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Perchè un allestimento museale in
rete?
Qual è il
fine che deve spingere all'utilizzazione delle nuove
tecnologie in questo settore? Bisogna cioè ricreare
"originali digitali", "clonando" gli
originali dei nostri musei e delle nostre biblioteche
allo scopo di proteggerli, per consentirne una visita o
una consultazione non distruttiva (si pensi a una tomba
etrusca o a una monoscritto miniato)?
O,
all'opposto, si devono ricreare dei "doppi" di
originali conservati in chiese, gallerie, palazzi allo
scopo di stimolare la curiosità, spingere alla visita o
promuovere il turismo?
O, ancora,
si punta all'offerta digitale di dettagli invisibili (il
rovescio dei quadri, i matronei delle chiese, le zone
inaccessibili di castelli e palazzi storici)?
Quale poi deve essere il pubblico destinatario di un
museo virtuale?
In altri termini, il problema è se il "museo
virtuale" debba riprodurre, il più possibile da
vicino, quello reale, o se al contrario debba creare una
dimensione interamente nuova.
Una risposta può venire ripercorrendo la storia stessa
dei musei. Le collezioni dei nostri musei si sono
costituite mettendo insieme oggetti decontestualizzati.
Per esempio, un quadro spostato dall'altare di una chiesa
alla parete di una galleria, nel momento stesso in cui è
inserito in una collezione viene deviato dalla sua
funzione strettamente religiosa.
Il museo virtuale dovrebbe, dunque, contribuire a
contestualizzare nuovamente gli elementi. "Occorre
immaginare - ha spiegato il professor Salvattore Settis
dalle pagine de "Il Manifesto" una rete strutturante di
relazioni logiche, cronologiche, fra ogni singolo oggetto
e la molteplicità degli altri oggetti. Le nuove
tecnologie consentono una ricomposizione multipla, anzi
anche la simultanea presenza di più ipotesi alternative
fra cui scegliere (o non scegliere)".
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