Il
23 luglio 2007 American Standard vende il suo comparto
sanitari Ideal Standard a Bain Capital, un fondo di
investimenti di Boston. Il costo dell’acquisizione
è di 1.76 miliardi di dollari, circa 1.27 miliardi
di euro.
Il fatturato del 2006 di Ideal Standard era stato di
296 milioni di euro: un quarto dei soldi pagati da Bain
Capital per averla.
Secondo
un dirigente di Ideal Standard, che chiede di rimanere
anonimo, “Chi ha acquistato Ideal Standard è
stato molto poco accorto. Poteva studiare meglio la
società che stava comperando. Avrebbe così
scoperto che non tutte le lastre che ricoprono gli stabilimenti
sono d’oro”.
In effetti nel 2008, primo anno a gestione Bain Capital,
le vendite già calano di 600mila pezzi rispetto
al 2007: da 3.206.000 pezzi a 2.576.000. È vero
che nei mesi della cessione scoppia la bolla immobiliare
americana, e di lì la crisi economica mondiale.
Certamente però le vendite gonfiate di American
Standard hanno dato al mercato l’immagine di un’azienda
molto più florida di quanto in realtà
non fosse.
Bain
Capital non paga tutto di tasca propria: chiede un prestito
di circa 800 milioni di dollari a un pool di banche.
Il prestito è garantito dalle stesse aziende
Ideal Standard e dai marchi prodotti.
Nel novembre 2007, dopo pochi mesi dall’acquisto
quindi, Bain Capital vende tutte le aziende americane
del gruppo a un altro fondo di investimenti, Sun Capital
Partners, per circa 300 milioni di dollari. Recupera
così immediatamente il denaro investito nell’acquisizione
di Ideal Standard. L’anno successivo vende anche
il ramo asiatico per circa 250 milioni di dollari. A
questo punto le banche pretendono la rinegoziazione
del prestito, riducendolo di circa 200 milioni di dollari.
Il resto del debito continua a essere garantito dai
patrimoni delle aziende europee, dai loro marchi e dalle
loro reti commerciali.
Bain
Capital costituisce una holding a Bruxelles, Ideal Standard
International, società autonoma di sua proprietà,
di cui Ideal Standard holdings (BC) Italy srl è
una controllata. La società italiana è
il core business del gruppo europeo: è il principale
produttore di ricavi, che però grazie alla struttura
a scatole cinesi possono essere dirottati nelle altre
società del gruppo: “Un ottimo trucchetto
– commenta il dirigente Ideal Standard –
per far sparire i profitti, pagare meno tasse e imbellettare
i bilanci per vendere al meglio l’azienda appena
possibile”.
Bain
Capital è un fondo d’investimenti, non
un’impresa che produce sanitari. Il suo lavoro
è acquistare imprese, “snellirle”
e poi rivenderle, guadagnandoci. Bain investe in più
di 200 imprese nel mondo, che operano negli ambiti più
diversi: tecnologia, salute, comunicazione, manifatturiero.
“Le
finanziarie di mestiere investono soldi – spiega
Pietro Ranon, direttore vendite di
Ideal Standard fino al 2005 – per portare a casa
soldi. Se la tua missione è remunerare il forte
investimento che hai fatto per comperare, il tuo unico
obiettivo è realizzare ogni anno una fetta di
denaro tale per cui in breve tempo tu possa ricomporre
una torta più grossa di quella acquistata. Non
ti interessa come lo fai: le politiche commerciali e
produttive diventano secondarie, e sempre più
slegate dallo scenario in cui operi”. Fare soldi
nel bel mezzo di una crisi economica è difficile.
“Ma li devi fare lo stesso – continua Ranon
– per cui come prima cosa riduci le spese: niente
più pubblicità nè investimenti
industriali”. Da quando sono stati acquistati
da Bain Capital, negli stabilimenti italiani non è
più stato fatto alcun investimento. Anzi: “Negli
ultimi anni addirittura mancava l’indispensabile
– racconta un dipendente dello stabilimento di
Trichiana – tipo i pezzi di ricambio delle macchine.
Da quando ci ha acquistati Bain Capital è stato
tutto lasciato andare un po’ così”.
La
domanda cala: i magazzini dei grossisti sono ancora
pieni, dopo l’abbuffata durante l’ultima
gestione American Standard, la crisi alleggerisce i
portafogli e la nuova proprietà riduce le spese
per la promozione e per l’innovazione industriale.
Il
bilancio d’esercizio di Ideal Standard Industriale
srl chiuso al 31 dicembre 2008 riporta una perdita netta
di 4.2 milioni di euro. “La Ideal Standard Industriale
– è scritto sul bilancio – ha avuto
nell’anno 2008 una notevole riduzione delle commesse,
coerentemente con il trend della situazione economica
italiana e macroeconomica mondiale dovuta alla crisi
finanziaria iniziata nel corso del 2008. Per effetto
di questa crisi economica si è registrato un
notevole squilibrio tra la capacità produttiva
normale e la richiesta di prodotti, per questo l’Azienda,
nei primi mesi del 2009, ha fatto ricorso, per il momento
parziale, allo strumento della cassa integrazione guadagni
ordinaria”. Per il momento: il 2009 sarà
un anno movimentato.
La
produzione del 2008 cala del 15% rispetto all’anno
precedente (e nei primi sei mesi del 2009 scende ulteriormente,
meno 45% rispetto al già nero 2008). Cala anche
il numero dei dipendenti, passati da 1.695 a 1.596.
Scende il valore della produzione, dai 135 milioni di
euro del 2007, a 125 milioni.
Nel 2008 aumentano invece i costi effettivi della produzione,
che tengono conto anche della spesa “a vuoto”
di un’azienda: “Nel 2008 – spiega
il dirigente Ideal Standard – ci sono state diverse
pause nella produzione, specie nell’ultima parte
dell’anno: i costi effettivi della produzione
si discostano molto dai costi di produzione. Nel 2007
invece i due dati erano quasi equivalenti. Fermare il
lavoro in una fabbrica di ceramica costa moltissimo”.
Nel 2009 le pause forzate (per cassa integrazione) sono
state ben più consistenti che nel 2008. Il bilancio
2009 però deve ancora uscire.
Nel
2008 Ideal Standard Italia attua una rivalutazione che
aumenta il costo storico degli immobili di un terzo
del loro valore. Da 176 milioni a 237. Di solito quando
un’azienda rivaluta, vuole vendere.
Probabilmente questo aveva in mente Bain Capital, quando
ha comperato Ideal Standard: rivenderla in fretta e
a un prezzo superiore al costo d’acquisto. La
crisi economica però la prende in contropiede.
I possibili acquirenti hanno meno denaro e sono diventati
più prudenti. E il valore del patrimonio Ideal
Standard cala, rendendo l’azienda meno appetibile.
“Ideal Standard – spiega il dirigente Ideal
Standard – ha in realtà comperato se stessa,
garantendo il prestito ottenuto dalle banche con le
sue stesse aziende. È l’operazione del
leveraged buyout, una leva finanziaria. Ci sono delle
leve finanziarie che si rivelano troppo grandi per la
capacità delle aziende di generare reddito. Nel
2006-2007 l’operazione Ideal Standard poteva essere
gestibile, nel 2008 la crisi ha fatto saltare il giochino,
e ora la coperta è troppo corta: Bain fatica
a restituire il denaro alle banche, quindi saltano i
soldi per gli investimenti, per pagare i fornitori e
i salari”.
Nel 2009 Ideal Standard chiude gli stabilimenti di Brescia
(160 dipendenti) e Gozzano (30) e fa ricorso alla cassa
integrazione per diversi mesi. Nel piano di ristrutturazione
presentato ai sindacati e al governo prevede 40 milioni
di euro da investire nel commerciale (25 milioni) e
nell’industriale (15 milioni). “Basteranno
sì e no per la manutenzione”, si lamentano
a Trichiana.
E
ora?
Per due anni, nelle tre fabbriche italiane rimaste tutti
i dipendenti continueranno a lavorare grazie ai contratti
di solidarietà. L’obiettivo al 2012 è
tornare a produrre 2.400.000 pezzi (come nel 2008, ma
con due stabilimenti in meno). Trichiana dovrebbe produrne
1.100.000. Nel 2009 l’ex-Ceramica Dolomite ha
sfornato solo 700.000 pezzi, 400.000 in meno rispetto
all’anno precedente. Pensare che nel 1998 Ceramica
produceva da sola 1.770.000 pezzi.
La speranza a Trichiana è che la crisi passi,
che il settore delle costruzioni si riprenda e che la
gente ricominci così a comperare bagni.