Lo ‘scaricabarile’ della difesa: “Hanno sbagliato solo le imprese”

L’Eni scarica le responsabilità sui dirigenti locali e i dirigenti locali le scaricano sulle imprese che hanno usato il Cic. Questo è successo nel caso ‘black mountains’. A dimostrarlo sono le parole di Alberto Mano, avvocato difensore e figlio di uno degli indagati prosciolti, il legale rappresentante pro tempore della Pertusola Sud, Vincenzo Mano.

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L’ex Pertusola Sud, di proprietà dell’Eni

Secondo l’avvocato Mano, infatti, “se c’è stato un abuso è stato quello delle imprese che non hanno rispettato gli spessori tipici per la pavimentazione” degli spiazzi posti sotto sequestro dalla procura di Crotone nel 2008.

Mano ricostruisce i fatti a partire dagli anni Novanta: “Ci sono stati dieci anni di attività di ricerca per decidere di ‘creare’ il Cic, un catalizzatore usato per costruire mezza Norvegia – spiega il legale – e ci sono voluti tre anni per stipulare i contratti con le imprese a cui la Pertusola Sud lo ha ceduto”. La Syndial (compagnia dell’Eni che si occupa dello smaltimento), quindi, ha “stipulato contratti di vendita con due imprese dando un contributo per trasporto e posa del materiale pari a 5000 lire a tonnellata, un’inezia che non bastava neanche a coprire il carburante dei trasporti”, continua Alberto Mano.

Si arriva così al processo, nel quale la società (l’Eni) “ha provato a costituirsi parte civile per scaricare tutte le responsabilità sui dirigenti locali, non essendo citabile in giudizio per reati ambientali – racconta il legale di Vincenzo Mano – ma fortunatamente il Gup non ha accettato e lo stesso procuratore capo ha subito alzato il dito per criticare la proposta dell’Eni”.

Lo scarico di responsabilità avviene però anche da parte dei dirigenti locali: “La scoria Cubilot era un rifiuto non tossico, recuperabile con procedure semplificate – secondo Alberto Mano – se l’utilizzo del materiale non è conforme potrebbe riacquistare la qualità di rifiuto e quindi i siti interessati potrebbero essere assimilati a discariche”.

Le critiche di Mano si rivolgono in particolare al presunto abuso da parte delle due imprese nella scuola elementare di San Francesco: “Lì il Cic è stato usato in una parte asfaltata regolarmente ma anche in un’altra area verde che andava cementificata. C’era solo un po’ di terreno sopra e il Cic sotto, in un’altra parte, addirittura, non c’era né terreno né pavimentazione”.

La posizione di Mano è a difesa del Cic: “Innescato con l’acqua non è altro che un ‘pastone’ come quello per i pavimenti, il materiale diventa duro entro sei mesi e si solidifica del tutto in tre anni – continua il legale – le cessioni provate dal perito Martelloni sono conformi alla legge, che prevede che vengano fatte solo in acqua distillata, non con gli acidi come fatto dal professor Sindona”.

Se c’è qualcosa che non va, quindi, secondo Mano, è probabilmente per colpa delle imprese: “Forse il Cic è stato rullato bene solo negli strati superficiali, per questo in alcuni siti il Cic risulta meno compatto”.

L’ultimo commento di Alberto Mano riguarda la scoria Cubilot, definita come “una pallina vetrosa in cui è intrappolata la scoria che può uscire solo a contatto con acidi”.

Secondo il legale, comunque, sono state anche fatte delle prove e “nel 1999 abbiamo valutato che la scoria pura è pericolosa solo se la mangi e, ovviamente, se ne mangi 800 grammi si può anche morire, ma è normale, anche se mangi 600 grammi di sabbia puoi morire”.