Raimo: “Ho paura di un’Italia senza biblioteche”


Pubblicato il 10/04/2014                          
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Christian Raimo

Christian Raimo

Biblioteche come presidi sociali, fulcro di un nuovo programma di democrazia dal basso. L’idea di un politico illuminato? No. La convinzione di Christian Raimo, romano, classe 1975, che di professione è insegnante, scrittore ed editor. Ma non solo. Dalle pagine virtuali del blog su Minima et moralia spesso inveisce contro chi cerca di svilire il ruolo della cultura nel nostro Paese. E infatti quando gli si chiede se pensa che le biblioteche non servano più all’Italia, che siano passate di moda e sono ormai anacronistiche, risponde piccato. “Sono un bibliotecofilo integralista. Le biblioteche servono a questo paese. Da tre, quattro anni protestiamo con l’Aib, l’Associazione biblioteche italiane, per richiamare l’attenzione su questo tema. Tema che l’Italia tende a ignorare. Abbiamo portato la protesta anche alla biblioteca nazionale di Roma proprio per avere maggiore risonanza. Tra i più fervidi combattenti c’è anche Antonella Agnoli, autrice di diversi libri sulla questione delle biblioteche italiane. E io condivido molto quello che la Agnoli descrive e professa”.

Cioè?
“Cioè che le biblioteche dovrebbero essere piazze del sapere. Non semplici luoghi di archivio o di lettura. Per carità, si va in biblioteca anche e soprattutto per studiare ma si potrebbe riempire questi spazi di videogiochi, di corsi di italiano per stranieri, di bar. Farli diventare, insomma, luoghi di socialità, spazi neutri in cui potersi incontrare. Le biblioteche oggi potrebbero essere fulcro di un nuovo programma di democrazia dal basso”.

Quindi se le cose in Italia non funzionano dipende dal fatto che siamo ancorati a un’idea romantica di biblioteca intesa come custode del sapere dell’umanità.
“In parte sì. Quello che emerge dai libri della Agnoli va in questa direzione. Ci sono piccole biblioteche comunali che, nate sotto la nuova stella della socialità, hanno visto aumentare i loro utenti fino al 70%. Un altro esempio che mi piace citare è quello di Sergio Dogliano: ha aperto in Gran Bretagna degli ‘idea store’, convertendo le biblioteche di pubblica lettura deserte in luoghi polifunzionali – centri di collocamento, istituti di lingue – calandoli perfettamente nel contesto sociale in cui si trovavano e dandogli un’utilità. Penso che questa sia un’idea da esportare anche in Italia. A me piacerebbe per esempio che in una zona in cui vivono molti immigrati, alcuni di loro lavorassero all’interno della biblioteca di quartiere”.

Il nostro Paese, però, non sta andando in questa direzione.
“Assolutamente no. I dati sulla lettura relativi al nostro Paese, da poco pubblicati dal Cepell, sono allarmanti. Un paese che non legge è una delle cose peggiori che possano esserci. Si investe poco nella promozione della lettura. Se io fossi al governo, questa sarebbe la mia priorità. Aprirei una biblioteca e un teatro ogni cinquemila abitanti. E i frutti, a medio e lungo termine, si raccoglierebbero sicuramente. Invece oggi in Italia non ci sono politiche di letture, se non disgregate e a livello locale. Niente che coinvolga tutta la nazione. Adesso pare che Sel abbia portato in Parlamento una proposta di legge sulla lettura e i libri. Se venisse approvata sarebbe già un passo in avanti”.

Ma i luoghi di promozione della lettura non dovrebbero essere le scuole e le università?
“Sì, è vero. Ma la scuola non assolve a questo compito. O almeno ci sono scuole e scuole, che hanno velocità e mezzi diversi. Ma ciò non fa altro che confermare un quadro eterogeneo e a macchia di leopardo”.

Lei, per esempio, come coniuga l’insegnamento e queste sue convinzioni?
“Io insegno storia e filosofia. Cerco di portare a scuola i classici della filosofia, di invogliare allo sfruttamento delle biblioteche. Ne abbiamo anche creato una in classe: portiamo dei libri e ce li scambiamo. Con un gruppo di amici scrittori, poi, abbiamo messo su un’associazione. Si chiama ‘Piccoli maestri’ e  fa volontariato culturale. Andiamo nelle scuole per raccontare i classici della letteratura agli studenti”.

La disaffezione per le biblioteche non derivererà dalla diffusione del web come strumento di accrescimento del sapere?
“Ma no. Internet non è un sostituto delle forme di apprendimento e conoscenza che c’erano prima del suo avvento. Anzi, più che sostituire, integra le forme di confronto e socialità. È sempre stato così nell’avvicendarsi della forme del progresso culturale”.

Visto che si definisce “bibliotecofilo integralista”, ha un ricordo legato a uno di questi luoghi?
“Da piccolo, quando andavo alle medie, frequentavo spessissimo la biblioteca del quartiere. Ricordo che c’era un bibliotecario molto competente. Se sono quello che sono, molto dipende da quel luogo: la mia formazione informale la vivevo lì e quella biblioteca fa parte del modo in cui sono diventato adulto”.

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