All'angolo
tra Roma e Bombay
Il
signor Gurbachan non parla molto. Sta seduto dietro il bancone della sua videoteca,
impassibile come una divinità orientale. Sul capo un turbante azzurro che ne avvolge
i pensieri misteriosi e la faccia mezza nascosta da una barba scura. A fare da
interprete per lui è il commesso del negozio.
Il
proprietario smozzica due parole in indiano e il commesso le traduce
(e con frasi insolitamente lunghe rispetto alle poche parole pronunciate).
Siamo a via Lamarmora, a pochi metri da piazza
Vittorio, ma questa strada si direbbe un angolo di Nuova Deli. Quasi tutti
gli esercizi commerciali sono gestiti da stranieri, nell’aria c’è un odore forte
che l’olfatto non sa bene a quali spezie attribuire e le conversazioni che si
intrecciano da un uscio all’altro suonano come una musica strana.
Molti di quelli che sono venuti da Paesi lontani per stabilire qui la propria
attività non scappano dalla condanna della miseria. Il signor Punjab ammette,
via interprete, di possedere in India un albergo tutto suo. Anche il figlio
ha aperto, poco lontano dalla videoteca del padre, un negozio di orologi. Semplicemente,
per chi ha voglia di fare affari si è creato un nuovo mercato, lontano da casa
ma promettente. Un po’ alla volta gli immigrati orientali hanno creato un pezzo
di Roma tutta loro. Ci
sono i negozi che vendono i prodotti alimentari tipici delle regioni di provenienza,
quelli che espongono in vetrina gioie e manufatti dal gusto esotico, interi “call
center” che collegano telefonicamente con parti di mondo che qui neanche si sono
sentite nominare. La videoteca “Shere e Punjab” copra anch’essa una sua
nicchia di mercato. Affitta e vende video e cassette musicali indiane. I film
sono disponibili nei tre idiomi principalmente diffusi nel Paese asiatico: hindi,
punjabi e pakistani; molti hanno i sottotitoli in inglese.
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Il
commesso della videoteca
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L’industria
cinematografica di Bombay è cosa da far impallidire Hollywood quanto
a numero di pellicole realizzate ogni anno e le star di quelle produzioni sono
adorate come dovevano esserlo le prime icone della cinematografia occidentale.
“I nostri film - spiega il commesso della videoteca - sono molto diversi dai vostri.
Durano di più, dalle due alle tre ore, e sono intervellati da pezzi cantati e
ballati”. Gli
ingredienti sono quasi sempre gli stessi: storie d’amore e lunghe coreografie
da “musical”. Un genere non vicinissimo ai gusti occidentali. “Qui
a Roma - dice - ci troviamo molto bene. Non abbiamo mai avuto problemi con gli
italiani e la comunità indiana è numerosa e continua a crescere. Molti di noi
tornano spesso in India, ma non sono pochi quelli che hanno figli nati in Italia
e che sono, a tutti gli effetti, cittadini di questa nazione”. Il
signor Gurbachan, piega impercettibilmente il capo, come per approvare. Se gli
si chiede perché abbia scelto proprio l’Italia lui tace a lungo, poi, col suo
fare da oracolo risponde: “L’Italia mi piace”. |