il Ducato » Colonna-Media http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » Colonna-Media http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it/categorie/media-home/ La cultura conviene, il racconto dell’ultima giornata del festival del giornalismo culturale http://ifg.uniurb.it/2015/04/27/ducato-online/la-cultura-conviene-il-racconto-dellultima-giornata-del-festival-del-giornalismo-culturale/72608/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/27/ducato-online/la-cultura-conviene-il-racconto-dellultima-giornata-del-festival-del-giornalismo-culturale/72608/#comments Mon, 27 Apr 2015 18:33:02 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=72608 NEWS-ITALIA Rapporto su italiani e informazione I PANEL Carta stampata | Il web | Radio | Tv STORIFY Ultimo giorno | Terzo giorno | Secondo giorno | Primo giorno - FOTOGALLERIE 1 - 2 TUTTI I SERVIZI DAL FESTIVAL]]> Stefano Paternoster dell'ufficio stampa del comune di Matera

Stefano Paternoster dell’ufficio stampa del comune di Matera

FANO –  Una tavola rotonda che vedeva seduti allo stesso tavolo giornalisti, amministratori, addetti stampa degli enti locali e professori universitari.  Ruoli diversi  ma tutti accomunati da un’unica idea: la promozione deve partire dal territorio per arrivare al mondo intero. “Promuovere la cultura conviene” è stato il  tema del panel conclusivo di domenica mattina alla Mediateca Montanari di Fano che ha chiuso i lavori del terzo Festival del giornalismo culturale.

“La cultura prodotta dal territorio deve essere mainstream e underground allo stesso tempo” cosi ha esordito Marco Ferrazzoli, capo ufficio stampa del Cnr e moderatore del tavolo  . L’Italia è un paese che può e deve sorreggersi sull’indotto economico e sociale che prende vita dal suo enorme patrimonio culturale. Lo stivale dei festival, dei beni archeologici e delle arti, deve intercettare un pubblico diversificato e stratificato. Non solo un “consumatore”  dal palato fino, ma anche chi dalla cultura vuole intrattenimento, o perlomeno un linguaggio attuale e figlio dei nostri tempi.

L’ esempio delle “best practice” guida molti degli interventi della mattina. Fresca di nomina come Capitale europea della cultura 2016, Matera ha puntato molto sulla dimensione europea, e allo stesso tempo sul coinvolgimento del cittadino.  Serafino Paternoster responsabile dell’ufficio stampa del comune Lucano ha raccontato ai presenti, come riuscire ad ottenere risultati nonostante la crisi. Il dossier di candidatura “Open Future” parla di un’idea di promozione che parte dal concetto di comunità che coinvolga anche il turista, e soprattutto di un orizzonte che non deve essere solo italiano ma europeo.

“La prima cosa che abbiamo fatto noi, è proprio andare a vedere come ha  lavorato Matera”, ha detto l’assessore alla cultura fanese Stefano Marchegiani. Nonostante la crisi e il taglio dei fondi pubblici, “la rivoluzione” deve partire dai comuni. L’amministrazione comunale presieduta dal sindaco Massimo Seri punta al rilancio del patrimonio culturale della città della fortuna. A partire dal centro studi Vitruviano, fiore all’occhiello che negli ultimi mesi ha messo in piedi una mostra dedicata al geniale architetto romano con un forte uso della tecnologia (schermi interattivi, e prodotti multimediali) con un gran numero di visitatori. La necessità di fare sistema con le altre realtà, è un altro punto fondamentale dell’intervento.

Dalla periferia al mondo. Gli straordinari risultati di “Pordenone Legge” , festival letterario giunto ormai alla sua 14esima edizione, offrono una fotografia di come è possibile ottenere un risalto internazionale ed un conseguente ritorno economico, puntando alla valorizzazione intelligente e lungimirante della Cultura con la C maiuscola. “I dati parlano chiaro – racconta la giornalista Radio Rai Anna Longo – per ogni Euro investito, sette ne sono entrati in cassa, un indotto economico che giova anche ai gestori di parcheggi”.

Gli effetti economici e sociali dell’investimento culturale, sono ben chiari all’assessore alla cultura e al bilancio della Regione Marche Pietro Marcolini secondo il quale “La cultura per avere il giusto equilibrio ha bisogno di un investimento che produca effetti nel tempo”, e aggiunge “il nesso ritorno economico e cultura dipende anche dai fondi europei”. Gli investimenti della regione, sono indirizzati al rilancio che passa anche dal sostegno economico per il film “Il giovane Favoloso” su Giacomo Leopardi, o il coinvolgimento di testimonial come Dustin Hoffman. 

Per quanto riguarda le istituzioni, e in particolare l’istituto della soprintendenza artistica, Giovanna Perini Folesani docente di Storia della critica d’arte dell’Università di Urbino non usa mezzi termini: “Prima era invidiata da tutti, ora è in mano ai contabili”. Senza dimenticare la perdita di quel ruolo fondamentale nella promozione, che era del servizio pubblico: “L’informazione culturale, e in particolare la Rai, dovrebbe cambiare approccio per promuovere la cultura.”

Valorizzazione che passa anche da una app, “Being Leonardo” permette di rivivere la vita del genio fiorentino tramite le potenzialità della tecnologia. La presentazione del progetto spetta a  Marisandra Lizzi, giornalista di Ipress. Insomma, la cultura conviene, e lo fa grazie alla politica, alla tecnologia e alla volontà di tutti, in particolare dei cittadini e degli enti locali

 

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“Noi e gli strumenti del giornalismo nell’era dei social”, le impressioni degli allievi dal festival di Perugia http://ifg.uniurb.it/2015/04/27/ducato-online/noi-e-gli-strumenti-del-giornalismo-nellera-dei-social-le-impressioni-degli-allievi-dal-festival-di-perugia/71215/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/27/ducato-online/noi-e-gli-strumenti-del-giornalismo-nellera-dei-social-le-impressioni-degli-allievi-dal-festival-di-perugia/71215/#comments Mon, 27 Apr 2015 18:30:43 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71215 TUTTI I SERVIZI DAL #ijf15 LO SPECIALE DEL GRUPPO ESPRESSO Il diario dei volontari 1 | 2 | 3 | 4 | 5]]> Immagine interna

Uno dei panel più affollati del Festival

PERUGIA – Per cinque giorni consecutivi la redazione dell’Ifg di Urbino ha spostato la propria sede a Perugia. I trenta allievi della scuola hanno seguito gli eventi del Festival internazionale del giornalismo, un’ottima occasione per conoscere alcuni dei migliori giornalisti italiani e mondiali, ma anche una prima opportunità di saggiare la realtà del lavoro sul campo. I ragazzi si sono divisi un due gruppi: dieci di loro si sono trasformati in volontari per l’organizzazione dell’evento, mentre gli altri venti hanno fatto la copertura mediatica per il Ducato e le testate locali del gruppo L’Espresso. Twitter, Facebook, Scribble: questi alcuni degli strumenti che hanno usato più frequentemente per raccontare ciò che accadeva a Perugia. Ognuno dei ragazzi ha espresso il proprio pensiero sulla sua esperienza alla manifestazione, ormai nota a loro più come #ijf15 (l’hashtag che ha connotato ogni post dei giornalisti del Ducato sui social network in questi giorni) che come Festival del giornalismo.

TUTTI I SERVIZI DAL FESTIVAL DI PERUGIALO SPECIALE DEL GRUPPO ESPRESSO

In questa quindicesima edizione del Festival ho conosciuto nuovi strumenti digitali utili per il giornalismo come Scribble e Splice. Ho capito anche l’importanza del velocizzare i tempi di consegna per un pezzo online. Serena Santoli

Durante il Festival ho imparato che oggi il giornalismo insegue la grammatica dei social e anche quanto sia importante ritrovare un linguaggio più complesso, inteso come non banalizzazione dei concetti. Andrea Perini

In questa settimana ho imparato che siamo costantemente sotto pressione da parte del potere, ma anche che molti resistono e non si fanno intimidire; che per fare bene il proprio mestiere bisogna dare meno spazio alle opinioni, che in Italia spesso sovrabbondano, e ritornare al giornalismo che parte dai fatti. Martina Nasso

Il Festival mi ha insegnato che basta un cellulare per fare giornalismo. La sforzo da fare è quello di sfruttarne bene le diverse potenzialità per costruire un pezzo crossmediale. Enrico Forzinetti

Ad #ijf15 ho vissuto per la prima volta l’affollata sala stampa di un festival internazionale. Mauro Torresi

Il festival di Perugia per me è stata un’occasione di crescita e di confronto con il mondo. Mi ha fatto capire quanta passione serve per fare questo mestiere e che, nonostante tutto, le opportunità non mancheranno per chi se le merita. Adriano Di Blasi

All’ijf15 ho imparato a fare il live twitting di un evento, a usare Scribble e Storify, a memorizzare quali sono i posti vicino alle prese di corrente, che questo è contemporaneamente il momento migliore e peggiore del giornalismo e che se devi coprire la conferenza in cui interverrà Snowden piazzarsi con due ore di anticipo davanti alla porta non è esagerato. Anna Saccoccio

Partecipare a questa edizione del Festival di Perugia mi ha insegnato che il lavoro che ho sempre sognato di fare è in continua evoluzione ed espansione. Addirittura diverso da quello che credevo. Possono cambiare i media e le tecnologie, ma continuano a essere le idee a scuotere il mondo del giornalismo. E in questo festival ho avuto la fortuna di vederne parecchie. Alessandro Crescentini

Il Festival mi ha fatto capire che il giornalismo non è più quello che fino a ora conoscevamo: cambiano i mezzi e le possibilità. Ho esplorato nuove tecniche per seguire un evento, oltre al classico “pezzo giornalistico” ci sono infiniti modi per raccontare quello che si ha davanti. Inutile dire che i social sono i protagonist,: capaci di rendere tutto in diretta, live: Twitter, Instagram, Scribble, Facebook. Una cosa non cambia però, finché ci saranno storie avremo sempre qualcosa da dire: che sia con un tweet, un post o con la buona vecchia biro. Rita Rapisardi

Il Festival è stata un’occasione per condividere conoscenze, espandere i propri orizzonti, aprirsi a un mondo che non pensavo così stressante ed emozionante allo stesso tempo. Essere circondati da persone che amano le tue stesse passioni è una sensazione impagabile. Da fare, rifare e rifare ancora, senza stancarsi mai. Vincenzo Guarcello

Dall’#ijf15 ho imparato che devo essere la prima a credere in me stessa se voglio fare questo lavoro e che, come ha detto ieri Amedeo Ricucci: “Devo trovare l’idea, è quella che fa la differenza”. Ilenia Inguì

Dall’#ijf15 ho imparato che il caffè non è mai abbastanza e che la vita è come un panel: mettiti in fila e aspetta. Ma se hai il cartellino forse hai qualche vantaggio in più. Daniela Larocca

Durante il Festival ho capito che il giornalismo diventa sempre più digitale, ma spero che la carta non scompaia mai. Giorgio Pinotti

Durante il Festival ho imparato a utilizzare diversi strumenti multimediali utili, per esempio, a creare mappe interattive e rendere più efficaci i tweet. Jacopo Salvadori

Attraverso la mia esperienza e quella dei miei colleghi ho avuto modo di mettere in pratica quello che stiamo imparando a scuola e di provare a entrare nel vivo della professione giornalistica. Gianmarco Murroni

Da Ijf15 ho imparato che è ora di smettere di fare il giornalista “volontario” a vita. Marco Tonelli

Dal Festival ho imparato che scrivere un articolo di più di mille parole è mentalmente devastante. Riccardo Marchetti

Il Festival mi ha insegnato che i giornalisti dormono poco e quando non dormono stanno su Twitter. Antonella Scarcella

In questi cinque giorni ho scoperto strumenti utili per la professione molti dei quali nascono dallo sviluppo tecnologico. Per quanto gli strumenti possano svilupparsi ed essere sensazionali, però, hanno poco effetto se alla base non c’è una notizia. Il giornalista cerca e racconta storie, cambiano gli strumenti, i metodi narrativi, ma il suo ruolo non cambia. Lucia Gabani

Vorrei scrivere qualcosa di positivo, ma le cose buone sono tante e le diranno altri. Io ho avuto conferma che il giornalista, come lavoratore, diventerà sempre più ricattabile nel mercato del lavoro. La collaborazione e la solidarietà di categoria sono il futuro, ma non mi sembra ancora una consapevolezza diffusa.  Libero Red Dolce

All’orizzonte ci sono poche prospettive, soprattutto in Italia, ma questo non ha scoraggiato centinaia di ragazzi che con passione hanno fatto i volontari al Festival, e non scoraggia chi sceglie di frequentare le scuole di giornalismo. Nessuno si illude, siamo tutti consapevoli delle difficoltà, delle incertezze, dei rischi. C’è qualcosa in questo mestiere sempre più complicato e indefinito che però non smette di affascinarci. Nessuno lascia perdere. La strada in salita rende solo più attraente la sfida. Dania Dibitonto

Da questo #ijf15 ho visto che ci sono giornalisti interessati al proprio futuro. Un momento di riflessione su cosa sia oggi il giornalismo, quali sono gli strumenti e cosa vogliono le persone fa ben sperare per il futuro di questa professione. E io ne voglio fare parte. Michele Nardi

Quello che ho imparato a Perugia è che, nonostante la presenza dei social media, i principi del giornalismo, per fortuna, sono sempre gli stessi. Leonardo Grilli

Dal festival internazionale del giornalismo ho imparato che sapere le lingue è fondamentale per fare il giornalista. Altrimenti non riuscirai mai a scrivere un articolo su un panel in spagnolo, con traduzione solo in inglese. Simona Desole

Mappe, live tweeting, scribleLive e storify. Strumenti utilissimi per il giornalismo online. Ho imparato ad usarli per raccontare il festival e non solo. Alessandra Vittori

Ho imparato a tirare fuori la faccia tosta e che “problem solving” è una cosa meno astratta di quel che possa sembrare. Ho imparato che il tesserino da giornalista professionista vale meno di un due di coppe quando comanda bastoni e che la macchina Festival siamo anche noi. Claudio Zago

In questo Festival ho imparato a cogliere le occasioni quando capitano, senza pensarci troppo. E che ogni persona in più che si conosce rappresenta un arricchimento personale. Il Festival e l’esperienza da volontario sono stati un crescendo di emozioni. Valentina Ruggiu

In questo Festival ho imparato che il lavoro è più bello e anzi migliora quando ci si confronta con giornalisti e volontari da tutto il mondo. Le idee si moltiplicano. Isabella Ciotti

Al Festival ho visto voglia di condividere esperienze, idee e speranze per il futuro. Tutti insieme. È quest’astmosfera, resa possibile dal lavoro di speaker e volontari, a rendere unico il Festival del giornalismo. Niccolò Gaetani

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Cultura e divulgazione: la tv generalista ha perso la sfida http://ifg.uniurb.it/2015/04/26/ducato-online/i-programmi-culturali-sono-quelli-fatti-bene-le-sfide-dei-palinsesti-tv/72238/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/26/ducato-online/i-programmi-culturali-sono-quelli-fatti-bene-le-sfide-dei-palinsesti-tv/72238/#comments Sun, 26 Apr 2015 20:25:12 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=72238 RADIO Pubbliche e private]]> Foto tv 2FANO – La televisione durante gli anni ’50 ha insegnato l’italiano agli italiani, ha unificato il linguaggio di un popolo diviso. Dopo 60 anni ha ancora questo ruolo educativo e culturale? Nella terza giornata del Festival del giornalismo culturale si è parlato anche di questo.

La televisione mantiene un ruolo predominante nella dieta informativa italiana. Questo mezzo, proprio perché è il più fruito, ha il compito d’interrogarsi e di riflettere sul suo modo di fare cultura. Perché la cultura c’è, sul piccolo schermo, ma “in trasmissioni nascoste, curate da pochi canali di nicchia”, ha spiegato Piero Dorfles.

Molto simile l’opinione di Saverio Simonelli, di TV2000, secondo il quale i programmi di storia, arte, letteratura vengono marginalizzati in fasce orarie e in pochi canali specializzati. “Meglio così, visti gli effetti che ha la cultura quando entra nei programmi generalisti: si danno un tono culturale quando non c’entra nulla. La preoccupazione è quella di mostrarsi all’altezza”. Allora, la televisione promuove la cultura? “Come diceva Groucho Marx: “La televisione fa ottimo servizio alla cultura, perché ogni volta che qualcuno la accende io vado nell’altra stanza a leggere un libro”.

Nei canali Rai i telegiornali sono i momenti in cui si registrano il maggior numero di ascolti. Ma le informazioni che riceviamo sono notizie secche, dirette e non approfondite. Karima Moual, giornalista marocchina in Italia dal 1992, ha fatto l’esempio di come i tg parlino dell’immigrazione. “Si parla più dell’altro che con l’altro, c’è stata una progressiva depersonalizzazione. All’inizio erano uomini donne e bambini, poi persone e adesso sono barconi. Sappiamo che queste persone scappano dai loro Paesi di origine, ma chi ci ha mai mostrato le immagini dei Paesi da cui fuggono, quale giornalista ha raccontato le storie degli immigrati che intraprendono il viaggio della speranza, perché vedono l’Italia come un Paese di passaggio e non di destinazione?” Sono queste alcune delle questioni che Moual ha sollevato durante la tavola rotonda.

Seguendo quest’idea di giornalismo, Vittorio di Trapani ha aggiunto che “la televisione deve portarci dove non sappiamo, mostrarci le cose che non avremmo occasione di conoscere altrimenti”. Il cambiamento deve partire dai giovani giornalisti e ha proposto agli studenti delle scuole di giornalismo di analizzare, da qui al prossimo anno, la missione culturale dei programmi visti in tv.

La televisione ha un ampio pubblico, ma la cultura è poco presente e le trasmissioni si danno un tono alto senza approfondire i temi veramente culturali. Axel Fiacco ha portato l’esempio di una trasmissione fatta in occasione della Giornata del libro su Rai3: “Un fallimento. Se prima di quella trasmissione leggevano in pochi, adesso quelle persone che hanno visto la trasmissione non entreranno più nemmeno in una libreria”.

Alla conclusione della tavola rotonda tutti si sono trovati d’accordo con la giornalista di Radio Rai, Anna Longo: “I programmi culturali sono quelli fatti bene”.

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Scienza e divulgazione, Almanacco del Cnr: dal ricercatore alla “casalinga di Voghera” http://ifg.uniurb.it/2015/04/26/ducato-online/scienza-e-divulgazione-almanacco-del-cnr-dal-ricercatore-alla-casalinga-di-voghera/72517/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/26/ducato-online/scienza-e-divulgazione-almanacco-del-cnr-dal-ricercatore-alla-casalinga-di-voghera/72517/#comments Sun, 26 Apr 2015 17:32:29 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=72517 Ducato come il giornalista e il ricercatore lavorano per fare approfondimento scientifico]]> FANO – Dal ricercatore al lettore. È cultura a ‘chilometro zero’ quella fatta dal Consiglio nazionale delle ricerche attraverso il suo web magazine quindicinale Almanacco della scienza. La rivista, curata dal’Ufficio stampa del Cnr, pubblica periodicamente articoli di approfondimento scientifico con il supporto di ricercatori esperti. Da pochi anni l’Ente pubblico si avvale anche di una web tv, CnrWebTv, dove è possibile trovare documentari, video e approfondimenti per le scuole. L’Almanacco è una testata giornalistica registrata ed è uno tra i tanti esempi di ente che  comunica la scienza al pubblico, “disintermediando” il messaggio, senza passare attraverso la pubblicazione di articoli o servizi su giornali mainstream.

Marco Ferrazzoli, direttore dell’Ufficio stampa del Cnr

Marco Ferrazzoli, direttore dell’Ufficio stampa del Cnr

Secondo il direttore dell’Ufficio stampa del Cnr Marco Ferrazzoli il segreto del loro successo è nel caro vecchio principio della ‘casalinga di Voghera’: “Il punto di osservazione dei nostri giornalisti deve essere quello di un interlocutore che non ha nessuna alfabetizzazione scientifica. Da noi non esce un prodotto se non c’è l’approvazione del ricercatore che conferma la validità scientifica del contenuto e quella del nostro giornalista che è appunto quella di interpretare il punto di vista di chi non sa assolutamente nulla dell’argomento”.

Il meccanismo della fucina che sforna gli articoli dell’Almanacco è ben definito, si avvale di giornalisti che hanno un filo diretto con gli scienziati: “Tendenzialmente siamo noi – continua Ferrazzoli – a scegliere un tema sul quale poi interpelliamo i ricercatori che presumiamo possano darci risposte più significative. I pezzi vengono poi redatti da un giornalista, ai sensi della legge 150”. A svolgere questo lavoro non è una redazione dedicata ma sono i professionisti dell’ufficio stampa più i collaboratori; tuttavia, nonostante “la scarsità di risorse sia tale da costringerci a fare i conti con la nostra forza lavoro”, la risposta dei media è notevole. Grazie al Cnr e all’Almanacco vengono prodotti “circa 50mila articoli o servizi l’anno, dei quali circa la metà sul web dove la crescita è esponenziale. Aumenta molto anche la quantità di servizi radiotelevisivi che l’anno scorso sono stati circa 1500”. Un calo fisiologico ha avuto invece la carta stampata, che però continua a produrre circa mille articoli al mese, 12 mila l’anno.

“Siamo enormemente soddisfatti dei nostri sforzi – sottolinea Ferrazzoli – realizziamo circa 100 comunicati stampa l’anno, quasi altrettante note stampa, e abbiamo il front office per le richieste dei giornalisti alle quali cerchiamo di dare sempre risposta”. Sulla web tv poi, nata meno di due anni fa, “non è stato investito nemmeno un euro di promozione e tuttavia ha già un numero di contatti estremamente interessante”.

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La Resistenza sul grande schermo: a Fano intellettuali e partigiani sui sentieri del cinema http://ifg.uniurb.it/2015/04/26/ducato-online/la-resistenza-sul-grande-schermo-a-fano-intellettuali-e-partigiani-sui-sentieri-del-cinema/72443/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/26/ducato-online/la-resistenza-sul-grande-schermo-a-fano-intellettuali-e-partigiani-sui-sentieri-del-cinema/72443/#comments Sun, 26 Apr 2015 09:43:26 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=72443 VIDEO Cultura e Resistenza al centro della terza serata del Festival del giornalismo culturale. Dodici titoli sulla rappresentazione della cultura sono stati analizzati da Steve Della Casa e Giacomo Manzoli. Durante l'evento la proiezione di "Quando i tedeschi non sapevano nuotare", film sui partigiani emiliani e romagnoli]]> Giacomo Manzoli e Steve Della Casa durante il cineforum

Giacomo Manzoli e Steve Della Casa durante il cineforum

FANO – Cinema, cultura, tradizione e Resistenza. La terza serata del Festival del giornalismo culturale di Urbino e Fano si è chiusa con un mix di questi elementi. Il filo conduttore dell’evento è stato il cinema, inteso come mezzo per trasmettere la cultura e come strumento per raccontare la Resistenza.

Il critico cinematografico Steve Della Casa e il professore di cinema dell’Università di Bologna Giacomo Manzoli hanno condotto il pubblico attraverso dodici titoli che, secondo i relatori, hanno svolto un ruolo importante nella divulgazione della cultura. Ci sono pellicole sull’educazione e il rapporto tra docente e studente come Chiedo asilo di Marco Ferreri o Il rosso e il blu di Roberto Piccioni. Mentre il primo lungometraggio di Nanni Moretti Io sono un autarchico e Manhattan di Woody Allen raccontano la figura dell’intellettuale infelice. Una sintesi per mostrare come la cultura venga rappresentata e percepita nell’ambiente del cinema.

Eugenio Lio ed Elisabetta Sgarbi introducono "Quando i tedeschi non sapevano nuotare"

Eugenio Lio ed Elisabetta Sgarbi introducono “Quando i tedeschi non sapevano nuotare”

Per legare il Festival al 25 aprile è stato proiettato Quando i tedeschi non sapevano nuotare. Un film di Elisabetta Sgarbi, aiutata nella sceneggiatura da Eugenio Lio. Un lavoro che punta a ricostruire i momenti della Resistenza in una zona d’Italia dove questa non è mai stata ricordata nei manuali di storia: la Pianura padana e il delta del Po. Luoghi che, al contrario delle colline appenniniche, sono sempre stati considerati poco adatti per creare un movimento antifascista militante: il territorio non offriva nascondigli sicuri e c’erano troppe strade a facilitare gli spostamenti del nemico. Il film ricostruisce la Resistenza in quella zona attraverso interviste, documenti d’epoca e testimonianze di chi c’era. Sono tornati alla luce momenti come la liberazione di Bondeno, un’azione del febbraio 1945 realizzata da sole donne. Dalle acque del Po sono riemersi i ricordi di chi vide decine di tedeschi annegare tentando di attraversare il fiume con corde e funi durante la ritirata.

Prima della proiezione Loi ha sottolineato come il 25 aprile non sia veramente una festa unitaria. “L’Italia ha vissuto più fasi di resistenza. Molte zone d’Italia prima di questa data erano già libere dal nazifascismo. Questo ha creato diversi tipi di resistenza e diversi modi di fare resistenza. Tutto ciò ha influenzato il Paese nella fase post bellica. Alla cultura spetta il compito di spiegare e rendere chiare queste differenze evitando l’uniformazione tipica del messaggio televisivo”.

Riprese di Lucia Gabani
Intervista di Michele Nardi


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Tedeschini Lalli: “Il giornalismo è digitale. Ha bisogno di integrazione di cervelli” http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/tedeschini-lalli-il-giornalismo-e-digitale-ha-bisogno-di-integrazione-di-cervelli/72039/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/tedeschini-lalli-il-giornalismo-e-digitale-ha-bisogno-di-integrazione-di-cervelli/72039/#comments Fri, 24 Apr 2015 20:25:12 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=72039 L’Espresso sull'integrazione delle redazioni giornalistiche e sul futuro della carta stampata: "Questione di costi e ricavi. Non si tratta di 'se' ma di 'quando'". "Le aziende editoriali dovrebbero iniziare a pensare se stesse in termini di piattaforma"]]> Mario Tedeschini Lalli, giornalista dell'Espresso

Mario Tedeschini Lalli, giornalista dell’Espresso

URBINO – Parola d’ordine: integrazione. Di strumenti? Di mezzi comunicativi? Non solo. Integrazione di cervelli. Mario Tedeschini Lalli, vice responsabile innovazione e sviluppo del Gruppo Editoriale L’Espresso e docente di Giornalismo digitale all’Ifg di Urbino, ha parlato a margine del panel “Dov’è la cultura oggi” dedicato all’universo del web. Tanti i temi trattati: dal futuro della carta stampata al ruolo del giornalista come “curator” nell’universo digitale.

Dopo l’incontro dedicato alla carta stampata siamo passati al web. Come sono strutturate oggi le redazioni? C’è integrazione tra i diversi mezzi comunicativi?
“Nelle grandi testate non c’è molta integrazione, o comunque ce n’è poca. La parola d’ordine “integrazione” è quasi vecchia ormai, essendo entrata in voga nel 2005-2006. Il problema adesso non è integrare la carta col web o la televisione col web. Il vero problema è di immaginare di integrare i cervelli, immaginare una produzione giornalistica che sia digitale nella testa e che quindi produca materiali digitali fruibili in tutte le diverse forme. I grandi e piccoli giornali internazionali hanno una piccola squadra che si occupa del giornale di carta, come uno dei tanti prodotti. C’è un’unica redazione che si occupa dei contenuti giornalistici di quella testata, poi i diversi gruppi di lavoro adattano quel dato contenuto nelle diverse forme editoriali. Ciò accade, ad esempio, nel Financial Times dove ci sono dieci giornalisti che prendono parte dei materiali e li confezionano in maniera adeguata per il prodotto cartaceo”.

Secondo lei la carta stampata rappresenta un utilizzo di risorse umane ed economiche eccessivo? Che futuro vede per questo prodotto?
“Beh, non sta a noi decidere se tenere o no in vita il prodotto cartaceo. Basta guardare i numeri: i grandi giornali italiani che all’inizio degli anni ’90 vendevano 600/700 mila copie adesso si trovano a venderne poco più di 200mila. Ci sarà un momento in cui la curva dei ricavi incrocerà quella dei costi e il prodotto non sarà più sostenibile. Non è un se, è una questione di quando. Tuttavia resta uno strumento di ricavo forte e va curato, fatto funzionare e tenuto in forze. Ma, come ho già detto in precedenza, quello cartaceo è soltanto uno dei prodotti che la testata produce. È evidente che, in una redazione dagli esteri, i corrispondenti della testata produrranno un prodotto giornalistico completo, da tradurre poi anche per le pagine del giornale. Fino a che non si arriva ad un’idea di questo genere credo che soffriremo. Ritardiamo il momento nel quale redazione e giornalisti prendono coscienza del fatto che tutto il loro materiale è in realtà già materiale digitale”.

Nel suo intervento ha detto chiaramente che il giornalista culturale, in quanto declinazione di quello digitale, deve essere un “curator”. Quali strumenti deve avere il giornalista per svolgere a pieno il suo ruolo?
“Tutti i giornalisti, tutti i giornali da quando il giornalismo è giornalismo, ovvero dal 1830, hanno svolto questa funzione: riferire ed indicare ciò che altri scrivevano o raccontavano. Il giornalista non solo informa correttamente, ma orienta il cittadino tra i molti flussi informativi che ha di fronte. È una funzione storica. Vi è ancora di più nell’universo digitale, dove tutto ciò è ancora più complesso. Quindi è fondamentale indicare dei percorsi di conoscenza diversi: che si tratti di un semplice link fino ad arrivare a percorsi ben più complessi, che servano a mettere insieme temi complessi in maniera ragionata, oppure far riemergere argomenti vecchi in una chiave attuale”.

Quale potrebbe essere un esempio positivo di giornalismo culturale applicato al web?
“Un esempio eccellente è senz’altro l’esperimento culturale di Maria Popova che con il sito Brain Pickings è riuscita a combinare argomenti e temi diversi, anche da diverse discipline, connettendoli insieme e creando nuove idee fruibili alla massa”.

Dopo il keynote speech di Andy Mitchell al Festival internazionale di Perugia si è sviluppato nuovamente il dibattito sulla reale possibilità di un’alleanza tra Facebook e gli editori. Lei crede che il social network di Mark Zuckerberg si sia già impossessato del mercato, divenendo così l’editore principe del web
“Si e no. La questione è che Facebook è diventato ormai un sinonimo di internet per molte persone. Se Facebook è Internet, questo comporta tutta una serie di problemi, anche di tipo economico. Ad esempio la monetizzazione del traffico o dei dati (non scordiamoci che Facebook è la più grande banca dati mondiale). Se diventa il luogo ineludibile del passaggio di contenuti (e in parte già lo è) evidentemente questo è da un lato un’occasione, ma anche un problema abbastanza serio. Questo discorso non vale solo per Facebook, ma per tutte le grandi piattaforme. Ecco perché a mio avviso le aziende editoriali, entro certi limiti, dovrebbero iniziare a pensare se stesse in termini di piattaforma e interfacciarsi così con il mercato”.

Per concludere, in una battuta: cosa consiglierebbe a un’aspirante giornalista che si affaccia per la prima volta in questo mondo?
“Fallo, non aspettare che qualcuno ti assuma. Voi potete, io quando avevo 20 anni no. Cominciate a fare i giornalisti, misuratevi, provate. È l’unico modo per riuscirci”.

Foto di Jacopo Salvadori e Anna Saccoccio

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Giornalismo culturale: carta stampata uno status, “ma la cultura è ancora un’eccellenza” http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/giornalismo-culturale-carta-stampata-uno-status-ma-la-cultura-e-ancora-uneccellenza/71887/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/giornalismo-culturale-carta-stampata-uno-status-ma-la-cultura-e-ancora-uneccellenza/71887/#comments Fri, 24 Apr 2015 17:02:11 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71887 IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL - MAGAZINE Il numero speciale del Ducato - STORIFY Il secondo giorno]]> I relatori del Panel "Dov'è la cultura oggi? La carta stampata"

I relatori del Panel “Dov’è la cultura oggi? La carta stampata”

URBINO – La carta stampata sta morendo, ma la cultura è in ottima salute. Almeno quella divulgata da quotidiani e approfondimenti settimanali. Le pagine culturali dei giornali italiani rimangono un’eccellenza quindi, anche se i giornali stanno perdendo numeri.

Per la maggioranza degli intervenuti alla tavola rotonda Dov’è la cultura oggi? La carta stampata, che si è tenuto al teatro Sanzio, tra gli eventi del Festival culturale del giornalismo culturale di Urbino la pagina analogica rappresenta ancora lo scrigno di “contenuti preziosi”, il punto di partenza per arrivare dove un giorno (forse) ci porterà il digitale.

A cominciare da Giulia Cecchelin, ricercatrice dell’Università di Urbino, che ha definito la cultura un argomento adatto al cartaceo perché tratta temi che hanno durata temporale più lunga rispetto, ad esempio, a una proposta di legge che invece interessa per un tempo limitato. Tuttavia ha subito aggiunto che la parola cultura è un termine polisemico, quindi non è così facile definire cosa sia materia culturale e cosa no. Ma non è importante decidere cosa lo sia o meno, ciò che è importante è creare una ‘pagina opera’ che contenga temi che abbiano diritto a esservi trattati, che abbiano dei legami narrativi organici e che siano valorizzati da una firma che dà sempre una certa autorevolezza. Questo perché “i lettori hanno bisogno di argomenti per capire e non di brandelli da interpretare”.

Sull’affollato palco del Sanzio, attorno a Lella Mazzoli, che ha moderato il dibattito, sedevano Annalena Benini (Il Foglio), Emanuele Bevilacqua (Pagina99), Simonetta Fiori (La Repubblica), Luigi Mascheroni (Il Giornale), Armando Massarenti (Il Sole 24 ore), Luca Mastrantonio (Corriere della Sera), Massimiliano Panarari (La Stampa), Leonardo Romei (Isia Urbino), Farian Sabahi (scrittrice e giornalista free lance, specialista Medio Oriente) e  Federico Sarica (Rivista Studio).

Massimiliano Panarari, giornalista della Stampa, ha spiegato come la crisi dei giornali sia in realtà una crisi di status. “C’è stata una fase in cui andare in giro con il giornale sotto braccio – ha detto – era cool, era il simbolo di uno status. Bisogna tornare a quella fase”. Per fare questo è necessaria la ‘spinta gentile’, cioè un intervento pubblico che promuova la lettura per creare un nuovo gruppo di lettori. Ha comunque sottolineato come ci siano ancora giornali che ‘vengono portati sotto braccio’ perché sono giornali ben fatti, che continuano a rappresentare uno status e perché raccolgono intorno a loro delle ‘tribù’ di lettori.

Federico Sarica, direttore di Rivista Studio, ha raccontato la sua esperienza mettendo in evidenza come per lui non  esista più il problema carta stampata/formato digitale, ma “la carta deve essere poca e preziosa. Avrei potuto non fare la versione iPad del mio giornale – ha detto –  perché la carta rappresenta uno status; la carta è cool se hai il giusto giornale sotto braccio”. Per avvalorare la sua tesi ha fatto l’esempio del nuovo giornale Pineapple Magazine, la rivista distribuita da Airbnb. “Quando la gente faceva questa esperienza – ha raccontato –  non portava nessun gadget a casa. Diceva: sai sono stato a casa di tizio ma tolto questo non aveva altro. Allora hanno pensato di distribuire questa rivista; la soluzione l’hanno trovata nella carta; un prodotto cartaceo e di qualità è stata la soluzione”.

Ha continuato dicendo che ciò di cui c’è veramente bisogno è l’integrazione tra carta e digitale perché nella fase attuale “l’integrazione è posticcia; se ne parla ma in realtà non c’è”. Il problema che si è posto però è stato cosa mettere nella sezione culturale di un giornale. “Più che diffondere la cultura – ha detto – dobbiamo raccontare il mondo. Le pagine culturali devono intrattenere, esattamente come le serie tv che adesso piacciono tanto. Non devono diffondere nulla, alla gente non piacciono le serie tv per il messaggio che portano, ma perché intrattengono. Un tema adatto sarebbe quello dei transgender perché da un fenomeno pop si svilupperebbe dibattito culturale vastissimo”.

Anche Annalena Benini, del Foglio, ha sostenuto la tesi di Sarica per cui fondamentale è raccontare il mondo. “La gente ha fame di cultura. Le persone vogliono affezionarsi allo sguardo sul mondo di un autore”. Inoltre ha spiegato come sia indispensabile non cedere alla superficialità della lingua perché il giornale dove intrattenere e divertire ma deve anche avere una forte struttura alle spalle. Anche lo stile diventa sostanza”. Ha ripreso poi il problema dell’integrazione tra web e carta sostenendo la necessità di un formato digitale perché le persone hanno bisogno di leggere articoli che le intrattengono quando sono sulla metro, negli autobus… perciò ha detto: “Non conta il supporto; dobbiamo avvicinare la gente ad argomenti preziosi, a temi culturali”.

Mentre Luca Mastrantonio sente l’esigenza per i giornalisti di “inserirsi nella vita sociale” e per se stesso di “non rimanere orfano del web” nel dibattito è intervenuto anche Luigi Mascheroni, del Giornale, che ha detto che a essere morto non è il giornalismo culturale, ma sono i suoi lettori a essere spariti. “Per ora il giornalismo culturale sulla carta sta benissimo e se morirà lo farà in ottima salute perché la qualità del giornale italiano è altissima. È una grande eccellenza perché queste pagine raccontano il mondo”.  Ha anche lui sostenuto la necessità dell’ online: “Il giornalismo culturale deve sparire per poi rinascere più bello  più forte  di prima ma non sulla carta, ma sul web e in modo totalmente diverso perché per la cultura non c’è integrazione tra carta e online; È inutile tentare questa strada se si cambia solo contenitore”.

Foto di Anna Saccoccio

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Pagina99 di nuovo in edicola da settembre. Il direttore Bevilacqua: “Stiamo lavorando, sono fiducioso” http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/pagina99-di-nuovo-in-edicola-da-settembre-il-direttore-bevilacqua-stiamo-lavorando-sono-fiducioso/71922/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/pagina99-di-nuovo-in-edicola-da-settembre-il-direttore-bevilacqua-stiamo-lavorando-sono-fiducioso/71922/#comments Fri, 24 Apr 2015 15:45:29 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71922 Ducato, il direttore della testata Emanuele Bevilacqua: "Stiamo lavorando e siamo determinati a far ripartire il giornale al più presto"]]> Emanuele Bevilacqua

Emanuele Bevilacqua

URBINO – Il primo settembre 2015 è la data del probabile ritorno i edicola di Pagina99, dopo lo stop alle pubblicazioni del 3 febbraio scorso. Ad anticiparlo al Ducato è stato Emanuele Bevilacqua, direttore della testata, ospite del Festival del Giornalismo Culturale venerdì 24 aprile. Pagina99 è stato un esperimento nel mondo della stampa su carta: ogni mattina un giornale totalmente dedicato all’approfondimento. Anche l’avvio è stato singolare, con un lancio sul social network Tumblr, la creazione di un sito e, solo alla fine, l’uscita in edicola. Dopo circa un anno di vita, l’annuncio della chiusura delle attività per motivi economici. Ma il giornalismo d’approfondimento non muore facilmente e la redazione è già pronta per un rilancio, dopo l’interessamento della società News 3.0 a investire nell’iniziativa editoriale.

Nei giorni di chiusura del giornale parlò dell’Italia come di un Paese “difficile e spento”. Qui si può fare giornalismo di approfondimento?
“Sì, in tanti lo fanno. Con Pagina99 abbiamo cercato di proporre approfondimento, ad esempio analisi e inchieste sulla realtà che ci circonda, non solo quella del nostro Paese. Lo abbiamo fatto provando a raccontare delle storie e cercando di coinvolgere il lettore direttamente, attraverso quella seduzione che si vuole avere quando si narra qualcosa”

Se un giornale come Pagina99 chiude, la colpa, se così la possiamo chiamare, è dei lettori?
“Se un giornale chiude, la colpa è di chi lo fa. Gli investitori devono dare tempo e fiducia a un giornale, perché si affermi e si possa consolidare. Il direttore deve capire se ci siano cose che non funzionano. I giornalisti devono migliorare la loro scrittura e le loro capacità di stare sul mercato. Chi fa marketing deve saperlo diffondere meglio”

L’interazione con i vostri lettori avveniva tramite i social network?
“Naturalmente. Credo che il nostro sia stato il primo giornale, almeno in Italia, a essere lanciato via social. Prima abbiamo costruito la comunità, poi il prodotto. Come simbolo abbiamo usato una vecchia bicicletta, che dà l’idea di essenzialità, ma anche della possibilità di muoversi in maniera libera. Abbiamo cominciato a raccontare cosa volevamo fare, trovando utenti incuriositi dalla nostra proposta”

Si riuscirà a riportare Pagina99 in edicola?
“Sono fiducioso. Abbiamo un forte interesse da parte di un editore (la società News 3.0) e una determinazione nel far ripartire il giornale rispettando la libertà avuta fino ad ora. Ci sono ancora dei passaggi da compiere, ma siamo ben oltre la speranza”

C’è già una data? Lei sarà ancora direttore?
“Al massimo per il primo settembre dovremmo essere in edicola. Forse usciremo anche prima. Ho sempre interpretato il mio ruolo più come editore (publisher) che come direttore, pur firmando (la testata, ndr). L’importante è che il concept del giornale venga rispettato e, allo stesso tempo, migliorato. Stiamo già lavorando”

I lettori parteciperanno in qualche modo, magari con un azionariato o altri modelli?
“Abbiamo avuto molte richieste del genere. Ci stiamo pensando; magari una piccolissima parte potrà essere dedicata a questo. Ci piacerebbe chiamare i nostri lettori più affezionati e chiedere loro di farci da ambasciatori sul territorio, per organizzare presentazioni e per fornire suggerimenti provenienti dalle singole zone del nostro Paese”

Che spazio darete ai giornalisti esordienti?
“Abbiamo già lanciato delle firme e pensiamo di farlo ancora. Quindi, prendere dei giovani e farli scrivere, dargli spazio e coraggio e carpire da loro l’entusiasmo”

Foto di Anna Saccoccio

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Con la cultura si mangia, ma i liceali i giornali non li comprano più http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/con-la-cultura-si-mangia-ma-i-liceali-i-giornali-non-lo-comprano-piu/71914/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/con-la-cultura-si-mangia-ma-i-liceali-i-giornali-non-lo-comprano-piu/71914/#comments Fri, 24 Apr 2015 15:39:15 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71914 URBINO – Il web è la nuova edicola per i giovani. A dirlo non sono solo i dati, ma anche gli stessi ragazzi con cui abbiamo parlato stamattina al teatro Sanzio. Mentre sul palco, alcuni tra i massimi esponenti del giornalismo culturale davano vita a un dibattito sul ruolo della carta stampata, gli studenti in platea non sapevano nemmeno cosa sia una terza pagina o Internazionale.

Premiazione11 24 aprile

Piero Dorfles premia Martina Russo

La seconda giornata del Festival è stata anche l’occasione per premiare i giornalisti del futuro. La giuria del concorso Con la cultura si mangia?”, presieduta da Piero Dorfles, ha scelto il lavoro di Martina Russo “Con la cultura (e la lettura) si mangia” pubblicato sul mensile Andersen di marzo 2015 per la categoria giornalisti under 35. Per il concorso rivolto agli studenti delle scuole superiori delle Marche ha vinto, invece, il liceo scientifico e musicale “Guglielmo Marconi” di Pesaro.

La premiazione ha seguito il panel dedicato alla carta stampata, durante il quale è stato sottolineato il valore che ha questo media per la pubblicazione di contenuti culturali. La carta stampata può davvero continuare a vestire il ruolo di primo attore nel giornalismo culturale anche tra i giovani? Le nuove generazioni, presenti al Festival, hanno confermato il contrario. Anche i vincitori dei premi di questa edizione.

Premiazione 24 aprileLa prima a dare valore ai contenuti digitali è Martina Russo, giornalista pubblicista ligure. “Mi informo principalmente con il web, soprattutto con i siti delle testate principali online”, ha spiegato ricordando che anche la carta stampata rimane un mezzo importante pur essendo scavalcato da internet. Il suo lavoro è stato concepito per far notare ai lettori che di cultura, dopotutto, si può vivere, “magari si sta a dieta, ma si può comunque mangiare”.

Premiazione3 24 aprile

Gledis Bllano e Leonardo Mensitieri sono i liceali portavoce delle due classi vincitrici del concorso per i più giovani. I due studenti hanno fatto emergere con decisione le caratteristiche del mondo in cui vivono, una realtà completamente digitale. I ragazzi si sono avvicinati al mondo giornalistico dando vita a un telegiornale della scuola.

Questi ragazzi, pur interessati al mondo del giornalismo, non sono però raggiunti dall’informazione culturale. Conoscono a malapena il significato di “terza pagina”, ignorano testate come InternazionalePagina99, la Lettura del Corriere della Sera o il Domenicale del Sole24ore. Ciò non significa che i ragazzi non si informino: semplicemente lo fanno in modo diverso. Su Facebook e sui siti delle testate online. “Io mi informo soprattutto su Facebook, con le pagine che seguo o quelle correlate suggerite”, ha confessato Gledis. Anche Leonardo ricerca le informazioni online: “Raramente uso l’enciclopedia cartacea, mentre solitamente mi affido a Facebook, Google e Wikipedia”.

Foto di Jacopo Salvadori
Servizio di Daniela Larocca e Nicola Petricca

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Festival di Urbino, Benini: “I social per rilanciare i contenuti della carta. Anche la cultura ma in chiave leggera” http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/festival-di-urbino-benini-i-social-per-rilanciare-i-contenuti-della-carta-anche-la-cultura-ma-in-chiave-leggera/71891/ http://ifg.uniurb.it/2015/04/24/ducato-online/festival-di-urbino-benini-i-social-per-rilanciare-i-contenuti-della-carta-anche-la-cultura-ma-in-chiave-leggera/71891/#comments Fri, 24 Apr 2015 14:51:44 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=71891 Foglio, "la carta non è mai tramontata ed è un veicolo del tutto in armonia con la cultura". E il web "un modo immediato di arrivare alle persone e ai lettori". Annalena Benini ha partecipato alla tavola rotonda sulla carta stampata durante la seconda giornata del Festival del Giornalismo Culturale]]> benini_Dentro

Annalena Benini, Il Foglio

URBINO –  Non è vero che oggi il mezzo della carta stampata e il tema della cultura sono due aspetti del giornalismo tramontati. Tanti ormai pensano a una separazione tra cartaceo e online ma secondo Annalena Benini, giornalista del Foglio, ospite al festival del giornalismo culturale, il quotidiano scritto si connette e si estende perfettamente sul web, e quindi sui social network. Ma in chiave più “leggera”.

Annalena Benini scrive di costume, cultura e libri dal 2001. Durante la sessione dedicata alla carta stampata ha ricordato con orgoglio l’intuizione pensata nel 1996 dal fondatore del FoglioGiuliano Ferrara. “Era un giornale che non proponeva solo notizie ma consentiva di far trovare al lettore in prima pagina la cultura. Un abitudine che Il Foglio non ha mai perso”.

Secondo lei oggi resiste il mezzo della carta stampata come strumento di informazione culturale?
Dal mio punto di vista la carta stampata non è mai tramontata ed è un veicolo del tutto in armonia con la cultura. Parliamo di un mezzo che va aggiornato e riadattato in continuazione, cercando nuovi sguardi e chiavi di ingresso sul mondo.

In riferimento a un suo articolo sui rapporti tra le persone perché definisce gli smartphone “antiletterari”?
Parlo di mezzo antiletterale perché è molto difficile inserirlo in alcuni generi, ad esempio nei romanzi. E’ difficile trovare uno scrittore contemporaneo che inserisca nelle sue pagine il nostro modo di vivere. Per questo si è creato una sorta di presente nostalgico in cui è tutto cristallizzato intorno agli anni 90 in cui non esisteva questo uso ossessivo. Ma è giusto che la letteratura faccia i conti con la realtà.

Si può far cultura anche con i social?
Usare i social significa innescare un meccanismo di rilancio sui contenuti della carta. Con questi strumenti diffondo a persone che non per forza sono gli stessi compratori della carta. Postare un articolo, un saggio su twitter e facebook può quindi essere molto utile.

Il  web aiuta la cultura a diventare più popolare e quindi fruibile per tutti?
Sì, perché è un modo immediato per arrivare alle persone e ai giovani. Se un articolo o una riflessione un po’ pesante dal punto di vista culturale viene trasformato in chiave più leggera può essere adattato al web. Questo non significa pretendere di fare un articolo di sole emoticon.

Come gestire la moderazione dei commenti e soprattutto reazione dei lettori in ambito culturale sui social?
Essendo un sistema del tutto aperto si presta anche agli istinti più bassi e alle opinioni più orribili. Per quanto mi riguarda non accetto certe reazioni. Il caso più recente è quello del cantante Gianni Morandi che per aver pubblicato sul profilo Facebook il suo parere sul recente caso del naufragio libico è stato accolto da critiche da tutta Italia.

Ha senso parlare in Italia di informazione culturale quando, come ha ricordato anche lei sul Foglio, ci sono scrittori come Erri De Luca che vengono processati per aver detto qualche parola di troppo?
Questo della libertà di espressione credo sia un importante tema culturale. Per questo ci tenevo a scrivere di un argomento profondo come questo. Le parole sono le parole ed è giusto potersi esprimere sempre nei limiti della legge.

Foto di Anna Saccoccio 

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