Prendere il sole in giardino accanto al tempio di Apollo, giocare da piccoli a ‘ritrovare statue’, aprire la porta di casa e ritrovarsi dentro Villa Adriana. Più di 2000 anni fa l’imperatore Adriano morì abbandonando il maestoso complesso monumentale che aveva fatto costruire ai piedi di Tivoli, a pochi chilometri da Roma. Ma oggi qualcuno segue i suoi stessi passi ripercorrendo la via di casa.
Dentro Villa Adriana, patrimonio dell’Unesco dal 1999, abitano due famiglie. I Bulgarini dal ‘600 vivono nell’Accademia, una zona nobile ancora quasi del tutto inesplorata. La proprietà, oggi dei trentenni Francesca e Andrea Bulgarini e della mamma Daniela, occupa circa dieci dei 120 ettari complessivi della villa. Aperta solo agli studiosi e agli archeologi, nasconde agli sguardi dei turisti ruderi, mosaici e monumenti ancora intatti. A pochi passi dall’entrata principale, abitano, invece, gli anziani coniugi D’Offizi, in una casa originariamente destinata ai guardiani. Poggiata su archi risalenti all’epoca dell’imperatore, l’abitazione è circondata da scavi archeologici. Ma vivere immersi nella storia può non essere una novità per chi nella storia ci è nato: venuto al mondo nella zona del Canopo, l’anziano proprietario ha vissuto tutta l’infanzia e l’adolescenza abitando nella villa, prima di diventarne direttore per 46 anni e decidere di far crescere lì anche i suoi figli. Una vita sulle tracce dell’imperatore con il quale condivide non solo l’indirizzo di casa ma anche il nome: Adriano.
L’animazione
A Villa Adriana ci sono luoghi in cui i turisti arrivano raramente. Luoghi che anche le mappe dimenticano. Se l’Accademia è segnalata ovunque, anche nelle carte più antiche, la casa di Adriano D’Offizi è una vera sorpresa per i visitatori. Data in concessione all’ex direttore in quanto ‘personale di servizio’, si trova a pochi passi dal tempio di Venere. Ma per arrivarci bisogna passare dall’entrata principale, la stessa dalla quale entrano milioni di turisti ogni anno. Panni stesi ad asciugare, una vecchia macchina parcheggiata fuori, attrezzi da lavoro e un giardino pieno di fiori e cianfrusaglie sono il ‘segnale’ che, pur trovandoci ancora nella villa, siamo giunti a casa di qualcuno. Una casa un pò particolare, però: i rampicanti che crescono sulla sua facciata non riescono a nascondere la struttura architettonica sulla quale poggia, risalente a quasi 2000 anni fa.
ECCO COSA VEDE ADRIANO D’OFFIZI DALLA FINESTRA Guarda le foto
Per arrivare nella proprietà dei Bulgarini, invece, bisogna costeggiare il recinto est della villa. Trovarla non è semplice: solo dopo aver percorso qualche chilometro di strada sterrata tra gli ulivi, si vede all’orizzonte la torretta di una casa. L’abitazione fu costruita nel XVII secolo dai Bulgarini che solo nel 1630, grazie ad alcuni ritrovamenti, si resero conto di aver edificato su quello che una volta era il giardino segreto dell’imperatore. E segreto lo è tutt’oggi. Nascosto tra le siepi e gli ulivi, a pochi passi da casa, si trova il Tempio di Apollo, l’edificio meglio conservato di tutto il complesso. Ma non l’unico. Una serie di ruderi ricalcano quella che Adriano avrebbe voluto far assomigliare all’Accademia di Platone; un Odeon con proscenio, orchestra e sedili in marmo si estende, invece, nella parte più a nord. E, sottoterra, un’enorme sala con soffitti alti 5 metri, chiamata Grande Trapezio, fa da raccordo a quattro gallerie. In totale dieci ettari di terreno, tutti all’interno della loro proprietà. Ma visitarla non si può, a meno di non essere archeologi o studiosi o avere il permesso della Soprintendenza dei beni archeologici del Lazio. Secondo l’articolo 104 del Codice dei beni culturali, il privato può concordare le modalità di visita del bene con il soprintendente. E i Bulgarini hanno scelto di tutelare la loro privacy. Così i loro tesori rimangono quasi del tutto ‘esclusivi’.
“Per me l’Accademia è casa. Ci sono cresciuta” – ASCOLTA L’AUDIO DI FRANCESCA
“Per noi era la normalità – racconta Francesca Bulgarini, 35 anni – quando cresci in un posto così, non fai caso ai ruderi che ti circondano, non riesci a dargli un valore. Per noi è sempre stata solo e semplicemente ‘casa’, un posto in cui correre e giocare a nascondino. Anche perchè i nascondigli non mancavano di certo!”. “La nostra ‘anormalità’ – continua Francesca – la notavamo nello stupore di chi ci veniva a trovare. Quando ero piccola la scuola ci portava in gita a Villa Adriana. Dopo il classico giro, mio padre apriva le porte del cancello di casa ai miei compagni. Erano meravigliati. Gli sembrava di entrare in un luogo proibito”. Ma crescendo Francesca ha incontrato anche chi a casa sua avrebbe voluto entrarci a tutti i costi. “A 17 anni mi fidanzai con un ragazzo. Solo qualche anno dopo mi confessò di essere uscito con me la prima volta sperando di poter entrare nell’Accademia. Voleva entrare nel mio mondo. Ci rimasi molto male, mi ricordo che mi domandavo continuamente: ‘Ma che mondo è?’”
Un mondo fatto di storia, di passeggiate a cavallo tra i ruderi, di giochi particolari. Come quelli che faceva da piccolo Adriano D’Offizi, nato nel 1931 nella zona del Canopo, che all’epoca era solo un’immensa vallata.
“Io e i miei fratelli giocavamo a fare i piccoli archeologi – racconta – nel territorio allora c’erano le case dei contadini che servivano il conte Giuseppe Fede, che nella prima metà del XVIII secolo aveva acquistato una parte della villa. La nostra era una di quelle. Il primo ad abitarla fu mio nonno, poi mio padre e poi io. Tutti qui con le nostre famiglie”. Tra scherzi ai guardiani e chiacchierate con gli archeologi, Adriano è cresciuto sognando di lavorare nella Villa e alla fine ce l’ha fatta diventandone addirittura direttore. Spinto dall’affetto per il luogo e da una certa curiosità, ha sempre cercato di promuovere il maggior numero di scavi. E, guidato dall’istinto, qualche tesoro l’ha anche scoperto. Come quando ha creduto di poter trovare qualcosa sotto alla vallata del Canopo e ha portato alla luce le cariatidi.
“Vivere dentro Villa Adriana è qualcosa di magico. Ma lo era molto di più un tempo – racconta la moglie Assuntina – nelle sere d’estate lasciavamo le finestre aperte e ci arrivava la musica dei concerti al Canopo. Gli attori che giravano i film si venivano a cambiare da noi. Io gli facevo il caffè”. Ma il ricordo dei bei tempi in cui suo marito era direttore si ombra quasi subito: “Ora c’è poca cura, poca manutenzione – spiega – iniziano i lavori di scavo poi li lasciano a metà. E così tesori importanti rimangono nascosti”.
Ma ad essere celati agli occhi dei turisti non sono solo i resti ancora sepolti. Molti visitatori ignorano che una parte della villa sia privata. “Villa Adriana abitata? Mai saputo nulla di simile”, dice Claudia, una ragazza milanese in gita. “Non ne ho mai sentito parlare”, le fa eco un altro turista. Il dubbio allora sorge spontaneo: abitare un monumento è legale? Secondo il Codice dei beni culturali, i privati possono possederne uno senza problemi. A patto, però, che se ne prendano cura. Ma gli interventi di restauro e di manutenzione costano cari e sono tutti a carico del proprietario. Solo in alcuni casi lo Stato può decidere di dare qualche contributo, sostenendo il 30% della spesa, liquidandoli solo a lavori finiti. Insomma, essere circondati dall’arte e dalla storia può essere un peso. Anche in termini di libertà. “I beni culturali non possono essere distrutti, danneggiati, adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico”, recita l’articolo 20 del Codice. E dai lavori agli spostamenti, ogni atto deve essere autorizzato dal Ministero.
Lo sanno bene i tanti proprietari di beni culturali sparsi per l’Italia. Pur non essendo mai stata fatta una stima complessiva del numero di monumenti abitati, gli esperti del settore parlano di una quantità infinita. “Dai castelli alle ville agli edifici residenziali, il nostro territorio ne è pieno – dice Mario Lolli Ghetti, architetto e direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio negli anni ’90, ora in pensione – basti pensare a Roma. Moltissimi complessi sono ancora abitati dalle nobili famiglie che li hanno costruiti, come Villa Doria Pamphili o Villa Gentili”. Dal teatro di Marcello, con i suoi appartamenti chic, alle Mura aureliane, dalle quali spuntano finestre con panni stesi ad asciugare, a via di Grotta Pinta, un intero quartiere costruito a semicerchio ricalcando l’antico teatro di Pompeo: gli esempi di monumenti abitati sono tantissimi. Ma Villa Adriana ha una particolarità. “A Roma nessun’altra area archeologica, né il Colosseo né i Fori Imperiali né le Terme di Caracalla, ha aree private – continua Lolli Ghetti – ecco perché il fatto che la villa dell’imperatore Adriano sia ‘abitata’ è così interessante”.
Se i privati hanno l’obbligo di prendersi cura dei beni culturali che possiedono, chi si prende cura di quelli appartenenti allo Stato? Spesso la mancanza di fondi penalizza il restauro e la manutenzione anche di aree archeologiche importanti come quella di Villa Adriana, che negli anni ha visto diminuire drasticamente il numero di visitatori e del personale. “Sarebbe interessante riscoprire una zona privata come quella dell’Accademia ma la villa è così immensa – dice Mario Lolli Ghetti – lo Stato dovrebbe dedicarsi prima ai beni di sua proprietà, pur continuando a vigilare su quelli in mano a privati”. Spesso proprio chi vive in un monumento è più portato a prendersene cura per il legame affettivo che ha con il posto. E per lo stesso legame teme di essere costretto ad abbandonarlo: “So che lo Stato potrebbe riprendersi la nostra proprietà da un momento all’altro espropriandoci e dandoci un corrispettivo in denaro – dice Francesca – ma quella è casa mia. Ho dei ricordi, ci sono cresciuta, mi appartiene”. Come appartiene ad Adriano D’Offizi: “Non vorrei mai dover lasciare Villa Adriana. Ho passato tutta la vita lì. Io dico sempre a tutti: ‘Quando morirò seppellitemi sotto l’albero bello, l’ulivo secolare del Canopo, accanto al quale sono nato’”.