Contraffazione 2.0 » Oriente http://ifgnetwork.uniurb.it/della-sala Vendere falsi nell'era social per due milioni di euro Thu, 01 May 2014 12:24:22 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.8.1 Vendere falsi nell'era social per due milioni di euro Contraffazione 2.0 no Vendere falsi nell'era social per due milioni di euro Contraffazione 2.0 » Oriente http://ifgnetwork.uniurb.it/della-sala/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifgnetwork.uniurb.it/della-sala/category/oriente/ Mercati legali in Cina: un paradiso “parallelo” a portata di viaggiatore http://ifgnetwork.uniurb.it/della-sala/2014/04/12/mercati-legali-in-cina-un-paradiso-parallelo/ http://ifgnetwork.uniurb.it/della-sala/2014/04/12/mercati-legali-in-cina-un-paradiso-parallelo/#comments Sat, 12 Apr 2014 14:15:32 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/della-sala/?p=425 “Parto per lavoro, ma succede sempre che qualcuno mi chieda di portargli qualcosa dalla Cina. E quasi sempre sono le donne della mia vita: moglie, madre, suocera, che chiedono una borsa”.

Marco è un giovane imprenditore, lavora nel mondo dell’informatica e ogni sei mesi viaggia per conto dell’azienda. Shangai, Canton, Pechino, ha girato la Cina per lavoro e ha sempre approfittato dei momenti liberi per fare shopping.

A Shangai, ad esempio, nella zona di Pudong e a poche fermate di metrò dalla famosa zona del Bund, c’è un centro commerciale sotterraneo grande almeno 15.000 metri quadrati, che accoglie anche 500 negozi non più grandi di 25 metri quadrati. Un labirinto di corridoi e incroci in cui è facile perdersi, tra le file ordinate di merce esposta. Vendono di tutto, dagli Iphone alle mazze da golf, dagli orologi alle borse, passando per felpe, valigie, soprammobili e stampe. Tutto di marca, in un  posto del tutto legale dove, anzi, c’è la polizia che vieta di fare le foto.

La domanda che viene immediatamente in mente è: ma saranno merci originali? “Ho una mia opinione, basata su anni di acquisti e confronti – racconta Marco – credo che non tutto sia copiato ma che molti prodotti siano originali, prodotti dalle aziende lì in Cina che sono a servizio dei grandi marchi”.

Una Cina che cresce a dismisura e che accoglie centinaia di siti produttivi per soddisfare la domanda, sia interna che estera, e in cui è difficile controllare che parte della merce non arrivi su mercati paralleli. “Credo sia un po’ come in Brianza 50 anni fa, quando gli artigiani del legno che lavoravano per grandi marchi di mobili non perdevano occasione di vendere a loro clienti lo stesso modello ma senza firma. Ovviamente tutto con le dovute proporzioni”.

Jeans Levis e Diesel a 15 euro e non a 100, come in Italia. Borse e vestiti Moncler, Louis Vuitton o Dolce e Gabbana a massimo 30 euro, sia originali che copie scadenti (“qui basta stare attenti” specifica Marco). Scarpe Tiger a 20 euro “evidentemente originali e più belle delle stesse che ho comprato in Italia a 80 euro”. Un paio di Geox a 20 euro: “durate ben 3 stagioni e identiche a un paio che ho comprato in Italia a 120 euro”.
E poi trolley, giocattoli, orologi Rolex e Citizen. Ma soprattutto elettronica: “Ho comprato sei casse bluetooth di marca, quelle che si trovano su internet per amplificare la musica dal telefonino o dal computer. Le ho pagate 7 euro invece di 50 e sono perfette”.

La parte più divertente di questo shopping parallelo è la contrattazione: “Un giorno prendo due borse, una Prada e una Gucci – racconta Marco – due modelli nuovi e, a detta dei commercianti, ‘best quality material’. Morale: primo prezzo, 800 euro. Prezzo finale, 40 euro. Loro partono come se stessero per venderti il prodotto ‘vero’ acquistato in Montenapoleone. Io, dopo anni di ‘esperienza’ taglio corto la trattativa. Poi ti dicono di no. Esci dal negozio e ti seguono per dirti che va bene il prezzo che hai detto. Tuttavia ho visto europei o americani pagare le borsette anche 200 euro o i jeans 100 euro”.

Un luogo surreale per le leggi italiane. In Cina ce ne sono tantissimi altri.“E’ difficile descrivere questi posti: bisognerebbe vederli per capire” conclude Marco. E si dice che a Shangai ce ne sia uno che occupa un intero palazzo, in cui più sali, più aumenta la qualità dei prodotti. E anche il loro prezzo.

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L’asse Cina-Italia: “I sequestri sono diminuiti” / VIDEO http://ifgnetwork.uniurb.it/della-sala/2014/04/10/dalla-cina/ http://ifgnetwork.uniurb.it/della-sala/2014/04/10/dalla-cina/#comments Thu, 10 Apr 2014 16:11:31 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/della-sala/?p=309 “Negli ultimi anni i sequestri delle Dogane sono diminuiti ma non è un dato significativo. Sa perché? Perché il mercato della contraffazione è come un fiume. Si può provare ad arginarlo con una diga ma l’acqua trova sempre altre strade per tornare, per raggiungere la foce e affacciarsi in mare”.

Edoardo Francesco Mazzilli, direttore dell’ufficio investigazioni Antifrode dell’Agenzia delle Dogane, racconta come si è evoluto nel tempo il mercato della contraffazione, partendo da internet.

Come è cambiata l’illegalità con la diffusione del web e dei social network?

Proprio come è cambiata la vita. Quello su internet è l’evoluzione dell’acquisto illegale in strada. Prima si comprava nei mercati rionali, sulle bancarelle, alle fiere. Oggi si compra con il computer. Quello che non cambia, però, sono colpevolezza e consapevolezza. Chi compra è colpevole quanto chi vende. Il 90 per cento delle persone che acquista su internet sa bene che sta comprando un prodotto contraffatto, si è fatto un calcolo economico, desidera quella marca e la ordina. Il sito è a sua volta un intermediario per il fornitore, che a esempio viene dalla Cina, e provvede a far arrivare la merce attraverso i corrieri. Dalla dogana di Hong Kong, con la quale l’Unione Europea ha un accordo per la segnalazione dei pacchi sospetti, arriva ogni anno una lista di piccole spedizioni gestite sempre da un unico noto corriere espresso, di cui non farò il nome.

E come arrivano in Italia?

Soprattutto via aerea, recapitati attraverso aerei cargo che smistano, negli Hub aeroportuali, le spedizioni poi dirette agli aeroporti più piccoli. I destinatari sono ragazzi di ogni parte d’Italia, che ricevono borse, vestiti e accessori. Tutti contraffatti. E’ lo stesso sistema dei container nei porti, soprattutto per quanto riguarda i grandi carichi: c’è il porto di transhipment in cui le navi porta-container, con migliaia di comparti, arrivano e smistano i carichi su navi più piccole per i porti dove la portacontainer non potrebbe accedere.

Come mai le merci contraffatte sono prodotte in Cina con tale facilità?

Partiamo dal presupposto che l’Italia è per prima un paese di contraffattori e che con internet è molto facile accedere a cataloghi e modelli dei grandi marchi. Quelli asiatici sono paesi in via di sviluppo dove il costo della vita è minimo e la manodopera a basso costo è facilissima da trovare. Le grandi griffe “delocalizzano”, impiantano lì le loro grandi fabbriche anche perché lo smaltimento è più facile ed economico. Oppure danno lavoro a una serie di terzisti, ognuno fabbrica le diverse parti del prodotto, gli affidano materia prima, standard e modelli. E’come far entrare la volpe nel pollaio: se il giorno dopo ha mangiato tutte le galline non ti puoi lamentare perché ce l’hai fatta entrare tu. E non sei stato in grado di tenere sotto controllo la situazione. La contraffazione te la crei da solo.

Com’è la qualità di questi prodotti?

Negli ultimi anni c’è stata un un’evoluzione dei prodotti contraffatti. Esiste una fascia bassa e scadente, quella dei mercatini, ma poi c’è una fascia di prodotto qualitativamente molto valida. Tanto che inizia ad essere sempre più difficile anche per i nostri periti riconoscere l’imitazione dall’originale. Ovviamente anche la tecnologia anticontraffazione si sta evolvendo, ma continua a essere il gioco delle guardie e dei ladri. Noi siamo in mezzo.

Se scoperto, cosa succede a chi ordina merce contraffatta su internet?

C’è tutto un dibattito aperto su questo argomento. Allo stato dei fatti, non sarebbe neanche denunciato. Se il pacco è bloccato, al massimo non arriva a destinazione. Nel peggiore dei casi il destinatario è convocato e identificato. Ma anche se dovesse iniziare un procedimento giudiziario, si deve sempre riuscire a provare che l’utente fosse consapevole della contraffazione. E se si riesce a dimostrare che la merce è stata comprata consapevolmente, la decisione dipende dal magistrato. E’ difficile formulare il capo d’imputazione e accertare la consapevolezza. Dipende anche dalla natura del soggetto: si tratta di un ragazzo non di un camorrista.

A proposito di questo, a livello internazionale qual è il coinvolgimento della criminalità organizzata?

Qualche anno fa ho partecipato con i Ros dei carabinieri a indagini per l’arrivo dalla Cina di grandi carichi di merci. Con le intercettazioni ascoltavamo gli spedizionieri ordinare le merci e trattare sul prezzo con i trafficanti cinesi. Curiosità: i trafficanti volevano tutti avere nomi italiani. Le donne si facevano chiamare Gina, Maria, Lina. Sentivamo i camorristi dire “guarda, queste borse non me le mettere a più di un euro e mezzo perché altrimenti vado a comprarle da un altro fornitore che me le fa pagare un euro”. Una vera negoziazione su decine di container. Siamo intervenuti, il flusso verso l’Italia è stato bloccato ma immediatamente è stato dirottato verso un altro paese dell’Unione Europea e gli stessi criminali hanno continuato a importare quella merce, ormai comunitaria, facendola viaggiare internamente con i camion.Si tratta di un business. Per ogni container si guadagnano migliaia di euro e la pena massima è di quattro anni. Il paragone rischio-beneficio èvantaggioso. Il traffico si fonda su società fantasma e inconsapevoli vecchietti che, oltre a infischiarsene, non hnno neanche un patrimonio da aggredire per recuperare le eventuali pene pecuniarie e le spese processuali.

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Leggi e smaltimento: un cane che si morde la coda http://ifgnetwork.uniurb.it/della-sala/2014/04/10/pacchi-e-container-la-scheda-dei-controlli/ http://ifgnetwork.uniurb.it/della-sala/2014/04/10/pacchi-e-container-la-scheda-dei-controlli/#comments Thu, 10 Apr 2014 15:21:32 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/della-sala/?p=313 In Italia la contraffazione e l’importazione di marchi falsi sono reati, previsti dagli articoli 473 e 474 del codice penale, che prevedono sanzioni sia detentive che pecuniarie.

Le pene si sono inasprite negli ultimi anni perché il legislatore si è accorto dell’entità del fenomeno e soprattutto del coinvolgimento della criminalità organizzata. E’ stato introdotto l’impiego di strumenti d’indagine tipicamente utilizzati nella lotta alla mafia, come le intercettazioni telefoniche o le operazioni sotto copertura, rese possibili con la cosiddetta Legge Sviluppo 99 del 2009. La normativa, modificando il codice penale, ha introdotto la circostanza aggravante in caso di “delitti commessi attraverso l’allestimento di mezzi e attività organizzate”, in riferimento ai reati contro la proprietà intellettuale.

Ma se esiste una sensibilità per quanto riguarda le grandi spedizioni, non vale lo stesso per i piccoli pacchi. Le Dogane avevano proposto una modifica della legge che prevedesse una sanzione amministrativa per l’acquisto di piccoli quantitativi di merci contraffatte. Il Parlamento però ha respinto la proposta,  ritenendo che potesse essere uno stimolo al commercio piuttosto che un deterrente.

Al momento, quindi, sia che si importino 20 pezzi o 20.000, la sanzione dovrebbe essere la stessa. Il condizionale è d’obbligo perchè quando la pratica  si sposta nei tribunali, la situazione cambia. Se è infatti facile dimostrare il dolo per un soggetto che importa un container di 40.000 piedi, non vale lo stesso per l’utente che acquista su internet.

“Basta un buon avvocato – racconta Edoardo Francesco Mazzilli, direttore dell’ufficio investigazioni Antifrode dell’Agenzia delle Dogane -  e il compratore si può giustificare affermando che non sapeva che quella merce fosse contraffatta quando l’ha acquistata. Tanto più che non ha potuto vederla materialmente. In questo caso è quindi difficile trovare la responsabilità penale”.

Le procure, vista anche la quantità di pratiche segnalate per le piccole spedizioni, hanno dato indicazione alle forze di polizia giudiziaria di non fare notizia di reato per quantità inferiori a 20-30 pezzi. Ogni Procura d’Italia ha però un termine diverso.


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I controlli

I controlli doganali, sia fisici che documentali, si svolgono sulla base di un’analisi del rischio elaborata attraverso i database dell’Agenzia delle Dogane. Aprire e svuotare i container, infatti, è costoso e le spese sono a carico delle  compagnie portuali e dei soggetti controllati. Fare controlli sistematici penalizzerebbe gli onesti. L’esistenza di un sito internet,  poi, non genera profili di rischio e quindi intercettare i singoli pacchi è impossibile. Così come rintracciare il gestore di una piattaforma web.

Da qualche anno è stata attivata una banca dati denominata FALSTAFF in cui sono inseriti dati e schede prodotto delle griffe e delle loro rotte. Le case produttrici comunicano dove hanno delocalizzato le loro aziende. Le Dogane consigliano loro di importare sempre da un unico punto d’ingresso. Ogni altra merce recapitata per altre vie, quindi, sarà con maggior sicurezza da considerare contraffatta. Ma lo fanno solo se ne hanno voglia.

La distruzione della merce sequestrata
Distruggere gli stock di merce non è facile. Ogni materiale risponde a uno specifico procedimento previsto per legge e i costi dovrebbero essere imputati a spese di giustizia . Inoltre, essendo le merci “corpo di reato”, dovrebbero essere conservati nei depositi giudiziari. “Un container – spiega Mazzilli – per ovvi motivi di spazio non entra in un deposito giudiziario quindi le merci sono conservate nei depositi dei porti e degli aeroporti”.

Le dogane sequestrano però la merce, non il container, e dopo un po’ di tempo la compagnia di navigazione chiede indietro il container minacciando di far pagare il costo di deposito. Si spendono soldi anche per farli svuotare.

I titolari delle griffe si rifiutano di distruggere la merce. Però pretendono che siano fatti i sequestri caricando i costi sulla pubblica amministrazione. A volte le autorità giudiziarie cercano strade alternative, ordinano la rimozione del marchio e donano la merce ad associazioni benefiche.

Ma anche in questo caso si sollevano le polemiche. “I proprietari dei marchi  – conclude Mazzilli- temono che la merce possa essere rifalsificata e reinserita nel circuito della contraffazione.

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