il Ducato » valle del jeans http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » valle del jeans http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Luci e ombre sulla valle del jeans: la crisi non passa ma qualcuno riparte http://ifg.uniurb.it/2015/02/09/ducato-online/luci-e-ombre-sulla-valle-del-jeans-la-crisi-non-passa-ma-qualcuno-riparte/64401/ http://ifg.uniurb.it/2015/02/09/ducato-online/luci-e-ombre-sulla-valle-del-jeans-la-crisi-non-passa-ma-qualcuno-riparte/64401/#comments Mon, 09 Feb 2015 05:00:18 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=64401 L'INCHIESTA Un jeans ormai lacero: il reportage del 2013 ]]>

L’ex Sab snc ormai chiusa

SANT’ANGELO IN VADO – Le difficoltà economiche non sono alle spalle: le aziende della valle del jeans, a Sant’Angelo in Vado, continuano a patire una crisi che sembra infinita, ma alcune danno segnali in controtendenza. Sono arrivati anche dei lavoratori cinesi in zona, ma neanche loro sentono le difficoltà del momento: lo dimostra una casa in condizione precarie in cui vive una famiglia.

Il Ducato era stato nell’area industriale di Sant’Angelo in Vado già nell’estate del 2013. Le cose andavano parecchio male allora. Una zona pressoché fantasma, alcune imprese chiuse, molte in difficoltà. Dopo 18 mesi ci ritroviamo in uno scenario simile. “Basta che ti fai un giro e vedi subito com’è la situazione” avverte, mentre mi serve un cappuccino, il barista dell’unica tavola calda, il Break Café.

Le poche imprese che già allora riuscivano a resistere vanno tutto sommato bene. E’ il caso della Wooden House, produttrice di case in legno, ma soprattutto della Promo Jeans. Quest’impresa, specializzata in indumenti per motociclisti, è riuscita a crearsi recentemente nuovi contatti a Dubai, in Kazakistan ed in Giappone. “Siamo riusciti a incrementare il numero di figure esterne a partita Iva, sei in più di prima. Il nostro fatturato è cresciuto del 10%-15%”  racconta Andrea Sassi, titolare dell’impresa.

Le aziende chiuse invece rimangono tali. La Tipo-litografia Grafica Vadese non esiste più. Già un anno e mezzo fa aveva chiuso i battenti. Discorso simile per la Saint Germain des Pres: l’azienda è ancora in liquidazione, i suoi dipendenti in cassa integrazione e mobilità. Nessuna prospettiva di riapertura per ora. Nessuna evoluzione rispetto a 18 mesi fa.

Alla Sab snc va ancora peggio: se due estati fa aveva ridotto il personale, ma era ancora in attività, ora il cancello d’ingresso è chiuso. L’edificio è abbandonato alla desolazione, non rimane alcun ricordo della produzioni di tavoli in legno.

Un centinaio di metri più in là invece incontriamo un bel cane bianco sdraiato in un giardino. Si avvicina a noi, non sembra abituato ai visitatori. Il tempo di avvicinarsi alla cancellata ed inizia ad abbaiare. Si fa così viva una signora dalla porta di un magazzino. Si tratta di Gigliola Brincivalli, titolare del Ricamificio vadese. “Il 2014 è stato ancora peggiore del 2013, rischiamo di chiudere il prossimo anno”. Sono le stesse parole che ripete Antonio Baffioni, uno dei soci di Stircontrol.”Si lavora per pagare i debiti. Abbiamo mantenuto i 16 dipendenti con contratti di solidarietà, ma non so se resisteremo fino al 2016″.

E’ rimasto invece da solo Andrea Antoniucci della Adus Marmi Eurodesign. Mi accoglie di fretta, ha poco tempo per parlare ma abbastanza per farmi sapere che le cose vanno ancora peggio di prima. Un pensiero condiviso da un dipendente della Lavanderia Falleri, azienda proprio di fronte alla Adus Marmi. Mi parla con la porta socchiusa, ha poca voglia di raccontare le difficoltà. L’azienda per cui lavora infatti ogni tanto entra in stato di fermo in mancanza di commesse.

Più positivo è Ermenegildo Martelli, falegname iscritto alla Confartigianato pesarese. La sua attività riesce a procedere ma il vero problema è l’inserimento di giovani nel mercato del lavoro. “E’ come sfruttare un granaio pieno senza però pensare a dopo quando sarà vuoto” mi racconta in dialetto. Ed è il primo a parlare del problema della competitività dei lavoratori italiani rispetto a quelli cinese arrivati recentemente.

Dipendenti dell’estremo oriente sono presenti nella Trattamenti Tessili Italia di Fabio Pedini. Un tempo la ditta era conosciuta come Lavanderia Centro Italia, ma ha cambiato recentemente ragione sociale. E’ lo stesso imprenditore ad accompagnarmi per i locali della fabbrica raccontandomi della sua attività. “Qui lavoriamo jeans ed altri capi per marche di livello internazionale: JustCavalli, Cuccinelli, Hugo Boss”. Mi mostra come vengono fatti gli strappi nei pantaloni e i macchinari per colorarli. Poi ricorda “oggi siamo riusciti ad arrivare anche a 40 dipendenti  grazie ai contratti interinali, un miglioramento rispetto a l’anno scorso”.

Il percorso termina in una stanza dove sono raccolti  i capi pronti. Tra questi anche degli abiti che alla luce diventano fosforescenti: “Sono per andare in discoteca” mi racconta con un sorriso Pedini. Arrivati alla porta ricorda come ormai siano pochi quelli che decidono di produrre ancora i Italia, chi può va all’estero per abbattere i costi. “Ma se hai capi di valore devi comunque farli qua” le parole di chi sa di gestire una fabbrica di eccellenze.


In rosso le aziende chiuse, in giallo quelle in difficoltà, in verde quelle che vanno avanti e in blu le nuove imprese 

Accanto a questo stabilimento, uno dei più grandi della zona industriale c’è un edificio rosso. Si vede che è di recente costruzione: Alberto Poggiaspalla, tecnico comunale addetto all’Urbanistica, conferma che si tratta dell’ultima attività commerciale costruita ex novo. Risale al 2012 ma purtroppo non pare ancora in attività.

Al termine del giro c’è però una buona notizia. Al posto della Cornici Vadesi già chiusa nel 2013, c’è la Stefani. Luca Cesarini, dipendente e genero del titolare Luciano Stefani parla volentieri :”Siamo arrivati qui da 7 mesi, in realtà questo è il nostro secondo polo per macchinari agricoli, Luciano lavora nel settore da 35 anni. Ora stiamo finendo di allestire il magazzino poi penseremo anche ad un punto di assistenza per gli autoveicoli”.

Anche se non si può considerare una nuova attività a tutti gli effetti rappresenta un primo spiraglio di ripresa per quest’area industriale. Certamente i colori accesi dei macchinari ridanno un minimo di vita ad una zona caratterizzata dal grigiore delle costruzione e delle prospettive della gente che ci lavora. Me lo confermano le parole dell’ultimo signore che incontro prima di ritornare: “I miei nonni hanno fatto la guerra del ’15-’18 per fare l’Italia, guarda noi in che condizioni dobbiamo lavorare”.

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Un jeans ormai lacero. La crisi non risparmia Sant’Angelo in Vado http://ifg.uniurb.it/2013/06/13/ducato-online/un-jeans-ormai-lacero-la-crisi-non-risparmia-santangelo-in-vado/51018/ http://ifg.uniurb.it/2013/06/13/ducato-online/un-jeans-ormai-lacero-la-crisi-non-risparmia-santangelo-in-vado/51018/#comments Thu, 13 Jun 2013 16:54:44 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=51018 SANT’ANGELO IN VADO – Al chilometro 43 della strada statale di Bocca Trabaria c’è un semaforo. Ma già da molti mesi le luci rossa, arancione e verde non servono più. Un tempo, lontano dalla crisi, il semaforo regolava il traffico, un frenetico viavai dalla zona industriale di Sant’Angelo in Vado, la “valle del jeans“. All’epoca del ‘benessere’ il quadrilatero di vie che racchiude i capannoni brulicava di camion e automobili. I parcheggi erano pieni, al punto che veniva scaglionata la pausa pranzo per evitare che si creassero ingorghi.

Oggi tutto ciò è scomparso, insieme a posti di lavoro e sogni imprenditoriali. Il miraggio del jeans, come quello del mattone o del mobile, è andato in frantumi sotto i colpi di una recessione che spinge la produzione sempre più fuori dai nostri confini. Parcheggi come quello di via Salvo D’Acquisto, dove un tempo trovare posto era un colpo di fortuna, adesso sono solo distese d’asfalto. Qui sono andati in fumo 700 posti di lavoro, in un paese che conta non più di 4000 abitanti. Come è potuto accadere?

Appena entrati nella zona industriale fermiamo il motore davanti alla Tipo-litografia Grafica Vadese. Il proprietario, Dante Pasquini, ci viene incontro con la mano tesa. “Io ho chiuso perché gli altri sono falliti – esordisce – lavoravo soprattutto con il settore del mobile e quando le imprese sono andate in crisi ho perso di colpo le commesse. Abbiamo provato a resistere, ma la difficoltà ad accedere al credito, con le banche chiuse ermeticamente, ci ha tarpato le ali”.

La ditta di Pasquini, fondata nel 1969, è chiusa dal 15 marzo, una delle ultime vittime: “Prima della crisi fatturavo due milioni e mezzo di euro – racconta il tipografo – nel 2012 ho raccolto meno della metà. Le spese per mantenere in piedi la tipografia hanno continuato a crescere in maniera esponenziale, come gli interessi da pagare alle banche per gli scoperti. Ho dovuto lasciare senza lavoro 15 persone”.

Camminando nel piccolo stabilimento, Pasquini mostra i macchinari: “Tutti nuovi. In questa stanza ci sono 2 milioni di euro di attrezzatura. Ho provato a venderli, ma non mi vogliono dare più di 25mila euro. Non esiste più niente, giusto il nome della tipografia. Ho già tolto l’insegna, per evitare di dover pagare la tassa”.

Pasquini non è l’unico a rinunciare al nome: per strada incontriamo tanti capannoni anonimi e rigorosamente chiusi. All’angolo tra via Salvo D’Acquisto e via Carlo Alberto Dalla Chiesa svetta la mole delle Cornici Vadesi: trenta posti di lavoro scomparsi alla fine del 2012. L’insegna qui c’è ancora, come i pezzi di legno accatastati sotto una tettoia, pronti per essere trattati. Ma il lavoro non c’è più.

Ci spostiamo lungo la via e troviamo la Saint Germain des Pres: “Lavorare qui – ci spiegano gli abitanti di Sant’Angelo – era come trovare un impiego alle Poste”. L’azienda produceva maglieria con un proprio marchio, distribuito in tutta Europa e in Oriente. Da qualche mese è in liquidazione e i 30 dipendenti sono a rimasti a casa. “La valle del jeans è in ginocchio – ammette Gianmatteo Donnini, titolare della Saint Germain – la stretta del credito è fortissima e tutta la zona era ponderata sull’abbigliamento. Quando il settore è andato in crisi, noi siamo rimasti coinvolti nella catena: i grandi marchi che facevano ordinazioni a Sant’Angelo in Vado si sono spostati all’estero lasciando senza commesse chi lavorava per conto terzi. Noi, che producevamo per il nostro marchio di total look, siamo stati colpiti dal calo dei consumi: il ceto medio non esiste più e se siamo arrivati a tagliare la spesa alimentare significa che quella per l’abbigliamento era diventata superflua già da un po'”.

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Arrivati in fondo a via Salvo D’Acquisto, finalmente sentiamo un rumore di macchinari in funzione. È la Sab Snc dei fratelli Catani: producono tavoli in legno dal 1968, ma nell’ultimo anno il numero degli operai è passato da 15 a 6. “Proviamo a resistere anche se ci siamo dovuti ridimensionare – sottolinea Alfredo Catani – il nostro problema è che la produzione dei mobili si sta spostando all’estero: avevo un cliente veneto che ogni settimana acquistava un container intero di merce, adesso compra in Asia. Qui è scomparso tutto, non so quante aziende arriveranno a vedere il prossimo autunno”.

Attraversiamo tutta l’area passando da via Cascata del Sasso e via Nanni Valentini. Lo scenario è sempre lo stesso: capannoni inanimati, parcheggi vuoti, insegne scomparse o scrostate, poche persone per strada. Troviamo una porta aperta: è quella della Stircontrol, azienda rinomata per la stiratura dei jeans. Dentro al capannone centinaia, forse migliaia, di pantaloni in denim impilati con cura sugli stendini e un uomo che lavora da solo. “Non ho ridotto il personale – si affretta a spiegare Antonio Baffioni – ma il lavoro è poco. Spesso bisogna rinunciare ad alcune commesse perché manca la liquidità per anticipare le spese. Sono le banche che decidono chi salvare e chi far fallire, ma è assurdo non aprire i rubinetti a chi lavora”.

Chi ancora resiste spesso lo fa grazie a prodotti innovativi: è il caso di Andrea Sassi, titolare della PROmo Jeans. Nel 2009 Sassi ha iniziato a produrre jeans per motociclisti, con tasche per inserire le protezioni. Il mercato gli ha sorriso, ma anche lui ammette: “Più che altro resistiamo”.

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Facciamo inversione, stando attenti a non finire nelle grosse buche che si sono aperte sull’asfalto. Ci fermiamo davanti alla Lavanderia Centro Italia. È uno degli stabilimenti più grandi di Sant’Angelo in Vado e prima della crisi era il luogo di lavoro di 86 persone. La ditta trattava il tessuto denim per le grandi case di moda, ma a un certo punto il gioco è finito. La Lavanderia è rinata cambiando ragione sociale (International Design) ma il numero di dipendenti è sceso a una ventina.

La crisi ha colpito direttamente le fabbriche, ma i contraccolpi hanno danneggiato anche altre attività, come l’unica tavola calda della zona, il Break Café. Dai 60 pasti giornalieri si è scesi a una quindicina e anche il personale ne ha risentito: “Ho dovuto mandare via una ragazza – racconta la proprietaria,  Stefania Gorgolini – alle altre ho ridotto gli orari e quindi gli stipendi. Molti turni adesso li faccio io. Ci sono meno clienti e quelli rimasti spendono meno che in passato”.

È quasi sera. L’ultimo ad aprirci la porta è Andrea Antoniucci della Adus Marmi Eurodesign. Il suo problema principale non è la mancanza di commesse ma la mole di crediti difficili da riscuotere: “Siamo stati danneggiati dalla crisi dell’edilizia – spiega – il sintomo è che il nostro pacchetto clienti si è assottigliato e metà delle ditte che lavoravano con noi ha cambiato ragione sociale. Non parliamo poi delle aziende che hanno accettato lavori per la Pubblica Amministrazione e che ci devono soldi: viviamo anche noi la lungaggine biblica dei pagamenti”.

La parola d’ordine è ridimensionare: “Va bene – commenta Antoniucci – ma rischia di diventare un suicidio: vuol dire svendere, tagliare personale. La mattina ti chiedi chi te lo fa fare: io ho deciso di portare avanti l’azienda fondata da mio padre, ma lavoro rimettendoci soldi. Si sono inariditi anche i rapporti interpersonali: un tempo c’era collaborazione anche tra ditte concorrenti, adesso ci scanniamo per sopravvivere. Vivo qui da 40 anni e ogni giorno assisto all’agonia di Sant’Angelo in Vado”.

Il futuro appare incerto, avvolto da nuvole che non fanno presagire nulla di buono: “Quei pochi matti patentati come me – spiega Antoniucci –  che ancora ci credono aspettano da cinque anni che le cose cambino, ma sento solo discorsi senza senso: parlare di soldi alle imprese nel 2014 è come dire che si porta un bicchiere d’acqua a chi è già morto di sete”.

Ripartiamo. La macchina si ferma davanti a un semaforo rosso che ormai non ha più senso. Basterebbe il segnale di stop. Non passa più nessuno. “Se si vuole morire schiacciati da un camion questo non è il posto giusto – dice con asprezza il tipografo Dante Pasquini – si è costretti ad appendersi a una corda”.

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