il Ducato » wikipedia http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » wikipedia http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it Wikipedia, Facebook e Twitter: le (cattive?) abitudini dei giornalisti http://ifg.uniurb.it/2013/03/19/ducato-online/wikipedia-facebook-e-twitter-le-cattive-abitudini-dei-giornalisti/39046/ http://ifg.uniurb.it/2013/03/19/ducato-online/wikipedia-facebook-e-twitter-le-cattive-abitudini-dei-giornalisti/39046/#comments Tue, 19 Mar 2013 04:12:14 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=39046 Raccolta di notizie e verifica delle fonti: ecco i compiti principali di un giornalista. Guai a parlare di Wikipedia, guai a pensare che i più grandi giornalisti del mondo possano trovare le proprie notizie sui social network.

E se, invece, fossero proprio queste le loro piattaforme preferite? A far scattare il dubbio ci ha pensato “10 yetis”. Non dieci uomini delle nevi ma dieci pr (e un basset hound di nome Hugo) che dal 2005 si divertono a fare ricerche su fenomeni mediatici e sociali.

L’ultimo lavoro di questa giovane agenzia inglese di Public Relations è Likes, Loves and Loathes of Journalists based in UK, France, Germany and America (tradotto liberamente:  Quello che piace e quello che non piace ai giornalisti inglesi, francesi, tedeschi e americani), una ricerca che analizza le abitudini dei giornalisti provenienti dai quattro angoli del mondo. Oltre 2600 professionisti, attivi sulle maggiori testate internazionali, hanno risposto ad un questionario di 11 domande su temi ‘scomodi’ dell’etica giornalistica, come l’uso di Wikipedia, Twitter e Facebook per cercare notizie.

La prima parola “scomoda” è proprio Wikipedia. Dalla ricerca emerge che il 91% dei media nazionali tedeschi e l’82% di quelli inglesi usano sistematicamente Wikipedia per informarsi su un argomento di cui si stanno occupando. “Ogni giornalista che ha ammesso di usare la piattaforma partecipativa ha tuttavia precisato di verificare la correttezza di ogni informazione riportata e di usarla solo per ‘farsi un’idea’ sull’argomento in questione”, si legge nella ricerca.

Altre parole ‘scomode’ sono Twitter e Facebook. Il 70% dei media inglesi giudica Twitter un valido alleato nel lavoro quotidiano di ricerca di informazioni. Un dato significativo soprattutto se confrontato con quanto emerso per i media tedeschi: l’80% dei primi non si fiderebbe delle notizie scovate sul social network. I giornalisti statunitensi, invece, sarebbero indifferenti al suo utilizzo come fonte di informazione. Cosa nella realtà abbastanza strana, perché è proprio dagli Stati Uniti che è iniziato l’uso ‘forte’ di Twitter da parte dei politici e i giornalisti Usa sono stati i primi a rendersi conto che il social network era diventato una fonte primaria e diretta di news.

Non sono neutrali, invece, i media italiani: Giuseppe Smorto, direttore di Repubblica.it, intervistato per dare uno sguardo ai media italiani, testimonia come spesso Twitter possa servire per arrivare primi sulle notizie. “Twitter è molto utile – afferma Smorto – perché ti collega al personaggio che segui. Quando si sono sciolti i Rem, un collega che seguiva il gruppo musicale su Twitter colse la cosa al volo e diede subito la notizia che fu pubblicata in tempo reale, prima di tutti gli altri”.

Per quanto riguarda Facebook, invece, il 15% dei giornalisti francesi, tedeschi e americani intervistati ammette di usare il social network soprattutto per cercare informazioni su determinate aziende. Anche se l’organizzazione piuttosto caotica e cronologica delle pagine Facebook non è esattamente l’ideale per chi deve cercarvi notizie. “Roba da far venire il mal di testa a questi giornalisti” commentano ironici i pr autori della ricerca.

La ricerca delle notizie sui social media potrebbe, dunque, rivelarsi confusa. Tutto il contrario del caro vecchio comunicato stampa che, secondo la ricerca, è ancora lo strumento più usato dai giornalisti. Ancora Smorto, a proposito delle fonti dei media italiani, spiega: “In testa, per quanto riguarda i siti online, restano  le agenzie di stampa. Ma anche sul web, come sulla carta, rimangono fondamentali i contatti diretti che i giornalisti hanno con le fonti: strutture, organismi, istituzioni, pubbliche amministrazioni, aziende ecc… Il comunicato stampa (quasi sempre, ormai, sotto forma di e-mail) è ancora utilizzato dalle redazioni italiane ma stanno acquistando importanza le piattaforme social. Oggi, in particolare con lo sviluppo di movimenti politici molto presenti sul web, i social network devono essere costantemente monitorati”.

Nonostante i social media non si piazzino ancora in posizioni molto alte come fonti di informazione, condividere i contenuti degli articoli e ricevere like e commenti sarebbe, secondo la ricerca, una delle più grandi preoccupazioni dei giornalisti al lavoro. Ormai, quasi tutti i giornali online sono dotati di meccanismi che permettono di valutare in tempo reale quanti “mi piace” o “consiglia” o “condividi” ha ricevuto un articolo. Non c’è giornalista che non segua ansiosamente l’andamento dei suoi pezzi da questo punto di vista. E questo, a volte, viene anche prima dell’ansia della “deadline”, e dell’eccessivo carico di lavoro (nel Regno Unito ogni giornalista deve scrivere al giorno più di 7 articoli contro i 3 dei giornalisti americani) e delle pressioni da parte della pubblicità, che bombarda le redazioni.

Lo stress maggiore, comunque, verrebbe proprio dalla necessità di viralizzare la notizia, cioè di farla circolare sempre di più tra i social network. “Nel nostro gruppo di lavoro – conclude Smorto – abbiamo la figura del social media editor, un deskista incaricato di rilanciare continuamente i nostri contenuti su Facebook e Twitter, ma anche sui motori di ricerca. Io credo che questa figura debba essere ben integrata nella redazione, lavorare accanto agli altri e tenerli aggiornati sulla sua attività di ‘viralizzatore’. E’ un compito molto importante. Il nostro obiettivo, in ogni tempo, è raggiungere il maggior numero di lettori.”

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Pirateria, sciopero contro il “Sopa”: la Rete sfida le major americane http://ifg.uniurb.it/2012/01/17/ducato-online/pirateria-online-sciopero-contro-il-sopa-la-rete-sfida-le-major-americane/15928/ http://ifg.uniurb.it/2012/01/17/ducato-online/pirateria-online-sciopero-contro-il-sopa-la-rete-sfida-le-major-americane/15928/#comments Tue, 17 Jan 2012 09:09:29 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=15928 (leggi il comunicato sul sito italiano). Un black out di protesta contro la proposta di legge americana sul diritto d'autore e la pirateria online. Manca ancora l'adesione di altri "big" come Google e Facebook]]>

Lo sciopero del 18 gennaio

Aggiornato alle ore 12.00 di martedì 17 gennaio 2012

A lanciare l’idea del black out è stato Reddit, noto portale-community di condivisione di contenuti. Poi sono arrivate le adesioni di Mozilla, Twitpic, XDA Developers, mentre poche ore fa anche Wikipedia ha annunciato che oscurerà la sua versione inglese. Ma ci stanno pensando anche altri big come Facebook, Amazon e Google, spinti da milioni di utenti che vorrebbero salvaguardare la libertà e i diritti del web.

Sono questi i nomi dei siti e dei social network che stanno preparando per il 18 gennaio “The Great Internet Strike ”, il grande sciopero della Rete. Dodici ore, a partire dalle 8.00 di mattina, nelle quali non sarà possibile accedere a servizi diventati ormai di uso quotidiano. Anche il web “abbasserà le serrande”, questa volta in formato digitale: navigare sarà complicato, si salveranno solo le caselle di posta elettronica.
Il motivo? Tutta colpa del SOPA, acronimo di Stop Online Pricy Act, proposta di legge in discussione al Congresso degli Stati Uniti che, in nome della difesa del diritto d’autore, rischia di porre limitazioni evidenti alla libertà d’espressione su Internet.

La controversa proposta è stata presentata il 26 ottobre dal deputato repubblicano Lamar S. Smith, ma l’interesse della politica contro la pirateria on line è comunque bipartisan. Una proposta gemella (il PIPA, Protect Ip Act),è stata infatti presentata in Senato dal senatore democratico Patrick Leahy.

Il deputato repubblicano Lamar Smith, promotore del SOPA

Il 24 Febbraio riprenderà il dibattito alla Camera: molte aziende hanno così deciso per una protesta di grande impatto, prima che il SOPA diventi legge, come sperano invece major e grandi corporation dell’industria dell’intrattenimento.

La proposta di legge
–  Così come chiarisce Wikipedia, SOPA permetterebbe ai titolari di copyright statunitensi di “agire direttamente per impedire la diffusione di contenuti protetti”. Basterebbe l’accusa di non rispettare la legge sul diritto d’autore, per permettere agli stessi detentori dei diritti e al Dipartimento di Giustizia americano di procedere legalmente sia contro i siti Internet sospettati, sia nei confronti di chi aiuterebbe la violazione (anche attraverso un semplice link).

L’Attorney general (il ministro della Giustizia) potrebbe così imporre ai fornitori di servizi internet (ovvero agli ISP, Internet Service Provider) l’obbligo di impedire ai propri utenti l’accesso ai siti accusati di vendere o pubblicare materiale coperto da copyright negli Stati Uniti, oltre a bloccare canali di finanziamento e pubblicità (una misura già richiesta in passato dalla Casa Bianca a Pay Pal nei confronti di Wikileaks).
Tra le sanzioni è compresa la reclusione fino a cinque anni: lo streaming on line verrebbe punito così allo stesso modo della vendita di merci contraffatte. Basterebbe postare su YouTube un video con in sottofondo una musica coperta da diritto d’autore per compiere un reato e rischiare il carcere. Si pensi al caso di Stephanie Lens, la madre accusata dalla Universal di violare il diritto d’autore per aver pubblicato il video del proprio bambino che balla sulle note di Prince.
La legge prevedrebbe per l’accusato la possibilità di presentare appello entro cinque giorni: il blocco dei siti sarebbe però precedente al reale accertamento della violazione attraverso un processo.

Secondo i promotori della protesta i poteri concessi all’autorità giudiziaria sarebbero eccessivi: tra questi sarebbe prevista anche la cancellazione dei risultati nei motori di ricerca.

Le conseguenze – Per molti gestori di siti l’approvazione della SOPA significherebbe l’obbligo di controllare in modo capillare tutto il materiale che viene pubblicato dagli utenti. “Un’operazione tecnicamente impossibile – afferma Maurizio Codogno, portavoce di Wikimedia Italia – dato che ci costringerebbe a controllare manualmente milioni di collegamenti esterni”. Tutto in modo preventivo. Codogno sottolinea come Wikimedia Foundation – la società che gestisce la grande enciclopedia libera di Wikipedia, tra i dieci siti più visitati al mondo – concordi sulla necessità di difendere il diritto d’autore: “Ogni presunta violazione del copyright viene già immediatamente cancellata. Lo Stop Online Piracy Act rischia però di diventare controproducente, mandando nel caos tutta la Rete”.

The Strike must go on – Di fronte alle proteste della Rete, un dietrofront è stato deciso dai promotori almeno per quanto riguarda l’utilizzo del sistema di filtro dei Dns (Domain name system), pensato per oscure gli Internet service provider con contenuti illeciti e inizialmente previsto nel PIPA.

La Rete però continua a non fidarsi: la rimozione potrebbe essere solo un modo per accelerare l’iter di approvazione della SOPA, rinviando in futuro la discussione sull’uso dei Dns. Per questo, in attesa di sapere come protesterà la NetCoalition (organizzazione che riunisce Google, Amazon, Fb), lo sciopero del 18 resta confermato. Alla fine ha aderito anche Wikipedia: la versione inglese resterà inaccessibile per ben 24 ore, a partire dalle 5.00. Lo ha annunciato lo stesso fondatore Jimmy Wales sul suo profilo Twitter: “Avviso agli studenti! Fate i vostri compiti presto, Wikipedia mercoledì protesta contro una cattiva legge”.
Non è la prima volta che l’enciclopedia viene oscurata per protesta: già il clamoroso black out della community italiana durante il dibattito sul Ddl Intercettazioni (nel quale si prevedeva l’estensione per i siti internet dell’obbligo di rettifica entro 48 ore, pena pesanti multe) contribuì in modo fondamentale al ritiro della proposta. Condividendo le preoccupazioni sugli effetti che l’approvazione del SOPA avrebbe “per la libertà del web e di Wikipedia”, anche la versione italiana ha espresso la propria solidarietà nei confronti dei colleghi inglesi (vedi comunicato).

Intanto allo sciopero si uniranno anche diverse iniziative degli utenti: oltre 25mila iscritti su Twitter sono pronti a modificare le immagini del proprio profilo in segno di dissenso. Senza dimenticare il numero infinito di petizioni: su Avaaz.org a mobilitarsi sono già più di un milione, sotto la sigla “Save the Internet”. “Il pericolo – denunciano molti utenti – è che si utilizzi il pretesto delle violazioni per impedire l’accesso a siti e contenuti politicamente non graditi”. Per molti altri, SOPA rischierebbe di porre un freno all’innovazione e alla nascita di start-up nel settore delle Ict.

Anche la Casa Bianca è intervenuta con una nota ufficiale, pubblicata dallo staff di Obama sul sito di petizioni We the people: “Crediamo che la pirateria online sia un grave problema che richieda una forte risposta legislativa, ma non sosterremo una legge che riduca la libertà di espressione, aumenti i rischi per la cyber sicurezza o mini alla base il dinamismo e l’innovazione della Rete globale”. Una posizione fortemente criticata da Rupert Murdoch, proprietario di News Corp. Su Twitter il magnate ha accusato il presidente degli Stati Uniti di “essersi unito ai padroni della Silicon Valley che minacciano di pirateria e di furto puro e semplice tutti i creatori di software”. Tra questi Murdoch inserisce anche Google, accusato di “linkare ai siti che violano il diritto d’autore”. Mountain View ha rispedito le accuse al mittente: “Ogni giorno combattiamo la contraffazione. Invece del Sopa, sarebbero utili leggi che obblighino i network di pubblicità online a tagliar fuori i siti pirata”. La posizione di Murdoch è criticata anche dal giornalista Jeff Jarvis: ricostruendo i suoi tweet su Storify, Jarvis accusa il magnate di “non comprendere cosa siano i link, nè l’architettura della Rete”.

Il precedente italiano – Anche nel nostro paese la Rete ha protestato contro l’aumento eccessivo delle competenze di Agcom sulla tutela dei diritti di proprietà. Dopo diverse modifiche, lo schema di regolamento proposta dall’Autorità di garanzia sulle comunicazioni (aperto a settembre a consultazione pubblica) prevede la possibilità per il gestore del sito di rimuovere entro 4 giorni contenuti sospettati di “violazione” (procedura di notice and take down). Qualora una delle due parti non ritenga la procedura soddisfacente, è possibile rivolgersi all’AgCom: dopo un contraddittorio di dieci giorni, sarà così questa a decidere su eventuali rimozioni. La procedura dinanzi all’Agcom è però alternativa e non sostitutiva della via giudiziaria e si interrompe in caso di ricorso al giudice. “Non riguarda – spiega Agcom – l’esercizio del diritto di cronaca, né prevede inibizione all’accesso ai siti contestati”. Un regolamento molto criticato, fin dalla prime bozze: in attesa della versione definitiva, si sono registrate le perplessità anche della Vice-Presidente della Commissione Europea Neelie Kroes.

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Ovo, Colletti (Bocconi): “Passo indietro per fare passo avanti” http://ifg.uniurb.it/2011/12/15/ducato-online/ovo-colletti-bocconi-passo-indietro-per-fare-passo-avanti/14453/ http://ifg.uniurb.it/2011/12/15/ducato-online/ovo-colletti-bocconi-passo-indietro-per-fare-passo-avanti/14453/#comments Thu, 15 Dec 2011 12:49:34 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=14453 [continua a leggere]]]> L’idea di una video-enciclopedia che riassumesse ogni aspetto della conoscenza non è nuova. Già  nel 1987 la Rai aveva cominciato a lavorare a un’Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, sotto la direzione di Renato Parascandolo, che oggi conta oltre 2000 lezioni e interviste a personaggi di tutto il mondo.

LEGGI Ovo apre ai commenti e va in tv

Un progetto simile a Ovo è Qwiki, creato da Eduardo Saverin, uno dei creatori di Facebook. Comparando Qwiki e Ovo però si nota subito una macrodifferenza: i contenuti e i video di Qwiki sono realizzati dagli utenti, come per Wikipedia, mentre per Ovo lavorano solo professionisti stipendiati, che realizzano dei video di alta qualità grafica e artistica.

Tradotto: per Ovo ci vogliono molti più soldi. Per questo quando ha cominciato, nel 2010 aveva 400 voci, mentre Qwiki al suo ingresso in rete ne contava tre milioni. Un progetto che Gianpaolo colletti, co-fondatore dell’osservatorio sulle business tv della Bocconi, analizza così.

Ci sono degli elementi innovativi in Ovo?
“L’elemento nuovo di Ovo è la qualità delle videoclip. La sfida ora è superare la barriera del linguaggio, che è ancora il grande limite dei prodotti italiani. In questo senso quindi hanno lavorato per un uso spinto della grafica e degli elementi visivi di impatto per un linguaggio semiotico internazionale e per questo stanno traducendo le clip in inglese”.

La distribuzione pubblicitaria segue la logica di Google e del web 3.0, questa non è una novità….
“Si, la logica è quella del web 3.0 e della tagcloud, cioè nuvole di contenuti e di aree tematiche alle quali associare il proprio prodotto. Non più gli utenti collegati tra loro come nel web 2.0, ma le tematiche collegate anche agli utenti. Questa è la direzione in cui sta andando tutta la pubblicità online. In questo senso è una leva strategica,  in quanto raggiunge comunità molto ristrette ma molto definite, le microcommunity. Sono queste il valore fondante del progetto Ovo”.

Ai tempi di Wikipedia, non rappresenta un passo indietro la chiusura totale agli utenti, nella classica logica della enciclopedia Treccani?
“Paradossalmente è un passo indietro per fare un passo avanti. Abbiamo passato la fase di ubriacatura del web 2.0 nella quale ogni contenuto poteva essere generato dagli utenti. Uno dei punti di maggior critica  dal mio osservatorio è la credibilità delle fonti e la necessità di fonti accreditate. In futuro avremo comunità ristrette chiuse ai contenuti dell’utente. Già oggi si stanno moltiplicando,  nel senso che vi si può accedere o per invito o se si hanno determinate credenziali per produrre contenuti. Reputo positivo che solo chi conosca la materia  sia abilitato: non necessariamente ogni cittadino può farlo,  lo può fare se ha determinate capacità . Quindi credo che questo sia l’aspetto positivo, un’evoluzione della professionalità”.

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