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il cappuccino porta avanti da sempre la battaglia per
la non violenza |
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Curva
sud, che passione Sale
ancora, ma più raramente, come ai vecchi tempi sugli spalti e grida
“Maracanà Maracanà”. Con lui canta tutto
lo stadio. In versione sciarpa e cappellino si vede di meno,
adesso. E’ più impegnato nelle missioni e nel lavoro all’Oasi
francescana.
La storia di padre Fedele al San Vito comincia invece già più
di vent’anni fa, quando un uomo in un saio scalmanato in curva comincia
ad attirare l’attenzione dei più accaniti tifosi cosentini,
e a poco a poco di tutto lo stadio e della città intera. Fumogeni,
bandiere del Cosenza, padre Fedele nella mischia. Sono le scene dal San
Vito. Lì non c’è nessuno che non lo conosca. Scene
meno care alle tifoserie avversarie, come quella del Catanzaro. Tra le
squadre calabresi esiste un’atavica rivalità. Il monaco cappuccino
che attira a sé anche odi feroci, è alimentato da un vecchio
fuoco sacro: l’amore per il calcio. “Lo stesso in
fondo – raccontano i suoi ultrà – che lo aveva fatto
divertire da bimbo, entrando in convento. Lo stesso che lo aveva fatto
amare ad Acri, quando, con le partite di pallone, aveva avvicinato una
popolazione che all’inizio simpatizzava poco con lui”.
Dopo
un po’ di diffidenza padre Fedele e i “nuclei sconvolti”,
lo zoccolo duro della tifoseria cosentina, diventano un tutt’uno.
Sono a volte ragazzi ribelli quelli che allo stadio trovano una loro dimensione
alternativa alla quotidianità. La città offre poco, al di
fuori del calcio spesso non hanno niente che li coinvolga davvero. Il
monaco da parte sua si batte per un calcio che sia divertimento. “Tifo
sì violenza no” è lo slogan dei suoi striscioni.
Il risultato è un’iniziativa che acquista spessore nazionale,
i raduni ultrà, dove tifosi di squadre avversarie
si incontrano per dialogare, conoscersi. “Io volevo indirizzare
al bene le incredibili energie che vedevo in loro – racconta padre
Fedele- ed è probabilmente da questa idea che nasce, con gli ultrà,
la mensa dei poveri”. E diviene per gli ultrà
ritrovo quotidiano. Inizialmente è una piccola stanza in corso
Mazzini, nel centro della città. Sono proprio i tifosi che scorrazzano
col monaco i volontari più attivi: Sergio, Paride, Piero, Vincenzo.
Gli ultrà si improvvisano cuochi. Preparano la minestra per i senza
casa. Dalle proprie case invece portano via utensili e vettovaglie. La
regola è quella dell’autogestione, si organizza anche un
sistema di tesseramento. Sistema che dopo un po’ vacilla, nasce
qualche screzio. Non è facile gestire la mensa. Ma è proprio
questo il primo nucleo di una struttura di accoglienza che alla mensa
unirà anche le camere dove dormire e i servizi medici, l’Oasi
francescana. Le madri degli ultrà, anche quelle dei più
ribelli, si avvicinano al monaco. Si sentono più sicure sapendo
che in curva c’è anche lui. La storia cominciò così.
Oggi padre Fedele è presidente di una piccola squadra alla periferia
di Cosenza, Castiglione Cosentino.
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