Musei virtuali:
istruzioni per l'uso
di
Paolo
Galluzzi
Professore ordinario di Storia della
Scienza all'Università di Firenze.
Direttore dell'Istituto e Museo di Storia della Scienza
di Firenze
Le
attuali istituzioni museali soffrono per la difficoltà
nella contestualizzazione delle opere esposte.
Le nuove tecnologie finora utilizzate in modo poco
efficace possono reinterpretare il ruolo dell'istituzione
museale soprattutto nella sua finalità divulgativa e
didattica.
Un
carattere tipico della recente evoluzione dei musei, che
si è venuto manifestando con particolare evidenza in
Italia, è costituito dall'intensificarsi delle
discussioni sul valore economico dei Musei e dal
crescente ricorso a competenze manageriali e di marketing
per ottimizzarne la gestione e farne crescere la
redditività.
L'imporsi di queste problematiche viene producendo una
rivoluzione silenziosa. Soprattutto in conseguenza del
fatto che i criteri di valutazione pubblica
dell'efficacia del Museo risultano sempre più calibrati
su parametri di natura economica e gestionale stanno
infatti progressivamente mutando le funzioni e le
responsabilità dei curatori dei musei.
E' insomma in atto un processo di trasformazione, che è
stato finora subìto in maniera passiva dagli operatori.
Nel dibattito attuale non assume, infatti, il rilievo che
meriterebbe l'esigenza di stabilire un equilibrio
bilanciato tra l'essenziale missione culturale ed
educativa dei musei, da un lato, e il bisogno di
garantire più elevati standards di economicità e
redditività, dall'altro.
Per raggiungere questo delicato punto di equilibrio è
necessario che l'attuazione di più efficaci modelli di
gestione e l'adozione di rigorose strategie di marketing
vengano considerati non come obbiettivi fini a se stessi,
ma come strumenti per dilatare le risorse da destinare
conservazione del patrimonio e al potenziamento
dell'azione culturale ed educativa dei musei.
Il nuovo scenario dell'economia della cultura minaccia
dunque di accentuare i limiti tradizionali della funzione
culturale ed educativa dei musei. Limiti costitutivi,
cioè non propri di questo o di quel museo, ma intrinseci
alla Forma-Museo, così come è venuta storicamente
definendosi in Europa e nel mondo Occidentale.
Dovendo forzatamente schematizzare, individuerò tali
limiti costitutivi in due caratteri fondamentali e
convergenti: la specializzazione per aree tematiche e per
generi artistici, da un lato, e, la decontestualizzazione
e atomizzazione del patrimonio, dall'altro.
Una specializzazione sempre più spinta, cioè la
progressiva separazione, prima, delle raccolte artistiche
da quelle di altro tipo (archeologiche, naturali,
etnologiche, tecnico-scientifiche, religiose, ecc.) e,
poi, per generi artistici (i dipinti separati dalle opere
di scultura, dalle arti minori, ecc.) ha segnato in
Europa lo sviluppo evolutivo del Museo dalle
cinquecentesche "camere di meraviglia e di
curiosità" fino alla situazione presente.
Questo processo di specializzazione ha favorito e al
tempo stesso legittimato la progressiva
decontestualizzazione dell'opera d'arte.
Decontestualizzazione, anzitutto, rispetto alla
produzione artistica di un determinato autore e/o di una
determinata Scuola artistica, dato che nessun museo
possiede, da solo, l'intera produzione di quell'autore o
di quella Scuola. Decontestualizzazione, inoltre,
rispetto alla fitta rete di relazioni che collegano
qualunque opera d'arte alle altre forme dell'attività
culturale, civile e sociale del proprio tempo: con i
libri conservati nelle biblioteche, con i documenti che
arricchiscono gli archivi, con le testimonianze della
vita culturale, politica, religiosa e materiale.
La specializzazione ha favorito lo sradicamento
dell'opera d'arte dal processo complessivo della
produzione culturale, della quale essa rappresenta solo
una delle espressioni. Ha, di conseguenza, stimolato la
'sacralizzazione' dell'opera e del museo, legittimandone
una fruizione esclusivamente emozionale, invece di
favorirne la contestualizzazione e il confronto. Ha
contribuito, inoltre, ad occultare l'identità complessa
della cultura artistica occidentale, costantemente
alimentata da forte insofferenza per le rigide
compartimentazioni disciplinari e caratterizzata
abitualmente da un mix di saperi tecnici, di cultura
teorica e di vivaci tensioni filosofiche, politiche,
religiose, esistenziali, ecc.
Ha avuto, infine, un ruolo determinante nel processo che
ha portato all'imporsi di un concetto parziale di
"bene culturale", un concetto nel quale poco
spazio rimane per le attività e le opere dell'ingegno
che esulino dal campo artistico-architettonico. La
marginalità dell'attenzione per il patrimonio
storico-scientifico costituisce un esempio eloquente di
questo fenomeno.
D'altra parte, i limiti di comunicazione culturale
appaiono ancora più marcati nei musei di tipo
storico-scientifico, e questo per una serie di ragioni
specifiche.
Anzitutto, l'assenza quasi totale di presentazioni
storiche delle scienze e delle tecniche nei curricula
formativi delle scuole del mondo intero comporta che i
visitatori scontino nei musei tecnico-scientifici un
handicap di conoscenze mediamente superiore a quello che
si registra nei musei artistici.
Né la situazione appare più vantaggiosa per il
visitatore di formazione scientifica, dato che essa
prescinde solitamente del tutto dalla prospettiva
storica.
Va inoltre, aggiunto che l'importanza delle collezioni
storico-scientifiche non può essere percepita attraverso
la semplice ispezione diretta dei singoli oggetti.
Occorre infatti cogliere la rete delle relazioni logiche
e cronologiche che il pezzo esaminato intrattiene con
altri oggetti (interni ed esterni alla collezione), con
le problematiche teoriche di riferimento e con gli
standards di analisi, di misurazione e di certificazione
utilizzati nel contesto nel quale fu concepito e usato.
Un'ulteriore difficoltà è costituita dal fatto che per
illustrare questo tipo di manufatti non bastano le
descrizioni puramente verbali, ma è indispensabile
evidenziarne la dinamica di funzionamento e visualizzarne
il contesto operativo.
Se questa è la situazione, in quale direzione si deve
operare perché i musei possano svolgere una funzione
culturale ed educativa più incisiva?
Una risposta concreta ai limiti derivanti
dall'atomizzazione delle opere nei musei d'arte e di
storia della scienza è offerta dalle esposizioni
temporanee, che negli ultimi venti anni sono venute
assumendo una fondamentale funzione integrativa rispetto
all'attività museale. Le mostre si fondano proprio sulla
ricomposizione di ciò che la specializzazione
istituzionale ha separato: riuniscono dipinti conservati
in collezioni diverse, li ricollegano ai disegni e agli
studi preparatori, integrano l'informazione con
l'esposizione di libri e manoscritti, strumenti
scientifici, arredi, costumi, medaglie, immagini di
personaggi, vedute di luoghi, ricostruzioni di eventi
storici e di elaborazioni intellettuali.
Un contributo ancora più rilevante alla qualificazione
delle attività di ricerca, di tutela e di valorizzazione
dei beni culturali può venire da un'accorta
utilizzazione delle nuove tecnologie.
Uno dei fattori che impediscono ai musei di svolgere una
funzione culturale più incisiva deriva dalla difficoltà
materiale di fornire l'insieme delle informazioni
necessarie per la piena comprensione delle opere esposte
da parte di utenti che parlano lingue diverse e
possiedono livelli di curiosità e di conoscenza non
omogenei. La funzione di informare e coinvolgere i
visitatori rimane infatti ancora oggi fondamentalmente
affidata nei musei a pannelli, didascalie, visite guidate
o audioguide, depliants e soprattutto cataloghi. D'altra
parte, non si possono tappezzare le pareti di pannelli
esplicativi, né tanto meno moltiplicarli nelle lingue
principali.
Tutti questi strumenti di informazione partono
solitamente dall'idea del museo come hortus conclusus,
unità microcosmica perfetta. Descrivono cioè soltanto
gli oggetti che vi sono esposti, trascurando non solo le
opere conservate nei depositi, ma soprattutto evitando i
confronti con opere, testimonianze e documenti congruenti
conservati altrove. Le informazioni fornite al visitatore
si limitano poi di solito a descrivere l'oggetto, a
datarlo, ad attribuirlo ad un autore.
Le nuove tecnologie multimediali e telematiche permettono
viceversa di presentare ogni singola opera all'interno
del reticolo delle relazioni fattuali e intellettuali
capaci di illuminarne il significato, di collegarla alla
biografia del suo autore, di spiegarne la tecnica
esecutiva e la composizione, la storia, le motivazioni
del committente, mostrando contestualmente i documenti
collegati alla sua genesi e alla sua fortuna, i disegni
preparatori, i modelli dai quali ha tratto ispirazione,
le imitazioni che ne sono derivate, ecc. Si può così
far "esplodere" l'opera nel suo contesto,
premessa fondamentale perché la visita produca un
genuino arricchimento culturale.
Per quanto attiene alle testimonianze storiche delle
scienze e delle tecniche, questi nuovi strumenti
consentono inoltre di presentarle, mediante simulazioni,
nella loro piena funzionalità, ricreandone
"virtualmente" il contesto operativo.
L'entrata in scena e la sempre più larga adozione delle
nuove tecnologie informatiche rappresenta dunque
potenzialmente un fenomeno dalla portata rivoluzionaria
per la funzione culturale dei musei, di ogni tipo di
museo.
Questo fenomeno prefigura scenari di trasformazione
ancora più radicali di quelli prodotti in passato
dall'introduzione delle tecniche di riproduzione delle
immagini attraverso l'incisione e, più tardi, mediante i
procedimenti fotografici.
Non devono, soprattutto, sfuggire le prospettive aperte
dalla possibilità di diffondere informazioni relative ai
musei attraverso le reti telematiche. I dati disponibili
presso i musei che hanno da tempo intrapreso questa
strada sono al proposito eloquenti . Basterà citare il
caso del Louvre (www.louvre) il cui web-site registra
2.500.000 accessi (hits) al mese. Se il numero di
visitatori 'virtuali' già oggi supera spesso di gran
lunga quello dei visitatori reali, con la velocizzazione
delle reti, con la crescita di qualità dell'offerta e
con la capillare diffusione delle tecnologie per il
collegamento a distanza, il numero degli utenti virtuali
diventerà in pochissimi anni incomparabilmente superiore
a quello dei visitatori reali.
Per sfruttare appieno le potenzialità di analisi e di
collegamento, di archiviazione, strutturazione e
multimedializzazione dell'informazione offerte dai nuovi
strumenti occorre però cessare di considerare la
collezione museale come un campo organicamente perfetto e
in sé plausibilmente chiuso.
E'inoltre necessario che non si limiti l'impiego di
questi nuovi mezzi alla sola costituzione di basi di dati
catalografiche.
Il catalogo on-line delle opere possedute è infatti
strumento essenziale per la conoscenza del patrimonio e
per l'esercizio delle funzioni di tutela, ma non è
affatto il mezzo più idoneo per sviluppare efficaci
strategie di comunicazione culturale nei confronti del
pubblico.
La scheda, col suo taglio anagrafico-catastale,
rappresenta per l'utente uno strumento freddo e
inadeguato, che mantiene la centralità assoluta
dell'oggetto, descritto più che spiegato, e,
soprattutto, considerato come entità individuale
irrelata. La foto che accompagna la scheda catalografica,
d'altra parte -esattamente come nelle carte d'identità o
nei passaporti- risponde a esigenze primarie di semplice
riconoscibilità piuttosto che essere concepita come
strumento per l'esplorazione tematico-concettuale
dell'opera.
Per attirare l'attenzione del pubblico e informarlo
convenientemente occorrono non solo o non tanto le schede
catalografiche dei singoli oggetti, ma piuttosto sistemi
multimediali capaci di coinvolgerlo nella lettura
dell'opera o della testimonianza materiale, di stimolarlo
ad approfondirne la conoscenza, a esplorarla, sia
visivamente sia concettualmente, aprendo i collegamenti
tematici e intellettuali necessari per coglierne
l'importanza e per situarla in una determinata stagione
culturale.
La produzione di sistemi informativi multimediali da
parte dei musei è ancora limitata. Di questo ritardo
possono essere fornite molteplici giustificazioni: il
primato assoluto della tutela, che spinge a privilegiare
la catalogazione; la carenza di mezzi per acquisire e
aggiornare le tecnologie e i programmi necessari per
sviluppare prodotti multimediali; la scarsità o
addirittura l'assenza negli organici dei musei di figure
professionali, capaci di utilizzare questi nuovi
strumenti.
E, tuttavia, la crescita della produzione multimediale e
dell'offerta di informazioni e di servizi culturali da
parte dei Musei in Internet, appare impetuosa, come
testimonia il costante incremento del numero dei musei di
tutto il mondo registrati (oggi sono quasi 3.000) nel
web-site di The Virtual Library of Museums
(www.comlab.ox.ac.uk/archive/other/museums/). Vale, tra
l'altro, la pena sottolineare che vi sono registrati solo
22 musei italiani (cfr.
comlab.ox.ac.uk/archive/other/museums/world.html)
Si colgono, tuttavia, evidenti limiti di impostazione
nell'utilizzazione di questo nuovo canale di
comunicazione. La produzione multimediale e telematica
dei musei si mantiene infatti quasi sempre rigorosamente
aderente alla concezione e alle strategie
didattico-espositive tradizionali del Museo: ne rispetta
l'organizzazione fisica, riproducendone il carattere di
tempio-fortezza 'chiuso', dove ogni oggetto appare come
microcosmo perfettamente risolto e non come momento
dell'esperienza complessiva di un autore, o di un
movimento culturale. Vengono, per così dire, 'clonate'
nel nuovo supporto le forme tradizionali
dell'organizzazione e della comunicazione museale.
I percorsi che si invita a compiere sono solo interni.
Debordamenti o fuoriuscite da quanto conservato
nell'edificio del museo reale non sono affatto abituali,
neppure nella nuova dimensione del cyberspazio.
Troppo spesso, inoltre, questa produzione si configura
come il semplice trasferimento su supporto digitale di
libri e cataloghi a stampa.
Si osserva, infine, una tendenza diffusa, che è motivo
di seria preoccupazione. Nella gran parte dei CD ROM in
circolazione quasi mai compaiono i nomi degli autori del
progetto, della selezione delle immagini e della stesura
dei testi. Anche quando vengono citati, gli autori non
assumono affatto il rilievo giustamente centrale che
hanno da tempo conquistato sulle copertine dei libri. Si
tratta di un pessimo indizio, che dimostra quanto
largamente diffusa sia l'errata convinzione che in questo
tipo di produzione la qualità dei contenuti e
l'approfondimento dell'analisi progettuale rivestano un
valore secondario rispetto alla presentazione grafica e,
soprattutto, al dispiegamento di high tech.
Anche l'offerta relativa ai Beni Culturali disponibile in
Internet appare nel complesso deludente, mostrando i
limiti di un impiego delle nuove tecnologie non guidato
da criteri e consapevolezze precise circa gli obbiettivi
da perseguire.
Questa diffusa pratica di superficializzazione non va
tuttavia considerata intrinseca ai nuovi strumenti. Essa
deriva infatti semplicemente dal fatto che finora ha
prevalso l'atteggiamento di offrire dimostrazioni
'spinte' delle loro caratteristiche prestazionali
piuttosto che l'esigenza di riflettere sul modo più
efficace di utilizzarli per finalità culturali delle
quali si abbiano chiari opportunità, obbiettivi e metodi
attuativi. Proprio per questa ragione è assolutamente
indispensabile e urgente lo stabilirsi di collaborazioni
paritetiche tra chi domina i nuovi linguaggi e gli
esperti della comunicazione multimediale, da un lato, e
coloro che sanno cosa si deve comunicare e che sono
coscienti della necessità di non prestare passivamente
ascolto solo alle sirene dell'audience, dall'altro.
L'inerzia della funzione tradizionale del museo,
riaffermando caparbiamente nel dominio virtuale le
ragioni della specializzazione per generi e per
discipline e la reticenza alle interpolazioni tra oggetti
posseduti e documenti esterni al museo, rischia, dunque,
di vanificare questa straordinaria opportunità.
L'atteggiamento che sembra imporsi è infatti quello di
aprire le porte all'innovazione digitale, ma
sostanzialmente per perpetuare, in forme più
scintillanti, moderne e suggestive, quella missione
sacerdotale del museo-microcosmo, che oggi, davanti alle
masse sterminate dei visitatori, non solo non è più
materialmente possibile, ma non corrisponde neppure alle
aspettative e alle esigenze della società.
L'idea del museo virtuale che sembra venirsi imponendo è
quella del semplice clone digitale del museo reale, del
quale vengono accettati pregiudizialmente tutti i
vincoli: se ne ricostruiscono tridimensionalmente e con
fedele realismo le strutture murarie e le sale, si
accettano le lacune della raccolta, se ne mantengono le
settorializzazioni interne.
Per avere un senso e qualche utilità, il museo
'virtuale' dovrebbe viceversa configurarsi in maniera
diversa dal museo 'reale'. Nella dimensione del
cyberspazio quest'ultimo costituirà solo il punto di
partenza e di ritorno di percorsi non confinati al
perimetro interno del museo, né alla sola disciplina o
al genere al quale appartiene. Vi devono essere possibili
esplorazioni non solo di oggetti, ma di idee e
personaggi, di luoghi ed eventi, diversi livelli di
approfondimento, possibilità di accesso a sussidi
didattici, ecc.
Un esempio di risposta embrionale a queste esigenze è
offerto dal web-site del Metropolitan Museum di New York
(www.metmuseum.org), che presenta una sezione Education
il cui scopo è dichiaratamente quello di favorire
un'esplorazione dell'opera fondata sui collegamenti con
altri oggetti e sull'esaltazione del suo significato
concettuale: "Exploring ways in which objects relate
to each other helps us understand both individual objects
and the themes they express". Ancor più eloquente
è il motto del quale si fregia il web-site del Whitney
Museum di New York (www.echonyc.com/~whitney/index.html):
"Museums are more than bricks and mortar".
Questa medesima apertura ispira le scelte operate dagli
allestitori del sito Louvre.edu (www.louvre.edu), che
sviluppa strategie di comunicazione fondate su una
concezione d'appropriation assolutamente trasversale.
L'appropriation, cioè, "d'un rassemblement de
savoirs qui déborde largement de la cadre de l'art et
introduit le visiteur dans le monde foisonnant de la
creation artistique, de l'histoire, des religions, des
sciences, des milieux de vie et leurs contraints, des
espaces et du temps?"
Analoga è l'impostazione adottata per valorizzare il
proprio cospicuo patrimonio di strumentaria scientifica
dell'Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze
(www.imss.fi.it), che ha elaborato un complesso e
ambizioso sistema informativo, il quale consente, tra
l'altro, di esplorare la collezione non come un insieme
di oggetti isolati, ma secondo una larga varietà di
tematiche e concetti fondamentali.
La concezione ottocentesca del museo-tempio, luogo
simbolico-evocativo per eccellenza, non può essere
insomma trasferita tal quale nel cyberspazio, dove non
esistono né sale espositive, né oggetti da venerare
nell''aura' magica del museo, capace da sola di generare
emozioni che appagano l'animo, ma dove si incontrano
semplicemente delle immagini, da osservare e decodificare
col sussidio di informazioni e di confronti.
Le nuove tecnologie costituiscono un'occasione
eccezionale per rilanciare la funzione culturale e
l'azione educativa dei Musei nel Terzo Millennio.
Analoghe opportunità si aprono -come si legge in altri
saggi di questo fascicolo- anche per biblioteche,
archivi, mediateche, esposizioni itineranti, ecc.
Affinché questo obbiettivo possa essere conseguito
dovranno tuttavia essere superate molte difficoltà,
vinte molte diffidenze, introdotte figure dotate di nuove
competenze e garantite anche ai piccoli musei quelle
opportunità che oggi sono in grado di cogliere solo le
istituzioni di grandi dimensioni.
Accanto alle metafore classiche del Museo -come quelle
del Museo-Tempio e del Museo-Scuola- dovrà insomma farsi
strada e affermarsi quella del Museo-Officina. Un centro
di elaborazione di prodotti culturali realizzati e
universalmente diffusi grazie alle nuove tecnologie;
un'istituzione viva, capace di utilizzare gli strumenti
dell'innovazione per garantire un'amministrazione
efficiente del patrimonio e, soprattutto, per
corrispondere efficacemente alla propria missione
fondamentale: garantire lo sviluppo continuo delle
conoscenze e diffondere disinteressatamente la cultura.
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