Messina, in 600 in una tendopoli: la vita sospesa dei richiedenti asilo / Video


Pubblicato il 4/04/2014                          


D’inverno il vento che soffia sullo stretto di Messina si fa sentire. Abdul (nome di fantasia), 20 anni, indossa una maglietta di cotone e ciabatte di gomma. Esce dal campo di basket del Palanebiolo con un sorriso. Vive lì, in una tenda in mezzo al fango con altri 600 richiedenti asilo. Vengono dal Gambia, dal Mali, dalla Nigeria, dal Senegal. Sono tutti uomini, ma fino a poco tempo fa c’erano anche donne e bambini. Ci allontaniamo dallo sguardo dei Carabinieri che sostano davanti alla tendopoli e raggiungiamo la parte alta della città. Visto da lassù il campo di proprietà dell’Università è un susseguirsi di tende blu. “Sentiamo molto freddo. La notte non riusciamo a dormire: quando il vento è forte hai la sensazione che si porterà via tutta la tenda”, racconta Abdul che viene dal Gambia. “Passiamo le nostre giornate senza fare nulla, aspettiamo”.

Una tenda come casa. In un mondo ideale la tendopoli del Palanebiolo non dovrebbe più esistere dal primo gennaio 2014. Aperta il 9 ottobre 2013, è una delle 80 strutture temporanee che in Italia accolgono i migranti in attesa di essere trasferiti in un centro di prima accoglienza e poi in un Cara, centro accoglienza richiedenti asilo. Quella dove vive Abdul avrebbe dovuto chiudere il 31 dicembre 2013 eppure è ancora lì.

Le strutture temporanee sono state istituite con la cosiddetta “legge Puglia” del 1995, emanata durante l’esodo dall’Albania di migliaia di profughi sbarcati sulle coste pugliesi. La legge impone ai prefetti di trovare una sistemazione ai migranti. Ogni posto è buono: tendopoli, capannoni industriali o hangar del porto. Dovrebbero rimanere lì poche ore, invece restano settimane, mesi. Tempo in cui le loro vite restano sospese. Non tutti compilano subito il modello C3, quello che dà avvio alla richiesta d’asilo. Molti aspettano settimane prima di poterlo consegnare alla Prefettura.

La gestione della tendopoli è stata affidata inizialmente alla Croce Rossa, poi quando il numero dei migranti ha sfiorato le 250 persone, è stata aperta una gara d’appalto vinta dal  Raggruppamento temporaneo di imprese Senis Hospes, i cui soci sono La Cascina Global Service e Consorzio Sol. Co. Lo stesso raggruppamento fa parte del consorzio dei comuni “Calatino Terra di Accoglienza” che gestisce il Cara di Mineo a 50 milioni di euro all’anno. Il presidente di Senis Hospes, Camillo Aceto, quando era vicepresidente di La Cascina è stato imputato in un processo a Bari sul servizio di pasti delle mense ospedaliere e scolastiche per falsi e frode nelle forniture pubbliche. Il reato è stato prescritto. Per ogni migrante lo Stato versa agli enti gestori 24,90 euro al giorno, 448.200 euro al mese. I richiedenti asilo, però, quei soldi non li vedono: a loro viene dato solo un pacchetto di sigarette e una scheda telefonica.

Patrizia Maiorana, volontaria dell’Arci di Messina racconta: “Questa struttura deve essere chiusa. Ci sono stati casi di scabbia e i malati sono stati messi in quarantena nell’antibagno”. L’azienda sanitaria provinciale di Messina ha visitato la tendopoli, giudicandola totalmente inidonea ad accogliere migranti. Ma non solo: quando piove l’acqua entra nelle tende e l’intero campo si allaga. I servizi igienici sono insufficienti: ci sono solo tre bagni per 180 persone. “Non viene offerta alcuna assistenza legale”, continua.

Nel dicembre 2013 58 richiedenti asilo hanno protestato davanti al Comune di Messina: chiedevano la chiusura del Palanebiolo. Hanno iniziato anche lo sciopero della fame. Pochi giorni dopo sono stati trasferiti nei centri di prima accoglienza dove aspetteranno altri mesi prima di entrare in un Cara. Subito dopo il campo è tornato a riempirsi.

Storie di ordinaria umanità. Ad occuparsi dei migranti sono i volontari, persone comuni che finito il loro lavoro cercano di aiutarli come possono. L’Arci di Messina offre assistenza legale, li informa sui loro diritti di richiedenti asilo. Gabriele Rizzo, uno dei volontari, conosce quasi tutti i migranti del Palanebiolo. Se hanno un problema, di qualsiasi tipo, chiamano lui. Gabriele resta in contatto con loro anche dopo, quando vengono trasferiti nei centri d’accoglienza di tutta Italia.

Alcuni minori sono stati accolti dalle suore dello Spirito Santo di Messina. Li ospitano gratuitamente. Maiorana racconta: “I genitori di alcuni ragazzi che vanno a scuola nell’istituto erano contrari. Hanno minacciato di mandare via i loro figli. Le suore hanno risposto che erano liberi di farlo, ma i minori non se ne sarebbero andati”, racconta Maiorana.

A prendersi cura di Muammed, un ragazzo arrivato a Messina con una profonda ferita d’arma da fuoco alla gamba, sono stati i medici dell’ospedale Pappalardo di Messina: “Muammed ha dovuto fare mesi di fisioterapia, cure che il servizio sanitario non copre. Il costo totale è di 16.000 euro. Stiamo cercando di fare una colletta, anche se già uno dei primari dell’ospedale si è offerto di pagare”.

Intanto, Abdul con le sue ciabatte cerca di evitare le pozzanghere a terra. Gabriele Rizzo gli regala una giacca e un paio di pantaloni più pesanti. Sorride di nuovo. Non sa quando potrà andare via dalla tendopoli, ma un giorno, ne è sicuro, in Italia farà il muratore e starà bene.

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