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“Il
problema in Italia è la burocrazia”. Peter parla del Coni.
Un passo da compiere, il piu’ presto possibile, è quello
del riconoscimento del comitato olimpico. Ed elenca i 5 fattori necessari:
“La trasparenza finanziaria, l’aspetto tecnico, quello assicurativo,
un regolamento anti-doping, una struttura gerarchica”.
Una federazione è nata sull’onda dell’entusiasmo al
torneo di Amsterdam, tre settimane prima. Ma non esiste una sede. Non
un regolamento. Non ci sono tecnici, nè arbitri, nè scuole.
Per non parlare di soldi. Il lacrosse in Italia, per ora, è tutto
lì. Su quel campo in erba. Le magliette azzurre e l’attrezzatura
che John Klopfer e Giovanni Assettati
si sono ricordati di portare, grazie a un’e-mail di Robert
Corna (please bring 2 full extra sets of equipment including sticks).
Poi, l’arcobaleno di pantaloncini. Da queli neri di Aimone Ferrario
Bonanni a quelli biancocelesti della Lazio di Edoardo Capizzi.
L’affiliazione al Coni non sarebbe certo un punto di arrivo, ma
di partenza. “Far parte del Coni è necessario soprattutto
per una copertura assicurativa. E – prosegue Peter, la voce più
pacata – per il tesseramento dei giocatori. Senza non potrà
esistere una squadra nazionale”. Non solo. “Non potremo insegnare
il lacrosse
nelle scuole. E avere un campo a disposizione per allenarci”. Peter
è uno che non demorde. Misura le parole, i gesti, controlla le
emozioni. Tranne quando parla dei ragazzi. Ma a differenza di Robert,
non è un sognatore. E’ smaliziato, calcolatore. Pratico.
Per questo è lui ad occuparsi di lacrosse, al di fuori del campo.
“Ho buttato giù uno statuto – il tono di chi sa di
essere sulla strada giusta – e presto ci metteremo in regola”.
“Troppa burocrazia in Italia”, ripete. E scuote il capo. “Troppa
burocrazia”.
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