La terra dei veleni » eni http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti Piazzali inquinati a Crotone: un caso di cui si chiede la riapertura Wed, 23 Apr 2014 14:39:15 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.8.1 Piazzali inquinati a Crotone: un caso di cui si chiede la riapertura La terra dei veleni no Piazzali inquinati a Crotone: un caso di cui si chiede la riapertura La terra dei veleni » eni http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti L’ex Pertusola Sud: una storia di ricchezza e povertà http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/lex-pertusola-sud-una-storia-di-ricchezza-e-poverta/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/lex-pertusola-sud-una-storia-di-ricchezza-e-poverta/#comments Mon, 07 Apr 2014 11:00:15 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=30 Croce e delizia. Miseria e nobiltà. Tutto questo è stata la Pertusola Sud per la città di Crotone. Delizia e nobiltà per tutti gli anni Ottanta, quando Crotone era uno dei principali centri industriali del sud Italia. Croce e miseria dal momento della sua chiusura; da quando, cioè, si è iniziato a valutare anche l’inquinamento che la fabbrica ha portato in oltre 60 anni di attività e una volta dismessa, in tutta la città.

Pertusola

L’ex Pertusola Sud

La Pertusola Sud nasce nel 1928: in quell’anno inizia la costruzione di un impianto per la produzione dello zinco a Crotone. La fabbrica diverrà operativa nel 1932 e sarà uno dei due poli italiani dello zinco, insieme a quello di Portovesme, in Sardegna. Pertusola Sud operava nel settore della metallurgia e, nello specifico, si occupava della produzione di semilavorati e di leghe di zinco, partendo dal solfuro di zinco proveniente da Canada, Australia e Irlanda.

Crotone è stata conosciuta in tutta Italia proprio per la sua natura industriale. La Pertusola Sud (la più grande fabbrica calabrese) e la Montedison hanno reso negli anni la zona del crotonese uno dei più grandi centri industriali del Sud. Un gran numero di cittadini della zona ha lavorato nelle due fabbriche che hanno portato anche grossi benefici alla vita economica crotonese. Benefici che sono finiti con la chiusura della Pertusola Sud nel 1999.

Prima della liquidazione, avvenuta il 31 marzo 1998, la Pertusola era stata ceduta ad Enirisorse, nel 1997. La produzione cessa nel febbraio del 1999. Nel 2001 viene identificata – con il decreto legislativo 468/01 del ministero dell’Ambiente – come “sito di interesse nazionale da sottoporre ad attività di bonifica di aree industriali dismesse, della fascia costiera contaminata da smaltimento abusivo di rifiuti industriali e del relativo specchio di mare, di discariche abusive”.

La bonifica dei 500 ettari dell’ex Pertusola Sud viene affidata alla Syndial, la società del gruppo Eni specializzata nel campo del risanamento ambientale, ed ha inizio nell’ottobre del 2010. Ancora oggi sono in corso le operazioni di bonifica.

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Vista dell’ex Pertusola Sud dall’imbocco per Crotone dalla strada statale 106

Quello che resta oggi, però, è quasi soltanto l’inquinamento e la miseria che la chiusura della fabbrica ha lasciato in un territorio che aveva puntato tutto sull’industrializzazione, finita di colpo con la dismissione dell’ex Pertusola Sud. Arrivando in città le prime cose che si vedono prima di entrare a Crotone sono proprio le ciminiere della Pertusola, che svettano di fianco alla superstrada da cui si accede alla città. E ha lasciato guai relativi all’inquinamento: non solo quello presunto causato dallo smaltimento della scoria Cubilot come Cic per costruire 18 piazzali poi posti sotto sequestro dalla provincia. Ma anche quello che ha portato il tribunale di Milano a pronunciarsi in favore di un risarcimento da oltre 50 milioni di euro che l’Eni dovrà pagare alla presidenza del Consiglio per il danno ambientale causato nell’area di Crotone.

Per rendersi conto di quanto è avvenuto negli anni alla Pertusola Sud basta leggere una dichiarazione – rilasciata durante il procedimento ‘black mountains’ – di un ex operaio della fabbrica: “Quanto all’amianto posso riferire che fino agli inizi degli anni ’90, quando non si conosceva la pericolosità di tale materiale, addirittura mangiavamo con i colleghi utilizzando fogli di amianto come tavola”.

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Lo ‘scaricabarile’ della difesa: “Hanno sbagliato solo le imprese” http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/lo-scaricabarile-della-difesa-hanno-sbagliato-solo-le-imprese/ http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/2014/04/07/lo-scaricabarile-della-difesa-hanno-sbagliato-solo-le-imprese/#comments Mon, 07 Apr 2014 11:00:11 +0000 http://ifgnetwork.uniurb.it/rizzuti/?p=32 L’Eni scarica le responsabilità sui dirigenti locali e i dirigenti locali le scaricano sulle imprese che hanno usato il Cic. Questo è successo nel caso ‘black mountains’. A dimostrarlo sono le parole di Alberto Mano, avvocato difensore e figlio di uno degli indagati prosciolti, il legale rappresentante pro tempore della Pertusola Sud, Vincenzo Mano.

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L’ex Pertusola Sud, di proprietà dell’Eni

Secondo l’avvocato Mano, infatti, “se c’è stato un abuso è stato quello delle imprese che non hanno rispettato gli spessori tipici per la pavimentazione” degli spiazzi posti sotto sequestro dalla procura di Crotone nel 2008.

Mano ricostruisce i fatti a partire dagli anni Novanta: “Ci sono stati dieci anni di attività di ricerca per decidere di ‘creare’ il Cic, un catalizzatore usato per costruire mezza Norvegia – spiega il legale – e ci sono voluti tre anni per stipulare i contratti con le imprese a cui la Pertusola Sud lo ha ceduto”. La Syndial (compagnia dell’Eni che si occupa dello smaltimento), quindi, ha “stipulato contratti di vendita con due imprese dando un contributo per trasporto e posa del materiale pari a 5000 lire a tonnellata, un’inezia che non bastava neanche a coprire il carburante dei trasporti”, continua Alberto Mano.

Si arriva così al processo, nel quale la società (l’Eni) “ha provato a costituirsi parte civile per scaricare tutte le responsabilità sui dirigenti locali, non essendo citabile in giudizio per reati ambientali – racconta il legale di Vincenzo Mano – ma fortunatamente il Gup non ha accettato e lo stesso procuratore capo ha subito alzato il dito per criticare la proposta dell’Eni”.

Lo scarico di responsabilità avviene però anche da parte dei dirigenti locali: “La scoria Cubilot era un rifiuto non tossico, recuperabile con procedure semplificate – secondo Alberto Mano – se l’utilizzo del materiale non è conforme potrebbe riacquistare la qualità di rifiuto e quindi i siti interessati potrebbero essere assimilati a discariche”.

Le critiche di Mano si rivolgono in particolare al presunto abuso da parte delle due imprese nella scuola elementare di San Francesco: “Lì il Cic è stato usato in una parte asfaltata regolarmente ma anche in un’altra area verde che andava cementificata. C’era solo un po’ di terreno sopra e il Cic sotto, in un’altra parte, addirittura, non c’era né terreno né pavimentazione”.

La posizione di Mano è a difesa del Cic: “Innescato con l’acqua non è altro che un ‘pastone’ come quello per i pavimenti, il materiale diventa duro entro sei mesi e si solidifica del tutto in tre anni – continua il legale – le cessioni provate dal perito Martelloni sono conformi alla legge, che prevede che vengano fatte solo in acqua distillata, non con gli acidi come fatto dal professor Sindona”.

Se c’è qualcosa che non va, quindi, secondo Mano, è probabilmente per colpa delle imprese: “Forse il Cic è stato rullato bene solo negli strati superficiali, per questo in alcuni siti il Cic risulta meno compatto”.

L’ultimo commento di Alberto Mano riguarda la scoria Cubilot, definita come “una pallina vetrosa in cui è intrappolata la scoria che può uscire solo a contatto con acidi”.

Secondo il legale, comunque, sono state anche fatte delle prove e “nel 1999 abbiamo valutato che la scoria pura è pericolosa solo se la mangi e, ovviamente, se ne mangi 800 grammi si può anche morire, ma è normale, anche se mangi 600 grammi di sabbia puoi morire”.

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