La Tribù delle Noci Sonanti http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice di Diana Orefice Wed, 23 Apr 2014 18:12:37 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.8.1 di Diana Orefice La Tribù delle Noci Sonanti no di Diana Orefice La Tribù delle Noci Sonanti http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice Alcune pagine del Seminasogni dell’inverno ’13-’14 http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/23/seminasogni/ http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/23/seminasogni/#comments Wed, 23 Apr 2014 14:18:27 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/?p=214

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Imparare in casa: come funziona l’istruzione parentale http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/23/istrparentale/ http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/23/istrparentale/#comments Wed, 23 Apr 2014 10:12:40 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/?p=187 istrparentale-3

 

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Pane, orto e legna. Il lavoro per l’autosufficienza http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/10/giornata-tipo/ http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/10/giornata-tipo/#comments Thu, 10 Apr 2014 15:12:00 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/?p=44 IMG_4725 [Larghezza Max  1024 Altezza Max  768]Alla Tribù delle noci sonanti non c’è la sveglia, di mattina. La giornata inizia quando lo decide il sole: in primavera ci si alza dal letto verso le otto. Il primo suono che si sente, oltre al cinguettio degli uccelli, è una cantilena dai toni bassi e prolungati che proviene dalla stanza di Fabrizio e suo figlio Siddhartha. Sono i mantra della meditazione, una sorta di preghiera buddhista: il suono più sacro è l’Om. E’ Fabrizio che lo canta e lo ripete al ritmo del respiro. Anche Siddhartha, qualche anno fa, imitava il papà e faceva qualche posizione di yoga. Oggi preferisce correre fuori a giocare con gli animali. La Tribù, infatti, è composta anche da due cani, due gatti, qualche piccione, di cui uno appena uscito dall’uovo, e dai bruchi che ogni tanto Siddhartha riesce a catturare.

Dopo la colazione Fabrizio si dedica a qualche mansione casalinga. Riordina la stanza principale, dove si cucina e si mangia, oppure sistema gli stoppini delle lanterne a olio. Di sera, infatti, per illuminare la stanza senza elettricità la Tribù utilizza tante lucerne riempite con l’olio esausto che amici e simpatizzanti lasciaIMG_4730tagliatano nella cassetta della posta di Fabrizio. “L’estremità, quella carbonizzata – spiega lui, mentre strappa la punta degli stoppini con un paio di pinzette – va tolta spesso, altrimenti la fiamma diminuisce. E poi se cade, sporca il tappeto”.

Fuori di casa c’è Leandro che, prima di lasciare la Tribù per un lungo viaggio in Brasile, cerca di sistemare tutto quello che può nell’orto. Costruisce recinti, zappa le aiuole, sposta i fiori. Appena ne ha voglia va a tagliare la legna oppure a macinare il grano. Entrambe le attività sono basilari per la vita in Tribù e tra l’una e l’altra Leandro occupa tutta la giornata. Di legna ne serve molta ogni giorno per cucinare e per riscaldarsi, visto che in casa non c’è il gas. La farina serve per fare il pane in vista della prossima infornata: ogni volta Fabrizio cuoce almeno 10 pagnotte, da scambiare con altri produttori locali o da conservare in casa per sé. La Tribù ha una macinatrice in pietra manuale, che tiene in una stanzetta che serve anche da dispensa. “Ci vuole tanto a fare la farina – racconta Fabrizio – ma prima era ancora peggio, perché avevamo una macina senza manovella, quindi il processo era più lento, bisognava girare con entrambe le mani”.

IMG_4770 [Larghezza Max  1024 Altezza Max  768]La preparazione del pranzo dura circa un’ora. Fabrizio segue un’alimentazione macrobiotica ed è molto attento alla cottura lenta e precisa di tutti gli ingredienti. Verso mezzogiorno e mezzo inizia ad apparecchiare: stende con cura la tovaglia sul tappeto, la liscia due o tre volte, poi ci appoggia sopra i piatti personali dei membri della Tribù. Sia Fabrizio che Leandro hanno una grossa scodella di legno, mentre quella di Siddhartha è più piccola. Per sé, Fabrizio mette due bacchette di legno, mentre gli altri hanno delle normali forchette.

Dopo mangiato è l’ora della “scuola”. Con un po’ di capricci, Fabrizio riesce a convincere Siddhartha a prendere il quaderno e sedersi per terra, accanto a lui. Per un’ora o due, in base alla pazienza dell’allievo, si scrivono e riscrivono le lettere dell’alfabeto, si imparano nuove parole, si corregge l’ortografia. “Ho letto un libro – spiega Fabrizio – che consiglia di insegnare ai bambini a scrivere su un foglio bianco, senza righe, per lasciarli esprimere. Ma con Siddhartha è impossibile, devo un po’ contenerlo. Con lui usiamo i quadretti e sono molto rigido nella precisione della grafia”.

Imparare in casa: che cos’è l’istruzione parentale – GUARDA L’INFOGRAFICA

IMG_4938 [Larghezza Max  1024 Altezza Max  768]Quando lo scolaro inizia a scalpitare troppo e il maestro si sente soddisfatto, si può cambiare attività. Siddhartha ricomincia a giocare: corre intorno a casa in bicicletta, si infila in un barile blu, scava tane o apre sentieri. Oppure va ad aiutare il papà nei campi: la Tribù coltiva molti tipi di frutta e verdura. Ad aprile le attenzioni di Fabrizio sono rivolte soprattutto alla vigna, che va sistemata e potata. Siddhartha segue il padre ad ogni ramo, con in mano un pennello e un barattolo d’argilla. La applica sopra ogni taglio e Fabrizio spiega che serve per proteggere e guarire il ramo potato.

Appena inizia a fare buio si torna in casa e si accendono una ad una le lanterne, mentre Siddhartha si addormenta nella stanza principale, di fianco all’altarino buddhista. Dopo cena Fabrizio si occupa ancora di qualche faccenda dentro casa, come ad esempio preparare le etichette con gli indirizzi degli abbonati che devono ricevere il Seminasogni. Si tratta di un giornale di 28 pagine scritto e disegnato a mano da Fabrizio e altri suoi amici quattro volte all’anno. E’ registrato come supplemento a Stampa alternativa, una casa editrice di Roma – famosa per la collana “Millelire” – con cui Fabrizio ha iniziato a collaborare da giovane. Dentro il Seminasogni si possono trovare poesie, opinioni, articoli di IMG_4754 [Larghezza Max  1024 Altezza Max  768]riflessione, consigli su come organizzare una efficace educazione familiare, annunci e brani tratti dal “quaderno della lampada”. Quest’ultimo è una sorta di diario della Tribù, iniziato oltre 20 anni fa. Viene scritto tutte le sere da Fabrizio o da chiunque sia in casa: ormai i volumi sono una ventina, tutti raccolti in una piccola libreria. Ogni pagina è scritta con calligrafie diverse e Fabrizio ricopia i pezzi migliori per pubblicarli sul Seminasogni.

Alcune pagine del Seminasogni dell’inverno ’13-’14

Leandro si è già ritirato da un po’: dorme in una camera dall’altra parte della casa e dopo cena preferisce andare a letto presto. Fabrizio resta sveglia un po’ di più. Quando ha finito le sue attività, spegne tutte le lanterne e chiama Siddhartha per trasferirsi a dormire insieme nel materasso in camera. Lui, infastidito per essere stato disturbato, si lamenta per qualche secondo. Poi, sonnolento, dà la buonanotte e segue il papà nel lettone.

 

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Il “menu”: miso, ortaggi e lupinella selvatica a merenda http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/09/mangiare/ http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/09/mangiare/#comments Wed, 09 Apr 2014 09:58:03 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/?p=32 Il cerchio d'energia Ogni pasto alla Tribù delle noci sonanti inizia con un “cerchio d’energia”. Tutti seduti per terra, con il cibo pronto al centro della tovaglia, ci si prende per mano e si chiudono gli occhi. Si resta così, in silenzio, per qualche minuto. Capita di concentrarsi sul profumo delle pietanze, sul cinguettio degli uccelli o sul proprio respiro. Poi Fabrizio stringe più forte le mani, si aprono gli occhi e si può iniziare a mangiare. Intorno alla tovaglia, di solito, ci sono Fabrizio, Leandro e Siddhartha, ma nelle notti di luna piena la Tribù offre la cena ad almeno tre o quattro ospiti.

Topinambur selvatici, cime di senape, erbe spontanee… Nelle vecchie pentole di coccio della Tribù capita di trovare cibi mai visti e mai sentiti nominare. Fabrizio cucina tutto sul fornello a legna: una piccola stufa con una piastra di metallo sopra, sulla quale si poggiano le pentole. Riutilizza più volte la stessa acqua per cuocere diverse pietanze, in modo da evitare gli sprechi, col risultato che tutto è più saporito e nutriente. Poi apparecchia sul tappeto e sistema le pentole davanti al suo piatto personale, una ciotola fonda, di legno scuro. Prima di servirsi, riempie abbondantemente i piatti degli ospiti con un cucchiaio sbeccato, anch’esso di legno.

Fabrizio Cardinali mangia dalla sua ciotola di legno

Di solito si comincia con la zuppa di miso, un brodo di verdure di tradizione giapponese. Il miso, usato come un dado, è un composto pastoso, molto salato, che viene prodotto con soia fermentata, oppure con riso o orzo. Secondo i principi dell’alimentazione macrobiotica, la zuppa di miso è ottima per iniziare i pasti, perché è depurativa e ha un ottimo equilibrio tra energie yin e yang, che devono essere sempre bilanciate.

La base dell’alimentazione sono i cereali. Fabrizio cucina grandi quantità di polenta di grano integrale, macinato a mano nella stanza accanto, dove c’è la dispensa, oppure zuppe d’orzo o spaghetti biologici. Non mancano mai i legumi: fagioli neri, lenticchie, ceci, conditi con prezzemolo e altre spezie. Le verdure sono varie e abbondanti. Vengono raccolte poco prima dall’orto oppure, se crescono spontaneamente, intorno a casa.

Il piatto preferito di Leandro è la polenta di grano. Siddharta preferisce la zuppa di spaghetti, oppure ama sgranocchiare dei gambi di lupinella, un erba spontanea che il papà gli ha insegnato a riconoscere. Banditi dalla tavola sono tutti i prodotti di origine animale: carne, pesce, uova, latte e derivati. Unica eccezione è il miele: anche se è un prodotto delle api, che molti vegani non consumano, la Tribù lo produce e lo mangia, perché prevede metodi di raccolta poco invasivi e più etici nei confronti degli animali. Fabrizio aveva intrapreso l’apicoltura insieme a suo fratello Paolo. “E comunque le api sono insettini – spiega Fabrizio – invece un vitello è più simile a noi”. Proibiti, invece, l’alcool e la caffeina, perché alterano i normali processi nervosi, e qualsiasi tipo di zucchero, che è “la droga più potente che esista”.

La colazione

Fabrizio si assicura che tutti mangino a sazietà, riempiendo i piatti più volte. Poi ripulisce la propria ciotola e tutti i mestoli sfregandoli accuratamente con dei pezzetti di pane integrale fatto in casa, che mangia senza lasciare briciole. Non usa spugne, acqua o sapone, per non sprecare risorse preziose. Infine rimette tutto a posto e scalda una tisana all’eucalipto oppure il tè bancha, che serve a digerire e a sciacquarsi i denti senza utilizzare acqua e senza inquinare l’ambiente con il dentifricio.

A differenza del pranzo e della cena, la colazione è meno rituale, perché a volte ci si sveglia a orari diversi. Fabrizio beve ogni mattina, a digiuno, un bicchiere d’acqua con argilla verde, una sostanza curativa ricca di sali minerali. Siddhartha prende il tè o la tisana e mangia una fetta di pane con il miele. Agli ospiti Fabrizio offre anche tutti gli altri prodotti della Tribù: a seconda delle scorte ci sono succo di prugna, succo d’uva non fermentato, altri succhi di frutta e svariate marmellate senza zucchero. A volte ci sono anche i dolcetti preparati da Siddhartha con pasta di pane e uvetta, tondi o a forma di cuore.

Sono pochi gli alimenti che vengono comperati, perché la tendenza è all’autosufficienza. Tra i pochi acquisti della Tribù ci sono il miso, la salsa di soia e gli spaghetti biologici. Il grano da macinare proviene da amici o conoscenti, così come la frutta essiccata e qualche tisana. Fabrizio incontra altri produttori locali quattro volte l’anno, durante i mercatini privati che organizzano in diversi paesi delle Marche. Sono occasioni di confronto, di scambio, ma soprattutto di convivialità tra persone che hanno in comune l’amore per l’agricoltura contadina e biologica. Fabrizio, oltre a succhi, verdure e marmellate, vende anche farina macinata a mano, olio, olive in salamoia e pane cotto a legna.

Nella bancarella della Tribù le pagnotte sono tutte tonde, sistemate in un grande cesto di vimini. Su ognuna c’è un disegno: una croce, un cerchio, oppure una spirale. Comunicano la cura per i dettagli e la dedizione con la quale tutti i prodotti della Tribù vengono coltivati, raccolti, preparati e cucinati. Che sia per sé o per gli altri, infatti, ogni cosa viene realizzata con impegno e con amore di sé e della natura.

Esplora la bancarella della Tribù delle noci sonanti:

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Un ritorno all’antico, in armonia con la natura. Per Fabrizio un modello possibile http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/09/tribu/ http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/09/tribu/#comments Wed, 09 Apr 2014 09:57:23 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/?p=29 IMG_4786strettissima [Larghezza Max  1024 Altezza Max  768]“Una noce dentro un sacco poco rumore fa”. Ma tante noci insieme suonano. E’ da questo proverbio che nasce il nome della Tribù delle noci sonanti. Erano le parole che diceva sempre un’anziana contadina di Cupramontana. Fabrizio Cardinali ha dato questo nome al suo progetto, perché il sogno è che altre persone scelgano di condividere il suo stile di vita. “La gente ha sempre vissuto in gruppo o in tribù – spiega – ma al giorno d’oggi si fa la scelta contraria perché nella civiltà tecnologica si può vivere da soli, non manca niente. Ma prima nelle Marche, per esempio, c’era la famiglia allargata”.

Fabrizio aveva 22 anni quando ha deciso di cambiare vita per tornare all’essenzialità. A quel tempo, nel 1972, frequentava l’università di astronomia di Bologna e giocava a pallavolo in serie A. Dopo le vacanze natalizie non è più tornato a studiare e ha lasciato la casa dei genitori a Falconara Marittima, dove abitava con loro e un fratello più piccolo. Per qualche tempo ha dormito in un club culturale, poi ha deciso di partire in anticipo per il servizio militare. “Me lo sono voluto togliere subito, perché avevo la possibilità di entrare nel gruppo sportivo dei carabinieri”.

IMG_4712“La prima formazione – ricorda Fabrizio – è stata una cosa da matti”. Così ha lasciato presto i commilitoni per la squadra di pallavolo, che giocava nel campionato di serie B. “Io non mi impegnavo molto, ma loro si aspettavano da me chissà cosa. Quando la squadra è retrocessa se la sono presa con me, mi hanno mandato nel battaglione di Moncalieri”. Il ricordo di quei mesi è doloroso. “Tra le altre cose, ho partecipato alla repressione di un carcere in rivolta”. Dopo quella esperienza Fabrizio ha scritto una lettera-testimonianza che fu pubblicata da Stampa alternativa, ora una casa editrice. “E’ stato il mio ingresso privilegiato nel mondo dell’Alternativa. Una bella partenza”. Con loro collabora tutt’ora per stampare il Seminasogni, una rivista scritta e disegnata a mano da lui e alcuni amici.

Alcune pagine del Seminasogni dell’inverno ’13-’14

Tutti i soldi guadagnati con il servizio militare sono poi serviti a comprare una terra e una casa. Fabrizio aveva già chiaro qual’era il suo obiettivo: allontanarsi dalla società e ritornare al selvatico. “Sognavo una casa in una radura all’interno di un bosco. Per l’acqua, un pozzo o una sorgente. Ma non si può avere tutto”. Così nel 1986 ha scelto di abitare nelle campagne di Cupramontana. La sua casa non è all’interno di un bosco, ma per raggiungerla bisogna comunque abbandonare la macchina: si parcheggia di fianco alla statale, sotto una grande quercia a cui è appesa una bandiera della pace. Poi si scende a piedi per 500 metri, passando tra i campi e scavalcando la “piscina dei cinghiali” (una pozza di acqua e fango) finchè non si trova un acchiappasogni appeso ad un albero. Ad accogliere i visitatori, a pochi metri, ci sono Nadir o Farina, i due cani della Tribù.

Anche se a Cupramontana non ha trovato la sorgente, Fabrizio ha comunque voluto tenere il rubinetto dell’acqua fuori di casa, in giardino. “Il fatto che sia fuori permette un maggiore contatto con la natura. Se la bottiglia è vuota, devo uscire e oggi c’è la luna piena. Domani magari c’è la nebbia o piove”. Anche il gabinetto è fuori. E’ una semplice buca nel terreno e per pulirsi si usa l’acqua, senza dover sprecare carta igienica. Quando la prima latrina è piena si utilizza la seconda, così gli escrementi nell’altra diventano compost e possono essere utilizzati per concimare il terreno.

“Mi sembra che l’essere umano sia fatto per questo tipo di vita – afferma Fabrizio – anche se oggi la direzione della società va da tutt’altra parte. Ma fino a 50 o 60 anni fa la stragrande maggioranza della gente faceva parte del mondo contadino”.

IMG_6199a [Larghezza Max  1024 Altezza Max  768] La compagna di Fabrizio, Gessica, è arrivata nel 2005 e tre anni dopo è nato il piccolo Siddhartha. Da quando i genitori si sono separati, vive un mese con l’uno e un mese con l’altra. In questo periodo vive con la Tribù anche Leandro. “Una mano santa – afferma Fabrizio – perchè da solo non ce l’avrei mai fatta. Alla legna non ci penso più, la taglia sempre lui, macina il grano e ha anche piantato le fave e i piselli”. La presenza di qualche aiutante è essenziale per la vita della Tribù. Non solo perché ci sono tante attività da svolgere, ma anche per una questione sociale: “In città c’è sempre l’opportunità di incontrare persone e avere degli scambi. In campagna no, ma è utile averli. In questo Siddhartha è fondamentale per me: se non ci fosse lui mi mancherebbe un affetto”.

Eppure, che sia da solo o con altri, Fabrizio non rimpiange la città. Prima di tutto, per il senso di libertà. “Per esempio – spiega – tutti parlano di crisi, ma io non so nemmeno cosa significhi. Domani non vado a fare spesa e nemmeno dopodomani”. Il suo posto, ormai, è la campagna. “Questo per me è l’unico modo di vita possibile. Apro la porta e c’è l’erba, c’è l’albero. Sopporto le città solo perché mi capita di starci per brevi periodi. Già la stazione di Roma per me è un bombardamento: video da tutte le parti, schermi, pubblicità. La gente con le cose infilate nelle orecchie continuamente. Non ce n’è uno tranquillo”. Ma la vita selvatica non è solo frutto di benessere personale, per Fabrizio. Il suo obiettivo è essere d’esempio. “Il mio stile di vita è un modello di alternativa possibile. Non solo per le persone, ma per il mondo, per l’ambiente, per l’umanità e per il futuro”.

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Crescere un figlio in mezzo alla natura: Siddhartha http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/09/siddhartha/ http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/09/siddhartha/#comments Wed, 09 Apr 2014 09:57:08 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/?p=27 IMG_4949Siddhartha, quasi sette anni, capelli lunghi biondi e una piuma in testa come gli indiani d’America, sta sbucciando un gambo di lupinella. L’ha appena strappata dal terreno intorno a casa, dove cresce spontaneamente. “E’ buona e fa bene, per me è meglio di un dolce”. Poi la offre agli ospiti. “Volete la parte dura o quella tenera?” chiede. E’ il primo e unico figlio di Fabrizio Cardinali e con suo padre è il secondo membro fisso della Tribù delle noci sonanti.

Siddhartha è nato in casa, come si faceva 50 o 60 anni fa: al centro della stanza principale dove c’è la cucina, dove si mangia e si chiacchiera con gli amici. E come accadeva in passato, sua madre non ha fatto ecografie, Siddhartha non ha subito alcun vaccino, non ha mai portato il pannolino usa e getta e non è mai stato lasciato solo in una carrozzina. Durante i primi anni Fabrizio e la sua compagna Gessica usavano un telo con il quale, attraverso diversi metodi di fasciatura, tenevano il bambino sempre a contatto con il loro corpo durante tutte le attività quotidiane.

Ora Siddhartha è cresciuto. Conosce il nome di tutti i fiori e le piante del giardino, dell’orto e dei campi intorno a casa. Sa arrampicarsi sugli alberi a piedi nudi, tirare frecce di bambù con l’arco costruito dal papà e ha imparato a scrivere “Tribù delle noci sonanti”. Fabrizio e sua madre hanno deciso di educarlo in casa. L’istruzione parentale è una scelta – garantita dalla Costituzione e prevista nel decreto legge 297/94 – che possono fare tutti i genitori, presentando la richiesta ogni anno al dirigente scolastico della scuola del proprio territorio di residenza. Come garanzia della validità dell’educazione che riceve in famiglia, il bambino deve poi sostenere un esame di idoneità all’anno scolastico successivo.

Imparare in casa: che cos’è l’istruzione parentale – GUARDA L’INFOGRAFICA

“Da quando c’è Siddhartha – racconta Fabrizio durante una chiacchierata dopo cena, seduti sul tappeto – la mia vita è cambiata tantissimo. Se non ci fosse lui non credo che sarei così tranquillo, quando sono da solo. Mi mancherebbe un affetto”. “E’ vero, un bambino ha bisogno di attenzioni – continua – e la mia giornata è condizionata da lui. Ma questo mi va benissimo”. Siddhartha vive un mese con il padre, a Cupramontana, e un mese con la madre. Un paio di settimane fa voleva andare alle terme a fare il bagno nell’acqua calda: Fabrizio lo ha accontentato. Un escursione nel “mondo normale”? “Non credo – risponde Fabrizio – perchè quando affronto delle esperienze fuori casa con Siddhartha, cerco sempre di farlo a modo mio. Alle terme ci siamo andati in autostop e quando ci spostiamo porto sempre il mio cibo”. In Tribù, infatti, non sono ammessi cibi industriali: la merenda è una manciata di frutta essiccata, oppure una fetta di pane con il miele che proviene dalle api di casa.

IMG_4865 [Larghezza Max  1024 Altezza Max  768]Nemmeno con la madre Siddhartha fa la vita di un bambino ‘normale’ – spiega Fabrizio – perché anche lei è attenta all’alimentazione e a uno stile di vita sostenibile. Però, a differenza di quando è con me, si sposta in camper, ha occasione di vedere la televisione e di stare con persone che hanno il cellulare”. Ma Siddhartha sa bene che le regole, con il papà, sono diverse. La maggior parte di quello che ha, sia i giochi che i vestiti, sono regali degli amici o oggetti scambiati da Fabrizio ai mercatini. I suoi desideri più urgenti sono scavare tane sotterranee, correre in bicicletta e avere delle nuove frecce di bambù da tirare con l’arco. “Una volta mi ha chiesto una scavatrice – racconta Fabrizio, divertito – ma non un giocattolo, voleva proprio una scavatrice vera”.

“Ho avuto tanti amori nella mia vita, persone, cose, ideali. Tutti sono tramontati, anche abbastanza rapidamente. Ma con Siddhartha ho veramente trovato l’amore della mia vita che, penso, mi accompagnerà ormai fino alla fine, donandomi così tanta gioia ma anche tanto dolore e difficoltà”. E’ la dedica che Fabrizio ha scritto per suo figlio nelle prime pagine della sua tesi per l’Ayco di Roma (Accademia yoga di consapevolezza) un anno fa. Si intitola “Crescere un figlio nella natura selvatica, alla luce dello yoga e del dhamma”.

Il dhamma è l’insieme degli insegnamenti lasciati dal Buddha ai suoi discepoli. Proprio dal buddhismo proviene il nome che Fabrizio ha voluto dare a suo figlio: Siddhartha Gautama è infatti uno dei tanti modi con cui viene chiamato l’asceta indiano, fondatore del buddhismo. Un nome che per Fabrizio era anche una promessa, o quasi un sogno. “E’ come se ci fossimo fatti un po’ l’illusione – spiega Fabrizio nella sua tesi – che con la nostra educazione, la nostra guida, avessimo potuto tenere Siddhartha, almeno in parte, al di fuori della sofferenza, dei capricci e della formazione di un carattere in qualche modo egoico (ndr egoistico). E l’avessimo potuto da subito avviare, accanto ad una vita normale di giochi, ad una vita di ricerca e pratica spirituale. Come un piccolo reincarnato. O un piccolo Buddha”.

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Paolo: “Ho ritrovato mio fratello grazie alla passione per le api” http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/09/fratello/ http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/2014/04/09/fratello/#comments Wed, 09 Apr 2014 09:56:38 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/orefice/?p=25 IMG_5026“Mio fratello è sempre stato estremo. Io lo accetto così com’è”. Paolo è di 12 anni più giovane di Fabrizio. Quando suo fratello ha lasciato la famiglia e la casa, a Falconara Marittima, per intraprendere uno stile di vita diverso e controcorrente, lui aveva solo 10 anni. “Come fratello – spiega Fabrizio – l’ho vissuto più tardi, facendo gli apicoltori”. Le loro vite si sono incrociate, infatti, grazie alla passione condivisa per le api e per il miele.  “Abbiamo iniziato insieme – racconta Paolo – ma poi per lontananza e per mancanza di tempo abbiamo preso due strade diverse”. Oggi Fabrizio ha due arnie (gli alveari artificiali) e ultimamente produce soprattutto miele per sé, mentre Paolo ha 45 famiglie di api e si è messo in regola per vendere tutto quello che produce: miele, propoli e cera d’api biologiche.

“L’idea iniziale – racconta Paolo – era di produrre il miele per casa”. Quindi aveva contattato un apicoltore: “Io ti aiuto, tu mi insegni”, gli aveva proposto Paolo. Dopo aver imparato, andava a Cupramontana e insegnava a sua volta a suo fratello, che intanto studiava l’apicoltura sui libri. “La stagione successiva abbiamo iniziato con due famiglie di api. Le tenevamo a casa di Fabrizio, quella dove vive anche ora, e le allevavamo insieme”.

IMG_4979“Poi per me è diventato troppo scomodo – continua – perché da Falconara a Cupramontana i chilometri sono tanti. La strada sterrata che conduce a casa di Fabrizio d’inverno è impraticabile. Inoltre era complicato sincronizzare gli impegni e anche solo contattarlo, visto che non ha il telefono”. Paolo, invece, purtroppo non può farne a meno: “Il cellulare ce l’ho da poco. Non sono un tipo tecnologico, amo camminare e non mi piace stare al telefono. Però per lavoro ho dovuto usare di più sia l’auto che il cellulare”.

Entrambi i fratelli utilizzano un metodo lento e “non violento” per l’apicoltura, che evita di stressare le api e di provocare troppe morti. Paolo, ad esempio, preferisce non produrre la pappa reale, perché per farlo bisogna allevare molte api regine: la pappa reale è il cibo che mangiano quando sono ancora delle larve e per produrla bisogna ucciderle prima che crescano.

IMG_5107Ora Paolo tiene le sue api in un campo vicino a Chiaravalle. Da maggio a settembre l’apicoltura per lui diventa un lavoro a tempo pieno, mentre d’inverno la sua occupazione principale è fare l’educatore per disabili. Con Fabrizio si vede circa una volta al mese. “Ultimamente viene a Falconara più spesso per andare dal dentista e si ferma da me. Io comunque ancora lo aiuto con le api, gli preparo i telai, ma vado poco a casa sua”.

Fabrizio fino a qualche estate fa produceva diversi quintali di miele all’anno, con cinque arnie. “Ero davvero sulla cresta dell’onda – racconta – e insegnavo a tutti. Nessuno riusciva a produrre così tanto miele con così poche famiglie di api”. Ora purtroppo è rimasto con due arnie e ultimamente non ha più miele da vendere. “Non so come sia successo. Pensavo di sapere tutto sulle api, invece non si finisce mai di imparare”.

“Rispetto a mio fratello – spiega Paolo – io sono una via di mezzo. Anche io sono attento all’ambiente e amo l’essenzialità. Ma senza esagerare, perché la purezza non esiste e l’ansia per i dettagli alla lunga diventa un limite”.

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