Dal mercato libico sotto il Raìs a una possibile “nuova Dubai”


Pubblicato il 12/04/2012                          
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Il ristagno economico della Libia, mercato potenzialmente prezioso, ricade anche sull’Italia. La Pascucci&Vannucci ha dovuto abbandonare i suoi lavori edili a causa della guerra. Come tante altre piccole e medie imprese, non sa ancora quando potrà ricominciare a lavorare

Il campo base del cantiere a Zauia

MACERATA FELTRIA – 20 febbraio 2011. Simone Santini fugge da Tripoli, va all’aeroporto e aspetta due giorni il primo volo per l’Italia. Un aeroporto mai stato così affollato. Dopo 42 anni di regime di Muammar Gheddafi, in Libia sta scoppiando la guerra civile. “Ho sentito dei colpi da vicino come mai nella mia vita – racconta Simone – e ho avuto paura. Sono andato lì per guidare un escavatore e mi sono ritrovato in mezzo a una guerra”.

AUDIOGALLERIA “Sono andato là solo per scavare, invece ho conosciuto la guerra”

Simone Santini era a Tripoli come escavatorista per la Pascucci&Vannucci, impresa edile per costruzioni civili e industriali con sede a Macerata Feltria, in provincia di Pesaro Urbino. Al momento dello scoppio della guerra, la Pascucci&Vannucci aveva appena iniziato i lavori per la ristrutturazione e l’ampliamento dell’ospedale di Zauia, città a 50 chilometri da Tripoli. A novembre avevano spedito in Libia i mezzi necessari e a febbraio dovevano cominciare i lavori o sarebbero scaduti i termini del contratto.

Venti giorni dopo l’apertura del cantiere è scoppiata la guerra: l’azienda non è più riuscita a ottenere le fidejussioni per procedere perdendo così l’anticipo del 15% del contratto. “Siamo arrivati fino a oggi facendo i salti mortali – ammette Matteo Vannucci, uno dei titolari dell’azienda insieme al padre e ai fratelli – vendendo e ipotecando tutto ciò che avevamo perché abbiamo fatto un debito enorme con i fornitori italiani. Ci hanno preso 200mila euro di mezzi lasciandoci un foglio con scritto che finita la guerra ci avrebbero risarcito. Ma la guerra non l’hanno vinta loro”.

Matteo Vannucci: “In Libia guadagno sicuro fino allo scoppio della guerra”

Bab al Aziziyah, quartier generale di Gheddafi, distrutta

Quello libico era un mercato particolare nel quale la Pascucci&Vannucci lavorava da anni seguendo una propria precisa filosofia: mai entrare in affari in cui sono coinvolti Gheddafi o i suoi figli. “Questo è l’insegnamento fondamentale – continua Matteo Vannucci – che ci ha tramandato mio padre: Gheddafi e i suoi figli sono troppo potenti e noi, ai loro occhi, saremmo sempre ricattabili”. Un potere così forte, quello del Raìs e della sua famiglia, che ha alterato tutto il sistema economico. “La peculiarità – spiega Umberto Bonito, responsabile dell’Istituto del commercio estero di Tripoli – del mercato durante il regime era quella di fare buone leggi e non applicarle. Se in generale il sistema economico premiava e premia ancora le relazioni personali, i lavori per le grandi opere venivano addirittura assegnati per chiamata diretta della famiglia, anche se una legge sugli appalti esisteva ed era ben fatta”.

Umberto Bonito: “Ice, la stagnazione è l’eredità di Gheddafi”

Le difficoltà della Pascucci&Vannucci oggi sono le stesse di tante piccole e medie imprese italiane. A gennaio 2012, la camera di commercio italo-libica ha mandato una lettera al governo e a tutte le imprese italiane interessate sulla questione dei crediti e sospesi delle aziende nazionali in Libia al 2011. La situazione per loro non è ancora risolta perché in Libia è tutto bloccato. “Tutti aspettano – continua Umberto Bonito – di conoscere se e quando possono ricominciare a lavorare e soprattutto se e quando saranno pagati i crediti pregressi. Ora però in Libia c’è un pericoloso ristagno economico: tutto è fermo in attesa delle elezioni e ancora sono quotidiani gli scontri fra le varie fazioni che lasciano sul campo morti e feriti. Il governo transitorio doveva controllare tutti i contratti sottoscritti con Gheddafi per vedere se c’erano elementi di corruzione e, in caso negativo, confermarli. Ma ancora non è riuscito a mettere in cantiere un solo progetto”.

L’incognita sul futuro scenario della Libia rimane un problema per le imprese e quindi per ttto l’interscambio commerciale. Dal 2010 al 2011, l’export italiano nel paese nordafricano è sceso del 78,3%: tra gennaio e ottobre 2010 era 2 milioni e 119mila euro, tra gennaio e ottobre 2011 è precipitato a 460mila euro. L’export dalla regione Marche in Libia è quasi dimezzato, passando dai 45.106.340 euro nel 2010 a 26.326.802 euro nel 2011. In particolare, la provincia di Pesaro Urbino nel 2010 ha esportato in Libia 24.736.529 euro di merce che nel 2011 sono scesi a 18.499.491.

GRAFICI L’export dall’Italia crolla e dalla regione si dimezza

Parte della costa libica a Tripoli

Eppure, già con Gheddafi il mercato libico era molto appetibile per gli italiani e ora, considerando il businessdella ricostruzione, potenzialmente, potrebbe risollevare le sorti di molte aziende italiane in crisi. “I libici – dice Matteo Vannucci – preferiscono noi italiani perché ci sentono culturalmente più vicini, quindi per noi le possibilità di lavoro sarebbero enormi. La Libia può essere la nuova Dubai, e anche meglio: ha una ricchezza enorme solo per 6 milioni di abitanti, è più vicino all’Europa e solo con il gas e il petrolio potrebbe diventare un gioiello del Mediterraneo. Se il nuovo governo trattenesse anche solo il 20% della ricchezza del paese, e non l’80% come faceva Gheddafi, ci sarebbe uno sviluppo straordinario”.

Uno sviluppo straordinario che deve prima fare i conti con l’eredità lasciata da Gheddafi. “Manca ancora – spiega Umberto Bonito da Tripoli – un solido sistema sia politico che legislativo: non è chiaro quali siano le norme applicabili, né dove e quando poterle applicare. Oggi l’economia libica si basa sull’anarchia e l’invadenza, sui capricci dei funzionari o delle istituzioni, spesso in contrapposizione tra di loro. Serve del tempo: io credo che l’economia del paese non ripartirà prima di gennaio 2013”.

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