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Se è vero che la worldmusic esiste da sempre, è anche vero che il fortunato neologismo ha cominciato a circolare in tempi più o meno recenti. Nel 1987 alcuni discografici londinesi coniarono il termine per rendere più appetibili sul mercato tutti quei dischi di musica africana e latinoamericana che rimanevano invenduti sugli scaffali dei negozi. |
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Nel frattempo leggendarie rockstar si riproponevano in veste di attenti ricercatori delle espressioni musicali più distanti. Il precursore è stato Peter Gabriel con la sua Real World Records , etichetta che in dieci anni di attività ha venduto tre milioni di dischi stanando voci e generi dal Tibet alla Lapponia, dallIndia alla Cina, dal Congo di Papa Wemba fino al Pakistan di Nusrat Fateh Ali Khan. E come Gabriel, anche lex leader dei Talking heads, David Byrne, affascinato dal panorama ritmico e melodico cubano, ha prodotto con la Luaka Bop una serie di compilation dei migliori artisti dellisola. Alla ricerca del sound etnico, si sono mosse poi anche la World Circuit ,che ha dato voce agli stessi protagonisti del progetto Buena Vista Social Club, e la collana Hemisphere della Emi. |
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La musica senza frontiere
è diventata la colonna sonora del villaggio globale
profetizzato da Marshall McLuhan scavandosi una nicchia
prima nelle metropoli: Londra, Parigi, New York. Il
crogiuolo di razze ha dato i suoi frutti
"contaminando" prima la moda di strada: kefiah,
berretti africani, borse iraniane e chador sono diventati
espressione del melting pot culturale. Poi è stata la
volta dell'ondata tribale di tatuaggi, piercing, branding
e scarification, forme di incisione e scrittura del corpo
molto poco occidentali. Sul fronte più propriamente
musicale, invece, la worldmusic deve molto
allesordio della new age music sul finire degli
anni '70. |