Pestaggi e rapimenti, l’altro volto dell’accoglienza in Italia / Ascolta l’audio


Pubblicato il 20/04/2014                          
Tag: , , , , , ,

I lividi sulle gambe e sul volto non ci sono più. Eppure Asad (nome di fantasia) non dimentica quei giorni passati nei centri di prima accoglienza di Porto Empedocle e di Pozzallo. “Siamo stati picchiati dalla Polizia e dai Carabinieri perché non volevamo dare le nostre impronte digitali. Mentre correvo, mi hanno preso e mi hanno colpito più volte. Sulle gambe, in testa”.

Asad è arrivato dall’Eritrea il 17 ottobre 2013, subito dopo il naufragio di Lampedusa, dove morirono più di 300 persone. Ha lasciato sua moglie e i suoi bambini in Sudan: voleva raggiungere la Norvegia, iniziare a lavorare per pagare il biglietto aereo alla sua famiglia. In base alla Convenzione di Dublino, però, i migranti devono chiedere asilo nel primo Stato dell’Ue in cui mettono piede. Appena sbarcato ad Agrigento, è stato portato insieme ad altre 200 persone nel tendone di Porto Empedocle: una struttura di 40 metri per 60, vicino al porto. “Siamo stati lì, senza vedere la luce del sole, per 25 giorni. Ci facevano stare sempre seduti. Si soffocava, mancava l’aria. Un cane viene rispettato più di noi”, ci racconta al telefono mentre è ospite di uno Sprar, sistema di protezione richiedenti asilo, in Sicilia.

Ad ottobre, Asad e gli altri migranti sono stati trasferiti nel centro di primo soccorso e accoglienza di Pozzallo, un capannone che sorge nella zona doganale del porto. Ha una capienza di 130 posti, ma ha ospitato anche più di 400 persone. “Lì la Polizia ci ha tolto le scarpe e le cinture. Siamo rimasti scalzi. Ci hanno trattato come se fossimo criminali. Uno di noi è stato picchiato da otto poliziotti. Sanguinava dalla testa e dal naso. Alle cinque del pomeriggio dell’undici ottobre, ci hanno fatto spogliare e ci hanno schiaffeggiato. Hanno alzato le mani anche sulle donne che non facevano che piangere. E’ così che ci hanno preso le impronte, con la forza. Hanno lasciato liberi solo i Siriani. Ma loro sono bianchi, noi siamo neri”, afferma Asad.

Oggi, con l’operazione della marina militare Mare Nostrum, iniziata il 18 ottobre 2013, i migranti vengono soccorsi in mare dalle navi italiane. La maggior parte delle volte sono identificati e fotosegnalati prima di arrivare a terra. Condannati a restare in Italia, ad aspettare anni prima di avere un permesso di soggiorno per asilo politico, senza la possibilità di lavorare e di costruirsi una nuova vita.

Quella di Asad non è una testimonianza isolata: l’Arci ha raccolto le denunce di diversi migranti trasferiti alla tendopoli per richiedenti asilo di Messina dopo essere passati da Pozzallo e da Porto Empedocle. L’avvocato e volontaria dell’associazione, Carmen Cordaro, ha seguito l’intera vicenda, anche se alla fine Asad non ha voluto sporgere denuncia per paura. L’ultima volta che l’abbia sentito ci ha pregato più volte di non rivelare il suo nome. Era riuscito a scappare dallo Sprar, dove viveva. Aveva raggiunto la Germania e poi la Danimarca. Ha preferito vivere da clandestino, con la paura di essere espulso in qualsiasi momento piuttosto che rimanere nel nostro Paese. “In Italia non c’è lavoro. Non voglio finire a mendicare per strada”, ci aveva detto.

Asad racconta di aver ceduto solo dopo 25 giorni di botte e pestaggi. Ad altri è andata perfino peggio. Talib (nome di fantasia), arrivato dall’Eritrea, appena è sbarcato ad Agrigento, è stato avvicinato da alcuni connazionali: gli hanno promesso di aiutarlo a fuggire dal centro d’accoglienza, prima che gli prendessero le impronte. Lui, insieme ad altri tre migranti, si è fidato. Invece, sono stati chiusi in una casa nella campagna di Agrigento: se non avessero pagato 400 euro, sarebbero stati riportati nel centro. Testimone dell’intera vicenda è stato Abrha, un operatore sociale di Catania: “Mi ha chiamato il fratello di Talib in lacrime chiedendomi di fare da intermediario con i rapitori. Ho parlato con chi lo teneva in ostaggio, dicendogli che la famiglia era disposta a pagare. E così è stato. Appena lo hanno liberato, ho denunciato tutto alla polizia. Questa gente approfitta delle disperazione delle persone”. E’ stata aperta una inchiesta e le indagine sono in corso.

I commenti sono chiusi