diventati ormai di uso quotidiano. Anche il web “abbasserà le serrande”, questa volta in formato digitale: navigare sarà complicato, si salveranno solo le caselle di posta elettronica.
Il motivo? Tutta colpa del SOPA, acronimo di Stop Online Pricy Act, proposta di legge in discussione al Congresso degli Stati Uniti che, in nome della difesa del diritto d’autore, rischia di porre limitazioni evidenti alla libertà d’espressione su Internet.

La controversa proposta è stata presentata il 26 ottobre dal deputato repubblicano Lamar S. Smith, ma l’interesse della politica contro la pirateria on line è comunque bipartisan. Una proposta gemella (il PIPA, Protect Ip Act),è stata infatti presentata in Senato dal senatore democratico Patrick Leahy.

Il deputato repubblicano Lamar Smith, promotore del SOPA

Il 24 Febbraio riprenderà il dibattito alla Camera: molte aziende hanno così deciso per una protesta di grande impatto, prima che il SOPA diventi legge, come sperano invece major e grandi corporation dell’industria dell’intrattenimento.

La proposta di legge
–  Così come chiarisce Wikipedia, SOPA permetterebbe ai titolari di copyright statunitensi di “agire direttamente per impedire la diffusione di contenuti protetti”. Basterebbe l’accusa di non rispettare la legge sul diritto d’autore, per permettere agli stessi detentori dei diritti e al Dipartimento di Giustizia americano di procedere legalmente sia contro i siti Internet sospettati, sia nei confronti di chi aiuterebbe la violazione (anche attraverso un semplice link).

L’Attorney general (il ministro della Giustizia) potrebbe così imporre ai fornitori di servizi internet (ovvero agli ISP, Internet Service Provider) l’obbligo di impedire ai propri utenti l’accesso ai siti accusati di vendere o pubblicare materiale coperto da copyright negli Stati Uniti, oltre a bloccare canali di finanziamento e pubblicità (una misura già richiesta in passato dalla Casa Bianca a Pay Pal nei confronti di Wikileaks).
Tra le sanzioni è compresa la reclusione fino a cinque anni: lo streaming on line verrebbe punito così allo stesso modo della vendita di merci contraffatte. Basterebbe postare su YouTube un video con in sottofondo una musica coperta da diritto d’autore per compiere un reato e rischiare il carcere. Si pensi al caso di Stephanie Lens, la madre accusata dalla Universal di violare il diritto d’autore per aver pubblicato il video del proprio bambino che balla sulle note di Prince.
La legge prevedrebbe per l’accusato la possibilità di presentare appello entro cinque giorni: il blocco dei siti sarebbe però precedente al reale accertamento della violazione attraverso un processo.

Secondo i promotori della protesta i poteri concessi all’autorità giudiziaria sarebbero eccessivi: tra questi sarebbe prevista anche la cancellazione dei risultati nei motori di ricerca.

Le conseguenze – Per molti gestori di siti l’approvazione della SOPA significherebbe l’obbligo di controllare in modo capillare tutto il materiale che viene pubblicato dagli utenti. “Un’operazione tecnicamente impossibile – afferma Maurizio Codogno, portavoce di Wikimedia Italia – dato che ci costringerebbe a controllare manualmente milioni di collegamenti esterni”. Tutto in modo preventivo. Codogno sottolinea come Wikimedia Foundation – la società che gestisce la grande enciclopedia libera di Wikipedia, tra i dieci siti più visitati al mondo – concordi sulla necessità di difendere il diritto d’autore: “Ogni presunta violazione del copyright viene già immediatamente cancellata. Lo Stop Online Piracy Act rischia però di diventare controproducente, mandando nel caos tutta la Rete”.

The Strike must go on – Di fronte alle proteste della Rete, un dietrofront è stato deciso dai promotori almeno per quanto riguarda l’utilizzo del sistema di filtro dei Dns (Domain name system), pensato per oscure gli Internet service provider con contenuti illeciti e inizialmente previsto nel PIPA.

La Rete però continua a non fidarsi: la rimozione potrebbe essere solo un modo per accelerare l’iter di approvazione della SOPA, rinviando in futuro la discussione sull’uso dei Dns. Per questo, in attesa di sapere come protesterà la NetCoalition (organizzazione che riunisce Google, Amazon, Fb), lo sciopero del 18 resta confermato. Alla fine ha aderito anche Wikipedia: la versione inglese resterà inaccessibile per ben 24 ore, a partire dalle 5.00. Lo ha annunciato lo stesso fondatore Jimmy Wales sul suo profilo Twitter: “Avviso agli studenti! Fate i vostri compiti presto, Wikipedia mercoledì protesta contro una cattiva legge”.
Non è la prima volta che l’enciclopedia viene oscurata per protesta: già il clamoroso black out della community italiana durante il dibattito sul Ddl Intercettazioni (nel quale si prevedeva l’estensione per i siti internet dell’obbligo di rettifica entro 48 ore, pena pesanti multe) contribuì in modo fondamentale al ritiro della proposta. Condividendo le preoccupazioni sugli effetti che l’approvazione del SOPA avrebbe “per la libertà del web e di Wikipedia”, anche la versione italiana ha espresso la propria solidarietà nei confronti dei colleghi inglesi (vedi comunicato).

Intanto allo sciopero si uniranno anche diverse iniziative degli utenti: oltre 25mila iscritti su Twitter sono pronti a modificare le immagini del proprio profilo in segno di dissenso. Senza dimenticare il numero infinito di petizioni: su Avaaz.org a mobilitarsi sono già più di un milione, sotto la sigla “Save the Internet”. “Il pericolo – denunciano molti utenti – è che si utilizzi il pretesto delle violazioni per impedire l’accesso a siti e contenuti politicamente non graditi”. Per molti altri, SOPA rischierebbe di porre un freno all’innovazione e alla nascita di start-up nel settore delle Ict.

Anche la Casa Bianca è intervenuta con una nota ufficiale, pubblicata dallo staff di Obama sul sito di petizioni We the people: “Crediamo che la pirateria online sia un grave problema che richieda una forte risposta legislativa, ma non sosterremo una legge che riduca la libertà di espressione, aumenti i rischi per la cyber sicurezza o mini alla base il dinamismo e l’innovazione della Rete globale”. Una posizione fortemente criticata da Rupert Murdoch, proprietario di News Corp. Su Twitter il magnate ha accusato il presidente degli Stati Uniti di “essersi unito ai padroni della Silicon Valley che minacciano di pirateria e di furto puro e semplice tutti i creatori di software”. Tra questi Murdoch inserisce anche Google, accusato di “linkare ai siti che violano il diritto d’autore”. Mountain View ha rispedito le accuse al mittente: “Ogni giorno combattiamo la contraffazione. Invece del Sopa, sarebbero utili leggi che obblighino i network di pubblicità online a tagliar fuori i siti pirata”. La posizione di Murdoch è criticata anche dal giornalista Jeff Jarvis: ricostruendo i suoi tweet su Storify, Jarvis accusa il magnate di “non comprendere cosa siano i link, nè l’architettura della Rete”.

Il precedente italiano – Anche nel nostro paese la Rete ha protestato contro l’aumento eccessivo delle competenze di Agcom sulla tutela dei diritti di proprietà. Dopo diverse modifiche, lo schema di regolamento proposta dall’Autorità di garanzia sulle comunicazioni (aperto a settembre a consultazione pubblica) prevede la possibilità per il gestore del sito di rimuovere entro 4 giorni contenuti sospettati di “violazione” (procedura di notice and take down). Qualora una delle due parti non ritenga la procedura soddisfacente, è possibile rivolgersi all’AgCom: dopo un contraddittorio di dieci giorni, sarà così questa a decidere su eventuali rimozioni. La procedura dinanzi all’Agcom è però alternativa e non sostitutiva della via giudiziaria e si interrompe in caso di ricorso al giudice. “Non riguarda – spiega Agcom – l’esercizio del diritto di cronaca, né prevede inibizione all’accesso ai siti contestati”. Un regolamento molto criticato, fin dalla prime bozze: in attesa della versione definitiva, si sono registrate le perplessità anche della Vice-Presidente della Commissione Europea Neelie Kroes.

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Il “mito” di Bin Laden fa più paura dopo la sua morte http://ifg.uniurb.it/2011/05/03/ducato-online/il-mito-di-bin-laden-fa-piu-paura-dopo-la-sua-morte/8290/ http://ifg.uniurb.it/2011/05/03/ducato-online/il-mito-di-bin-laden-fa-piu-paura-dopo-la-sua-morte/8290/#comments Tue, 03 May 2011 10:20:12 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=8290

Massimiliano Cricco

URBINO – L’uccisione di Osama Bin Laden, vissuta come una vittoria dall’Occidente, potrebbe avere come conseguenza quella di rivitalizzare l’ostilità dei fondamentalisti nel segno del suo “martirio”. Massimiliano Cricco, docente di Relazioni internazionali nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Urbino e collaboratore di Limes, ha commentato l’operazione americana che ha portato alla morte del leader di al-Qaida e le sue ripercussioni a livello internazionale.

“Al-Qaida non ha una vera e propria organizzazione gerarchica – spiega il professor Cricco – ma agisce secondo un sistema di cellule sparse in tutto il mondo che in genere si attivano per ordini superiori ma che possono anche agire indipendentemente in caso di emergenza”. Il rischio, quindi, è che cellule di al-Qaida o cellule isolate salafite (la parte più integralista dell’islam) possano organizzare controvendette, rappresaglie e attentati in tutti i Paesi occidentali.

“Negli ultimi anni Bin Laden aveva perso gran parte del potere – continua il professor Cricco – la sua leadership si era affievolita perché sentendosi braccato aveva tagliato ogni rapporto anche con i media e la sua popolarità era calata, soprattutto tra i giovani arabi. Il leader dei Fratelli Musulmani, un’organizzazione islamica che si considera l’erede del creatore del fondamentalismo islamico, ha dichiarato ai media occidentali che la morte di Osama ha rimosso una delle ragioni per cui la violenza si è praticata nel mondo”. Un’affermazione che suona come una volontà da parte delle giovani forze islamiche di dissociarsi dal terrorismo violento di Bin Laden.

Anna Maria Medici

Dello stesso parere Anna Maria Medici, docente di Sistemi politici dei Paesi islamici dell’Università di Urbino, facoltà di Scienze Politiche. “L’annuncio dell’uccisione di Bin Laden è importante anche come tassello dell’onda lunga del declino del terrorismo islamico qaedista e delle sue diverse articolazioni e mutazioni. Soprattutto se lo si intende come tentativo di intercettare il malcontento politico e sociale delle popolazioni musulmane per spingerle in una cornice di estremismo religioso”. Per molto tempo al-Qaida ha invocato l’uso della violenza come unico mezzo per rovesciare i governi arabi alleati degli Usa, spiega la professoressa Medici, e ha invitato i giovani arabi ad arruolarsi nelle sue fila. “In questo senso le rivolte in Africa del Nord, dove di recente era nata una base regionale della organizzazione, sono state quanto di più distante dalle parole d’ordine del terrorismo qaedista. Sicuramente, un ciclo si è chiuso”.

“L’organizzazione di al-Qaida, per quel che è stata e ha rappresentato, era già da tempo alle sue battute finali – spiega ancora Medici – ma questo declino e questa morte del leader non garantiscono certo che finisca oggi il terrorismo. La fase che si va chiudendo lascia in difficoltà molti oscuri alleati di al-Qaeda e il suo spettro può sempre servire. La storia ha più volte dimostrato che sono sufficienti poche centinaia di persone ben finanziate con potenti alleati senza scrupoli per seminare il terrore. E i nemici della stabilità e della democrazia non mancano”.

Anche il Pakistan si trova oggi in una situazione complessa. Si pensava che Osama Bin Laden si nascondesse in una grotta in zone impervie del Paese, poco conosciute anche alle stesse autorità. Invece è stato trovato in una cittadina a due passi dalla capitale. “I servizi segreti pachistani non potevano non sapere dove si trovava – aggiunge Cricco – e ora si teme che le cellule integraliste islamiche presenti nel Paese possano scatenare una vendetta contro il governo, colpevole di aver venduto Bin Laden. Un Bin Laden quasi dimenticato che dopo la morte potrebbe diventare un modello, un simbolo, un mito”. E questo, secondo quanto dichiarato dagli Usa, è uno dei motivi per cui il suo corpo sarebbe stato seppellito in mare: per evitare che i fanatici e integralisti potessero fare pellegrinaggi sulla sua tomba considerandolo come un martire e coagulare nuove forze eversive integraliste in tutto il mondo.

Il realtà proprio questo gesto potrebbe contribuire a mitizzare la sua figura. Secondo la professoressa Medici, infatti, il rischio è quello di far nascere infinite leggende sulla sua morte; Bin Laden era diventato un simbolo e la sua figura rimandava sempre meno al leader politico-militare e sempre di più ad una guida spirituale che interpreta grandi eventi e disegna orizzonti. “Ma era un simbolo anche grazie all’Occidente, perché le democrazie occidentali non si sono ancora emancipate dall’esigenza di personificare il ‘male’ e dare un volto al nemico”.
“Il terrore rimane, la paura c’è – conclude Cricco – la morte di un leader è sicuramente un colpo duro inferto agli integralisti islamici ma non è la fine di tutto né l’intensificarsi di tutto”.

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Crescia, “casciotta” e zuppa, la tavola urbinate fa impazzire gli americani http://ifg.uniurb.it/2011/03/30/ducato-online/crescia-casciotta-e-zuppa-la-tavola-urbinate-fa-impazzire-gli-americani/6937/ http://ifg.uniurb.it/2011/03/30/ducato-online/crescia-casciotta-e-zuppa-la-tavola-urbinate-fa-impazzire-gli-americani/6937/#comments Wed, 30 Mar 2011 15:11:45 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=6937 “Wonderful”, fantastico, dice Max Gross del New York Post mentre addenta una fetta di crescia ripiena di “casciotta’” filante appena servita a tavola. Lo imitano gli altri cinque giornalisti statunitensi seduti al tavolo nella sala del Collegio Raffaello, trasformata per una notte in ristorante.

La cena era iniziata con la “zuppa di Michelangelo”, una minestra di farro e cipolla che prende il nome dal cuoco rinascimentale che la ideò nel 1530. Un piatto semplice, impreziosito da cubetti di “Casciotta di Urbino”, che conquista il palato degli ospiti. Nessuno esita a chiederne la ricetta allo chef. Crostini con coppa di testa e pancetta e vino completano un menù che gli invitati  mostrano di gradire chiedendo il bis di ogni portata.

La delegazione di giornalisti e ristoratori statunitensi è arrivata nelle Marche lunedì per un tour enogastronomico alla scoperta dei sapori della tradizione regionale. Dopo aver mangiato in un agriturismo di Pieve del Colle ed essere stati a Carpegna per degustare il famoso prosciutto, “uno dei migliori che abbia mai assaggiato, meglio anche di quello di Parma” secondo Anthony Dias Blue, giornalista di radio WCBS di Los Angeles, ieri è stata la volta di Urbino.

Mentre gli viene versato un bicchiere di Bianchello del Metauro David Lyon, che scrive di cibo e viaggi sul blog ‘Hungry Travelers’, racconta di essere rimasto affascinato dalla città e dalla sua architettura. E dallo stile di vita, aggiunge Gross lì a fianco: “Stare seduto al bar a prendere un caffè per due ore è bellissimo. A New York è impossibile farlo”.
I sapori “semplici e naturali” della cucina marchigiana sono piaciuti molto anche ai ristoratori presenti, titolari dei migliori ristoranti di cucina italiana sparsi negli Usa, in gran parte italo-americani. Più italiani che americani. Lo si capisce non dal fatto che parlano un ottimo italiano, ma dal loro entusiasmo, dalla loro vivacità e dal chiaro piacere che provano nel mangiare insieme in allegria.

Tra di loro Tony May, pioniere della ristorazione italiana negli Stati Uniti e proprietario di un ristorante di fronte al Madison Square Park di New York; Tomaso Maggiore, proprietario di ristoranti in Arizona e in California e Filippo Frattaroli, proprietario di un ristorante a Boston.

La cena, offerta da presidente del Consorzio di Tutela della Casciotta d’Urbino, Gianluigi Draghi, si è conclusa con lo scambio dei biglietti da visita e con la speranza che piatti assaggiati possano essere inseriti nei menù  americani e si possa, quindi, dar vita a un rapporto commerciale stabile.

Alla serata erano presenti anche l’assessore comunale alle attività produttive Maria Francesca Crispini, il sommelier Giuseppe Cristini e l’assessore provinciale ai lavori pubblici Massimo Galuzzi che ha dato un’anticipazione: nel 2012 saranno riuniti a Urbino per la prima volta in una mostra i tre quadri delle città ideali attribuiti a Piero della Francesca. Solo uno è oggi esposto al palazzo ducale della città, mentre gli altri si trovano a Berlino e Baltimora.
Un commento più che positivo dell’evento dall’assessore Crispini: “Queste serate sono un’ottima occasione per diffondere la cultura Urbinate nel mondo e per creare e mantenere importanti contatti anche dal punto di vista economico”.

Fino a domenica la delegazione americana proseguirà il suo tour enogastronomico, che ogni anno il GRI (Gruppo Ristoratori Italiano) organizza in una regione diversa, alla scoperta del tartufo di Acqualagna, del pesce di Fano e dell’olio di Cartoceto.

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