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Venerdì
mattina. Salisburgo. Anche qui, al campo, è il primo ad arrivare.
La sua camminata lo spinge sempre 20 metri avanti a tutti. O forse, a
farlo, è l’entusiasmo. Non è un caso che
Robert faccia molto affidamento su Giovanni. Servono ragazzi come
lui. Per dare un futuro al lacrosse.
Giovanni non finisce di stupirsi. Ripete che “è incredibile.
Abbiamo cominciato per caso. Ci siamo trovati per caso. Prendi Damiano.
Scoppia la guerra in Iraq e viene organizzata una marcia per la pace,
di sabato, che attraversa il Circo Massimo. Una giornalista, che segue
la manifestazione, ci nota. E scrive un pezzo su di noi”. Tira fuori
dallo zainetto una fotocopia. E’ una pagina del dorso romano del
‘Corriere della Sera’. Che scopre il lacrosse. E funge da
pubblicità. “E’ grazie a quell’articolo se Damiano
è qui”.
Ventitrè anni, pilota civile, Damiano De Tomassi incarna il ‘giocatore
per caso’. Legge l’articolo e contatta Robert. Per lui, che
ha vissuto in America, il lacrosse non è del tutto sconosciuto.
Ha imparato a giocarci grazie alla ragazza, che lo pratica al college.
Va un paio di volte al Circo Massimo. Ed ora
a Salisburgo. Insieme a Giovanni è tra i più espansivi del
gruppo. Finge una competizione con Giovanni per le (poche) ragazze presenti
alle partite. Per quest’ultimo, così piccolo, poche chances.
Le
partite scorrono veloci, una dietro l’altra. In due giorni. Tre,
se si considera che già giovedì si scendeva in campo, con
l’Italia ancora in viaggio. Girone all’italiana con Danimarca,
Finlandia, Lettonia e una selezione Austria/Spagna. Due sconfitte e due
vittorie. Poi il terzo posto guadagnato nella finalina a scapito dei lettoni,
dietro Finlandia e Danimarca. E la festa al castello di Salisburgo. Giovanni
sale sul palco insieme a Robert. Ritira la coppa. Poi tutti in piedi.
E’ il momento degli inni. Quello finlandese, poi il danese.
Ecco ‘Fratelli d’Italia’. Giovanni porta la mano al
cuore e comincia a cantare. Strilla. Vuole farsi sentire più di
chi lo ha preceduto. Ma dal tavolo azzurro si alzano poche voci. Chi lo
canticchia, come Peter, chi lo segue divertito,
come Fritz. E chi rimane completamente muto,
lo sguardo nel vuoto, come Tom, John e Patrick, che in italiano sanno
dire ‘ciao’ e forse qualche parolaccia. Chissà, con
un ‘Brothers of Italy’ sarebbe stata tutta un’altra
storia.
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