il Ducato » festival del giornalismo culturale 2013 http://ifg.uniurb.it testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino Mon, 01 Jun 2015 01:40:19 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.1.5 testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato no testata online dell'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino il Ducato » festival del giornalismo culturale 2013 http://ifg.uniurb.it/wp-content/plugins/powerpress/rss_default.jpg http://ifg.uniurb.it La cultura arricchisce tasche ed esistenza http://ifg.uniurb.it/2013/05/18/ducato-online/la-cultura-arricchisce-tasche-ed-esistenza/47603/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/18/ducato-online/la-cultura-arricchisce-tasche-ed-esistenza/47603/#comments Sat, 18 May 2013 09:01:14 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=47603 Pubblichiamo l'articolo di Chiara Sparaventi, del liceo Classico Raffaello di Urbino, premiata nel concorso "Con la cultura si mangia?" nell'ambito del Festival del giornalismo culturale tenutosi il 3 e 4 maggio
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URBINO – Pubblichiamo l’articolo di Chiara Sparaventi, del liceo Classico Raffaello di Urbino, premiata nel concorso “Con la cultura si mangia?” nell’ambito del festival del giornalismo culturale.

Gli uomini nutrendosi di cultura soddisfano un’esigenza naturale, conquistano la libertà, sviluppano una società civile e possono sfruttarla come trampolino di lancio per una grande crescita economica. La pietanza che quotidianamente dovremmo porre sulle nostre tavole per assaporarla e gustarla è la cultura. Infatti la parola “cultura” deriva dal latino colere che significa “coltivare”, basterebbe questa etimologia per farci comprendere il legame tra cultura e cibo, tra il lavoro intellettuale e quello manuale: la cultura, intesa come insieme e sviluppo dei saperi, è infatti concretamente e strettamente legata al lavoro. Da qui si deduce facilmente che il primo ruolo della cultura è proprio quello di farci mangiare. Perciò la cultura permette all’uomo di soddisfare innanzitutto i suoi bisogni primari fin dalle origini poiché lo inserisce in un rapporto di scambio e di reciprocità con la natura.

Si può addirittura affermare che la cultura sia nata proprio con l’uomo nel momento in cui egli, ancora incapace di
affrontare i rischi che da ogni parte lo circondavano, ha dovuto elaborare una strategia che gli consentisse di rapportarsi con l’ambiente e di sopravvivere: così ha costruito frecce e lance. D’altronde la caccia, prima vera attività antropica a cui si deve la formazione degli iniziali agglomerati sociali, è da considerarsi la prima forma di cultura da cui hanno avuto origine tutte le successive conquiste dell’umanità.

Pertanto la cultura è l’unico mezzo che ha l’uomo per rapportarsi con l’ambiente circostante e per sfruttarne le leggi fisiche e biologiche a proprio vantaggio. Così gli esseri umani, grazie ad essa, hanno iniziato un vero e proprio processo di sviluppo in tutti i campi, dalla scoperta di nuove terre con la costruzione di mezzi di navigazione, all’ambito culinario, a quello artistico fino ad arrivare alla medicina e alla ricerca.

Dunque la cultura ha permesso all’uomo di progredire dalla sua originaria condizione di animale totalmente soggetto alla natura a quella di un essere in grado di controllarla e dominarla (talvolta anche eccessivamente). Di conseguenza la  cultura ha portato a ricchezze materiali di grande rilevanza: infatti non va dimenticato che in Italia godiamo di una grande e straordinaria fortuna, quella di possedere un gran numero di opere d’arte, musei, palazzi antichi, edifici religiosi e siti archeologici.

Secondo le stime dell’Unesco l’Italia possiede tra il 60 e il 70% del patrimonio culturale mondiale, per questo abbiamo l’obbligo di promuovere, sostenere in tutti i modi la cultura per sfruttare al massimo le potenzialità del nostro paese; infatti per troppi anni (a partire da circa mezzo secolo fa) l’Italia ha promosso un “modello di sviluppo senza ricerca” cioè senza conoscenza, puntando alla produzione di prodotti a bassa innovazione tecnologica e concentrandosi essenzialmente su due fattori: il basso costo del lavoro rispetto a quello delle economie concorrenti e la periodica svalutazione della lira. Ma da almeno vent’anni abbiamo perso queste due leve che avevano permesso al nostro paese di vantare la maggior crescita economica al mondo, così che hanno fatto irruzione sulla scena i paesi una volta chiamati “in via di sviluppo” con un costo del lavoro decisamente inferiore a quello italiano: il sistema mondiale è cambiato e non c’è più posto per la vecchia specializzazione produttiva dell’Italia per cui è necessario investire sulla produzione di altri beni, primi tra tutti quelli culturali.

I settori su cui puntare l’attenzione sono i due che in questi anni sono stati sottostimati e poco incentivati, quello della ricerca pubblica (in cui il nostro paese spende, in media, poco più di un terzo degli altri) e quello della ricerca privata (in cui l’Italia investe una quota di Pil inferiore di quattro quinti rispetto a quella degli altri paesi avanzati). Solo così si bloccherebbe la “fuga dei cervelli all’estero” e si ricaverebbero enormi vantaggi in ambito economico perché dietro ogni manifestazione artistica e culturale c’è un’economia che si muove.

Nel processo artistico sono coinvolte le scuole di formazione, i tecnici, i professionisti, le industrie e gli artigiani che forniscono materiali, strumenti e manodopera e infine molte aziende che prestano servizi. Soprattutto all’arte  contribuisce il grande pubblico che ogni giorno si riversa nei musei, cinema, teatri, auditorium, sale e locali di ogni genere.

Inoltre occorre sfruttare anche attraverso l’incentivazione del turismo la grande ricchezza del patrimonio artistico: un corretto utilizzo delle opere che possediamo produrrebbe senz’altro un consistente utile allo stato per cui sarebbe opportuno non tagliare sempre fondi all’istruzione e alla ricerca, infatti sono proprio questi i campi che permettono a un paese di progredire, di avviare uno sviluppo economico saldo e duraturo. Per cui dire che “con la cultura non si mangia” non è corretto, piuttosto bisognerebbe affermare ”con la cultura oggi si sta mangiando poco” perché non c’è, soprattutto nel nostro paese, una politica che promuova lo sviluppo culturale, ma se questa ci fosse si mangerebbe eccome!

Investire sulla cultura è fondamentale non solo per risollevare economicamente il paese ma anche e soprattutto per permettere ai cittadini di riappropriarsi delle proprie origini (l’Italia è infatti la culla della cultura europea) e per promuovere anche una crescita personale dell’individuo e sociale.

Infatti il patrimonio culturale è un veicolo determinante per formare le coscienze e il sapere, d’altra parte il verbo “mangiare” viene usato non solo in senso strettamente letterale, ma anche ad indicare la crescita delle conoscenze. Un dato curioso è che la crisi economica a cui stiamo assistendo non è riuscita a stroncare il dinamismo proprio del settore creativo che ha registrato un tasso di crescita annuale del 14% nel periodo 2002-2008. Ciò è chiaro segno che le persone non possono fare a meno di prodotti culturali ed eventi creativi, perché la cultura non è semplicemente un prodotto di
consumo ma piuttosto un generatore di utilità sociale: infatti in tempi di crisi si può rinunciare a un bene di consumo non essenziale alla sopravvivenza, ma non a un fattore così importante di sviluppo.

È necessario dunque creare una struttura culturale portante che favorisca le espressioni artistiche, la ricerca di nuovi linguaggi di comunicazione e che preservi l’immenso patrimonio di beni immateriali che ci è stato trasmesso. La stessa parola “cultura” viene troppo spesso usata per evocare immagini grigie, stanche come scaffali di libroni ingialliti e quant’altro, invece di essere compresa per tutta la sua importanza: essa ci ha consentito di diventare ciò che siamo, infatti proviamo per un momento a immaginarci senza cultura, saremmo una massa di persone ottuse e ignoranti ancora allo stadio degli uomini primitivi, dominati dall’istinto e incapaci di comunicare. Quindi quelli che affermano che “con la cultura non si mangia” dicono un’enorme falsità: è come negare la natura stessa dell’uomo, il suo passato, il suo progresso e il suo bisogno di nutrire la propria anima grazie allo sviluppo dei saperi e della conoscenza.

Infatti, in quanto uomini, non può bastarci il solo soddisfacimento dei bisogni basilari (Dante stesso afferma: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”), ma sentiamo la necessità di cogliere il significato della realtà attorno a noi e della nostra esistenza, per questo l’uomo come primo modo per padroneggiare ciò che lo circonda ha usato il linguaggio: la parola ha infatti il potere di addomesticare il mondo e di renderlo comprensibile, così nacquero la scrittura, poi le grandi narrazioni mitiche e religiose fino ad arrivare alla filosofia e alla scienza.

Infine con la cultura si mangia anche la libertà, infatti grazie allo studio e al confronto con gli altri l’uomo sviluppa un’intelligenza che gli permette di ragionare con la propria testa, senza aver bisogno che altri prendano decisioni al suo posto: così la cultura diventa come un paio d’ali con cui possiamo innalzarci sopra il mondo e prendere maggior consapevolezza della realtà. Infatti, come ci insegna la storia, i popoli più acculturati sono stati i primi a sviluppare forme di governo democratiche a difesa della libertà di ciascun cittadino.

Per tutti questi motivi da sempre gli uomini hanno sentito un enorme desiderio e bisogno di approcciarsi alla cultura (basti pensare a Petrarca che vedeva nella lettura e nella scrittura, così come nella letteratura del passato ragione e metodo di vita): infatti la cultura “insaporisce” la nostra esistenza, risponde a un’esigenza della nostra natura che ci ha creato“ animali culturali”, ci rende liberi, ci ha permesso di sviluppare una società civile e adeguatamente sfruttata può diventare il trampolino di lancio anche per una grande crescita economica.
Chiara Sparaventi

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A tu per tu con “Dio”: divo su Twitter, scrittore e cameriere nella vita reale http://ifg.uniurb.it/2013/05/11/ducato-online/a-tu-per-tu-con-dio-divo-su-twitter-scrittore-e-cameriere-nella-vita-reale/46447/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/11/ducato-online/a-tu-per-tu-con-dio-divo-su-twitter-scrittore-e-cameriere-nella-vita-reale/46447/#comments Sat, 11 May 2013 12:31:02 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=46447 [continua a leggere]]]>

La Homepage di Dio su Twitter

URBINO – Una volta le catechiste raccontavano ai bambini che per parlare con Dio bastava fare il gesto del telefono con la mano e lui ascoltava. Ora per parlare con Dio, basta avere un account su Twitter.

Dio” è un ragazzo di Foligno sulla trentina, barba incolta, laurea in filosofia (forse perché quella in teologia ce l’ha di diritto), ma soprattutto capacità di essere ovunque, almeno sul web. In una scena del film “Una settimana da Dio”, Jim Carrey, neo-assunto a interim alla carica più alta del Paradiso, capisce quanto sia frustrante dover ascoltare tutte le preghiere del mondo, come una Babele sonora che risuona nella sua testa. Anche @Iddio (questo il suo tag), è vittima di centinaia di “preghiere” ogni giorno. Tweet e menzioni a cui dover rispondere, perché Dio, come insegnavano le catechiste negli anni ’90, ascolta tutti e, a suo modo, risponde.

Dopo aver fatto discendere la sua luce sul Festival del giornalismo culturale, Dio torna nella città ducale per Branding 2.0, convegno organizzato dalla Facoltà di Sociologia sull’E-commerce e il co-working. Il suo tweet “Urbino, spianati, è Dio che lo vuole!”, fa capire che le salite di via Saffi e via Raffaello non gli vanno a genio. E’ seduto in un banchetto di un buio corridoio dell’Università di Urbino che potrebbe assomigliare tranquillamente a un confessionale, anche se, stavolta, è Dio a confessarsi.

Dio, come e quando è nata l’idea di iscriversi a Twitter? E’ stato prima o dopo il Papa?
Prima. Il profilo nasce quasi due anni fa, a maggio del 2011, quando ancora Twitter era un fenomeno poco conosciuto in Italia. Fu per gioco, perché di questo si tratta ancora.

Ma oltre a twittare follemente, come si mantiene l’onnipotente?
Dopo essermi laureato in filosofia avrei voluto insegnare ma ho perso le speranze. Al “concorsone” in cui si sarebbero dovute assegnare 11.000 nuove cattedre non sono andato. Ho fatto bene perché con la nuova legge sul lavoro chi sarebbe dovuto andare in pensione non c’è andato e dei giovani non è stato assunto nessuno. Ora scrivo per Leonardo.it e ho un programma su La3Tv, dove tengo una rubrica settimanale in cui racconto le mie migliori battute. D’estate lavoro nei catering. E’ un lavoro che mi piace perché tengo libera la mente e ho più tempo per pensare, magari osservando la gente. Sì, Dio fa anche il cameriere».

128.000 followers sono tanti, ma sono comunque meno di One Direction e Justin Bieber. Un po’ pochino per Dio.
Una volta ho superato Justin Bieber tra le persone più influenti sul social network. Youtube era primo e Alberto Savino secondo. Justin Bieber era saldamente in terza posizione e ogni tanto, dopo il suo, appariva il mio nome. È partita una campagna mediatica e tra menzioni e tweet, per un breve momento, il gradino più basso del podio è stato mio.

Era presente al Festival del giornalismo culturale di Urbino. Cosa le è piaciuto? Cosa si potrebbe migliorare?
L’unico appunto che posso fare è stato la mancanza di internet durante i dibattiti. Ho dovuto elemosinare wi-fi un po’ qui e un po’ li. Per il resto è stato un bellissimo evento. Il giornalismo culturale è molto sentito in Italia e c’è bisogno di promuoverlo. Lella Mazzoli ha detto che in Italia c’è più voglia di andare a sentire uno scrittore piuttosto che leggersi un libro. Se c’è Saviano che parla moltissima gente che magari non ha letto Gomorra vuole ascoltare quello che ha da dire. Poi forse dopo l’evento, va in libreria e se lo compra. Per questo sono importanti manifestazioni come questa. Con la cultura si mangia!

Dio, pensa che la cultura in Italia sia un po’ troppo elitaria? I social network possono aiutare i giovani a riavvicinarsi?
L’Italia ha sempre avuto una classe intellettuale gelosa del proprio ruolo. Raramente ci si è posti il problema di insegnare e diffondere il sapere a tutti. Internet e i social network non sono la soluzione. Twitter e Facebook non abituano alla lettura, anzi. Al massimo possono suggerire.

Qual è stato il tweet più ritwittato? E la domanda più strana in cui l’ hanno taggata?
Il tweet più ritwittato è sempre quello giusto al momento giusto. Quest’estate, quando l’Italia perdeva la finale degli Europei contro la Spagna, scrissi ‘Non possiamo perdere contro gente che da quattrocento anni non riesce a capire che Don Diego De la Vega è Zorro’. Furono 2000 i retweet. A chi mi obiettava che Zorro era ambientato in California dovetti spiegare che si trattava sì della California, ma durante il dominio spagnolo. La domanda più strana invece me la fece un ragazzo che mi chiese: “Dio, ma qual è il tuo primo ricordo? Essendo eterno come fai ad averne uno?”.

Progetti per il futuro, visto che anche quello è eterno?
Sto scrivendo un libro che spero uscirà presto. L’altro mio libro, scritto insieme al mio dirimpettaio, ‘Il Diavolo’ (anche lui su Twitter), ‘Iddiozie e diavolerie’, una raccolta delle nostre migliori battute il cui devoluto serve alla ricostruzione di una scuola in Emilia, non ha avuto il successo che speravo. La gente non ha fiducia, neanche se ci metti la faccia, come ho fatto io. È forse questo il danno culturale peggiore dell’Italia: la fiducia di un popolo compromessa.

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La Rete se ne frega: la cultura secondo il direttore de “Il Post” http://ifg.uniurb.it/2013/05/10/ducato-online/la-rete-se-ne-frega-la-cultura-secondo-il-direttore-de-il-post/46462/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/10/ducato-online/la-rete-se-ne-frega-la-cultura-secondo-il-direttore-de-il-post/46462/#comments Fri, 10 May 2013 16:00:17 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=46462 Il Post, spiega perché non ha senso parlare di pagine culturali per i contenuti online: "In internet gli articoli circolano per il loro valore intrinseco, non perché stanno rinchiusi in una categoria archivistica" LEGGI E SFOGLIA Il Ducato speciale L'INTERVISTA A tu per tu con "Dio": divo su Twitter, scrittore e cameriere nella vita reale]]> Quale sia la homepage de Il Post, come sia strutturata, in che sezioni sia divisa forse ai più può sfuggire, perché in genere chi fruisce dei contenuti di questa testata giornalistica nativa digitale, si ritrova a vederne scorrere gli articoli nella propria pagina Facebook o Twitter, magari subito dopo aver postato uno stato sul cielo plumbeo in piena primavera o dopo aver controllato le foto dell’amica appena tornata dalla vacanza.

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Il Post, giornale online aggregatore di notizie, nato appena qualche anno fa e diretto da Luca Sofri, è solo un grande contenitore dove si incasellano notizie che spiccano per il loro valore intrinseco a dispetto di categorie e costrizioni derivanti da una foliazione progressiva. “Noi non ci teniamo molto alla definizione di categorie – spiega il direttore della testata – investiamo molto di più sui singoli contenuti e sul loro valore di per sé indipendentemente da dove uno li voglia categorizzare. Su internet i singoli contenuti hanno capacità di diffusione e di proposizione molto autonoma: la maggior parte del nostro traffico viene ormai dai social network e dai motori di ricerca. Le persone raggiungono quei singoli articoli per il valore che hanno e per i temi di cui parlano; non lo raggiungono perché scelgono una sezione precisa del giornale nella quale cercare determinati argomenti”.

In un contesto simile di fluttuazione dei contenuti, come definire il concetto di giornalismo culturale? Sarà vera la storia da molti dibattuta che la Rete è la tomba del giornalismo culturale? Secondo Sofri, il concetto di “cultura” come categoria e recinto nel quale sistemare una certa tipologia di articoli è ormai superato in Internet. “La cosa che chiamiamo tradizionalmente pagina culturale – spiega il direttore de Il Post – è banalmente un raccoglitore di una serie di articoli ai quali associamo quella categoria, ma dietro non ci sono grandi riflessioni filosofiche o linguistiche. E’ un’etichetta archivistica non una linea editoriale, usata per classificare e ordinare i nostri contenuti da una parte e dall’altra ma non è particolarmente rilevante”.

La scelta degli articoli da convogliare nella pagina che riporta l’etichetta cultura si basa solo sui valori di qualità espositiva e contenutistica oltre che sull’interesse pubblico. I criteri sono quelli della notiziabilità giornalistica: nella pagina culturale del giornale online si possono trovare recensioni di film o libri, articoli sulla questione del diritto di autore di Harper Lee, amica di Truman Capote e autrice del noto Il buio oltre la siepe, ma anche anniversari di nascita di personaggi celebri. “Ci interessa un pezzo piuttosto che un altro, perché pensiamo possa meglio aiutare a comprendere il mondo e il cambiamento – continua Sofri – ma di fatto poco ci importa che stia nella pagina Cultura o nella pagina Mondo. Le categorizzazioni funzionano poco per l’online perché se domani cancellassimo le etichette e disassociassimo tutti i nostri pezzi, cambierebbe pochissimo. I pezzi de Il Post vivono da sé, per il loro valore e per quello che raccontano”.

Il linguaggio del web, anche in termini culturali, si presenta quindi più accessibile, meno costretto in recinti ideologici, più alla portata di tutti. E se da una parte le macrostrutture restano come grandi raccoglitori che consentono di mettere ordine nel flusso di informazioni, dall’altra anche la sintassi del giornalismo cambia e si sceglie un tipo di comunicazione che procede per immagini. Una delle prime cose che colpisce nello stile del giornale di Sofri è la grande varietà e il continuo aggiornamento di un racconto fatto da fotografie. “Abbiamo intrapreso un rapporto tradizionale con le agenzie fotografiche alle quali chiedevamo immagini per illustrare i nostri pezzi – spiega il direttore – ma la frequenza di questo rapporto ci ha fatto scoprire e trovare immagini di grandissimo valore e di grandissimo interesse di per sé. Abbiamo deciso di sfruttarle di più adattandole a dei modelli americani che qui non segue praticamente nessuno, ovvero di riproduzione e visualizzazione delle foto in formati molto grandi, valorizzati già dai computer ma molto di più dai tablet. Le sfruttiamo, quindi, per quello che ci sembra essere il loro valore e la loro qualità in termini fotografici e contenutistici ma anche in termine banalmente estetico”.

Un discorso che rimane in superficie e colpisce l’occhio senza scavare nell’anima e nella mente al contrario di quanto si ripropongono le pagine culturali dei giornali cartacei e i fortunati inserti del nostro Paese, tra i quali La Lettura del Corriere e la Domenica de Il Sole 24 Ore? “Noi – spiega Luca Sofri – tendiamo a privilegiare il racconto delle cose, delle informazioni, dei dati, vogliamo fornire strumenti per capire i fatti che succedono piuttosto che alimentare la discussione”. Un tipo di giornalismo che non potrebbe essere tacciato di autoreferenzialità, nel quale si innescano dibattiti vuoti secondo quelle che Dorfles nell’ambito del Festival del giornalismo culturale ha annoverato tra le grandi falle del nostro giornalismo culturale. Ma per il dibattito c’è spazio anche nelle testate online, tra i commenti o nelle pagine dei blogger che affollano le colonne laterali della homepage. “I blog esistono perché ci sia uno spazio di opinioni ed elaborazioni . Io non lo chiamerei – spiega Sofri – dibattito critico ma è comunque qualcosa che ci interessa ugualmente perché stimolante. Avviene in maniera molto autonoma per i singoli blogger, non c’è una progettazione complessiva”.

Se da una parte il giornalismo culturale su carta stampata, pur in una fase che è stata definita una primavera soprattutto per gli inserti e i supplementi, guarda alla Rete per sopravvivere e alimentare dibattito, riflessioni e raggiungere un numero consistente di lettori, dall’altra la Rete se ne frega. Nella Rete tutto sopravvive perché cammina sui propri piedi, scevro da categorizzazioni, mosso solo dal valore inestimabile di cui è portatore. E allora arrivederci cultura. Qualunque cosa tu sia.

 

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Dalla terz@ al web, il festival chiude i battenti: appuntamento al 2014? http://ifg.uniurb.it/2013/05/05/ducato-online/dalla-terz-al-web-il-festival-chiude-i-battenti-appuntamento-al-2014/45513/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/05/ducato-online/dalla-terz-al-web-il-festival-chiude-i-battenti-appuntamento-al-2014/45513/#comments Sun, 05 May 2013 12:37:30 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45513 LEGGI De Gregorio sul caso Boldrini: "Si parla solo di censura" / Dorfles: "Basta marchette" / Augias: "Giornalismo dimenticato" / Più o meno pop? / Giornalismo senza confini
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URBINO – “Ho seguito il festival con interesse, non mi sono mai annoiato”. Commenta così Piero Dorfles  il primo festival del giornalismo culturale che per due giorni ha portato tra le vie di Urbino alcune delle più famose firme dei giornali italiani. Tra gli arazzi della Sala del trono di Palazzo Ducale e negli eleganti ambienti del Legato Albani, esperti, cronisti e accademici si sono seduti uno di fronte all’altro e hanno raccontato la storia di una parabola discendente dell’ormai datata terza pagina.

Ad aprire l’evento le riflessioni di Corrado Augias, che ha raccontato i profondi cambiamenti della cultura italiana e del suo rapporto con i giornali. “Se c’è stato un tempo – ha spiegato alla platea – in cui il termine aveva confini ben definiti, oggi quel limite è sempre più sfumato e impercettibile”. Mentre sfogliava le pagine de Ducato, l’occhio gli è caduto sull’articolo di Laura Morelli: “’Cucinare è scrivere un libro…’ – ha letto lo scrittore – è vero, la cucina e la tradizione devono essere considerate un tassello importante del termine cultura”. Il suo intervento non ha intaccato però il tema centrale del festival, un viaggio nel mondo della cultura in cui i punti salienti della questione sono stati osservati solo da lontano.

Proprio la cultura materiale è stata al centro del secondo incontro, giù nelle cucine di Palazzo Ducale, una location ideale per uno show cooking. Nei sotterranei del palazzo il “Gastronauta” Davide Paolini ha fatto da voce narrante allo chef Marcello Leoni che, mescolando tradizione e prodotti tipici, ha cucinato macarons alla liquirizia con guanciale e ricotta su un letto di tarassaco, accompagnata da una cialda di parmigiano.

Il secondo giorno di festival, al Collegio Raffaello, è stato una vera maratona ed è cominciato con le parole pungenti e provocatorie di Piero Dorfles. Il critico letterario, in una sala gremita, è andato dietro al leggio, ha preso il microfono e per più di un’ora ha ipnotizzato il pubblico. Il suo j’accuse non ha risparmiato nessuno: direttori, società civile, scrittori emergenti ed editori, colpevoli in egual misura del declino inarrestabile della cultura nei giornali e nel paese. Un lunghissimo applauso ha concluso l’intervento, diventato ben presto la colonna portante dell’intero festival. Il nome di Dorfles è stato continuamente citato dagli altri ospiti che, accusati di essere complici del declino, hanno prontamente risposto alle provocazioni. Nel pomeriggio Dorfles ha anche premiato i tre giovani vincitori del concorso dal titolo “Con la cultura si mangia?”.

Cinque osservatori, Isabella Donfrancesco (Rai Educational), Nicola Lagioia (scrittore), Giuseppe Laterza (Laterza editore), Giuseppe Roma (Direttore del Censis) e Massimo Russo (Ifg Urbino), hanno poi ‘scattato’ una fotografia dell’informazione culturale italiana: provenienti da piattaforme informative diverse, si sono confrontati su come rilanciare gli spazi destinati alla cultura in tv, sul web e nell’editoria.

Negli ultimi anni l’informazione culturale è rimasta circoscritta agli inserti dei giornali che, dopo una breve “primavera”, sembra stiano entrando in una nuova fase di crisi. Armando Massarenti (IlSole24Ore) e Luca Mastrantonio (Corriere della Sera), partendo dalle parole di Dorfles, si sono interrogati insieme a Roberto Danese e Christian Raimo su come rilanciare questo mondo, grazie alle nuove tecnologie e a un nuovo modo di concepire la cultura, che possa essere autorevole e giocosa al tempo stesso.

Per vedere la realtà che ci circonda, a volte è necessario guardarla da fuori. Una sezione del festival è stata dedicata proprio al giornalismo culturale straniero. Lucia Magi di El Pais e Irene Velasco di El Mundo non hanno nascosto apprezzamenti per i modi e le forme che la cultura prende nei giornali italiani. Non era d’accordo il vice-direttore della rivista Internazionale, Alberto Notarbartolo, che ha individuato nel modello anglosassone il migliore esempio di giornalismo culturale europeo.

L’attualità nelle pagine culturali è una peculiarità tutta italiana. Sul tema si sono confrontati giornalisti delle più importanti testate italiane tra cui Leopoldo Fabiani di Repubblica, Marino Sinibaldi di Radio3rai , Alessandro Zaccurri di Avvenire.

Ha chiuso Concita De Gregorio, scrittrice e giornalista di Repubblica, con una lezione sul “caso Boldrini. Piuttosto che discutere del suo ultimo libro, “Io vi maledico”, la giornalista ha preferito focalizzare l’attenzione su un caso di stretta attualità, analizzando il rapporto tra violenza, web e censura.

Insomma i due giorni di festival hanno animato la città ducale, che ha risposto con partecipazione e interesse all’evento. Forse, un tema così complesso avrebbe avuto bisogno di tempi più estesi e di più incontri, magari con pause più lunghe tra l’uno e l’altro.  E mentre gli organizzatori pensano già ad una seconda edizione, rimangono i dubbi sulle profezie di Piero Dorfles: la cultura scomparirà definitivamente dai giornali?

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Chiara Sparaventi, vincitrice sezione Scuole Superiori

URBINO – Con la cultura si mangia? Da questa domanda è partito il concorso lanciato all’interno del Festival del giornalismo culturale rivolto a giovani giornalisti e studenti delle scuole. Sabato pomeriggio, nel Salone Raffaello Legato Albani, sono stati premiati i tre vincitori.

Per la sezione giovani giornalisti si sono classificati ex aequo Chiara Nardinocchi, dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino, e Marcello Gelardini, della scuola di giornalismo Lumsa di Roma. Con l’articolo Dov’è finita l’avanguardia, Chiara Nardinocchi ha descritto “la crisi dell’arte contemporanea, dando voce all’attesa di studenti e artisti che lamentano le potenzialità inespresse di un settore altrove in forte espansione”. Marcello Gelardini con L’agonia delle librerie indipendenti, pubblicato sul periodico Lumsanews, ha raccontato “la fragilità e l’importanza delle librerie indipendenti, parte significativa del nostro patrimonio culturale”.

Nella sezione Scuole Superiori è stata premiata Chiara Sparaventi, che frequenta la prima Liceo Classico dell’Istituto Raffaello di Urbino, per l’articolo La cultura arricchisce tasche ed esistenza con le motivazioni di aver scritto un articolo “ricco di dati, informazioni e passione, cogliendo il significato profondo del concetto di cultura e sottolineando con fermezza quanto la fragilità economica del nostro Paese sia correlata alla carenza di in investimenti in ricerca pubblica e privata.

Tutti i lavori presentati si sono distinti per l’originalità nel trattare temi di una realtà vicina e circoscritta. Il concorso è nato per “dare la possibilità ai giovani di avvicinarsi alla cultura: un campo grande e fruttuoso ma che per le sue dimensioni così austere può spaventare e allontanare”.

Due ulteriori premi sono stati consegnati al liceo classico Raffaello e al liceo scientifico Laurana di Urbino, per aver partecipato al concorso con idee brillanti.


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Concita De Gregorio: “Giornalista deve parlare alla testa e al cuore della gente” http://ifg.uniurb.it/2013/05/05/ducato-online/concita-de-gregorio-giornalista-deve-parlare-alla-testa-e-al-cuore-della-gente/45503/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/05/ducato-online/concita-de-gregorio-giornalista-deve-parlare-alla-testa-e-al-cuore-della-gente/45503/#comments Sun, 05 May 2013 09:13:06 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45503 [continua a leggere]]]> URBINO – Si è concluso con l’intervento della giornalista di Repubblica Concita De Gregorio la prima edizione del Festival del giornalismo culturale di Urbino. Nell’intervista rilasciata al Ducato, la scrittrice racconta il ruolo del giornalista, che deve essere competente. E come l’informazione debba esaminare la realtà con occhio critico e restituire al pubblico una storia semplice e comprensibile a tutti, a prescindere dal mezzo.

Per quanto riguarda il web: “E’ uno strumento, non si può fare campagna contro uno strumento, sarebbe come fare una campagna contro un forno. Nessuna censura quindi ma la necessità di un controllo non deve essere un tabù”. Dietro quest’affermazione c’è quello che lei chiama ‘il caso Boldrini nel quale il presidente della Camera è stata soggetto di minacce e insulti violenti tramite i social network.


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Giornalismo culturale a Urbino: le immagini che raccontano il festival http://ifg.uniurb.it/2013/05/05/ducato-online/giornalismo-culturale-a-urbino-le-immagini-che-raccontano-il-festival/45477/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/05/ducato-online/giornalismo-culturale-a-urbino-le-immagini-che-raccontano-il-festival/45477/#comments Sun, 05 May 2013 08:49:01 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45477 [continua a leggere]]]> URBINO – La fotogalleria di due giorni di incontri e dibattiti sui temi di cultura e informazione per l’evento organizzato da Lella Mazzoli e Giorgio Zanchini. Giornalisti, accademici e intellettuali italiani e stranieri ne hanno discusso analizzando tutti i media, ricevendo il favore del pubblico che ha affollato le sale di Palazzo Ducale e del Palazzo del Legato Albani


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Allievi al lavoro: backstage del Festival del giornalismo culturale http://ifg.uniurb.it/2013/05/05/ducato-online/allievi-al-lavoro-backstage-del-festival-del-giornalismo-culturale/45457/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/05/ducato-online/allievi-al-lavoro-backstage-del-festival-del-giornalismo-culturale/45457/#comments Sun, 05 May 2013 08:45:45 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45457 [continua a leggere]]]> URBINO – Mani sulle tastiere dei pc, telecamere puntate e macchine fotografiche al collo. Interviste, articoli e dirette Twitter, così la redazione del Ducato ha seguito la due giorni dedicata alla prima edizione del Festival del giornalismo culturale.


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I confini della cultura: il dibattito al festival del giornalismo di Urbino http://ifg.uniurb.it/2013/05/04/ducato-online/i-confini-della-cultura-il-dibattito-al-festival-del-giornalismo-di-urbino/45406/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/04/ducato-online/i-confini-della-cultura-il-dibattito-al-festival-del-giornalismo-di-urbino/45406/#comments Sat, 04 May 2013 20:09:57 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45406 URBINO – Nella categoria della cultura sembra che ormai ogni argomento abbia pieno titolo di rientrare: dall’economia alla scienza, dalla matematica alla bioetica. Non si possono dare dei confini a un concetto che per sua natura non ha limiti e si trasforma continuamente. Intorno a questo argomento si sono confrontati durante il festival del giornalismo culturale il giornalista dell’Avvenire Alessandro Zaccuri, che ha mediato l’incontro, Stefano Salis de Il Sole24ore, Marino Sinibaldi di Radio3Rai e la professoressa di sociologia culturale all’università di Urbino Roberta Bartoletti.

“Facciamo spesso l’errore di confinare nella cultura solo alcuni ambiti”, ha detto Salis all’inizio del suo intervento. “Dovremmo imparare ad essere più laici, a guardare il mondo con uno sguardo più ampio”. Avere una visione più aperta significa, secondo il giornalista de IlSole24ore, andare oltre il mero dato di cronaca che non deve essere il fine di un articolo, ma solo un punto da cui partire.

“Bisognerebbe sempre fare il proprio lavoro al meglio anche se nessuno poi ci legge. Dobbiamo tendere alla qualità. Un giornale dà una gerarchia alle notizie e quindi anche al mondo. Opera delle scelte ogni giorno. Per questo bisogna essere competenti, ci vuole professionalità. Saranno queste cose che ci salveranno”, ha continuato Salis che poi ha poi concluso dicendo che “l’informazione per sua natura è asimmetrica, chi parla deve sapere di più di chi legge”.

Il dibattito si è arricchito con l’intervento della professoressa Bartoletti che ha posto l’accento sulle categorie che vengono spesso utilizzata quando si parla di cultura: “Classificare è un bisogno umano innato, per questo sia i sociologi che i giornalisti quando parlano di cultura si trovano davanti agli stessi problemi”.

Il giornalista Sinibaldi ha invece mostrato come è cambiato il concetto di cultura nel tempo: “Basta vedere come si è trasformato il palinsesto di Radio3, il canale radiofonico da sempre dedicato alla cultura, per capirlo. Con il passare degli anni quello che prima non si sarebbe mai considerato cultura, ora rientra a pieno titolo in questa categoria”.

Il centro della discussione si è poi spostato sul concetto di cultura bassa e alta: “Negli altri Paesi questa distinzione è stata smantellata, in Italia questo non è avvenuto. E’ ancora radicato un certo elitarismo”, ha detto Bartoletti. Gli risponde Sinibaldi: “Negli anni alto e basso sono diventati alleati. Il vero nemico è il medio. Per uscire dalla mediocrità serve uno scarto di linguaggio e di pensiero. Un programma, un articolo è culturale solo a certe condizioni: la più importante è come si usa il linguaggio. Parlare o scrivere con dei termini appropriati, capaci di destare sorpresa, meraviglia deve diventare una priorità per chi fa informazione”.

Sinibaldi fa un esempio calzante di come si può trattare un argomento d’attualità da una prospettiva culturale: “L’Italia è uno dei pochi Paesi che ha i Cie, centri di identificazione ed espulsione. I giornalisti dovrebbero chiedersi come fanno gli altri Stati che non ce l’hanno a gestire l’immigrazione nel loro territorio. Questo significa allargare lo sguardo, questo è cultura”.

L’incontro è stato, poi,  interrotto dall’invasione pacifica degli studenti dell’università di Urbino che con megafono e striscione hanno protestato contro la decisione del rettore Stefano Pivato di cancellare la lezione che avrebbe dovuto tenere Antonio Negri il 7 maggio alla Scuola di Scienze Politiche. Politico e filosofo, Negri fu accusato di essere l’ideatore delle Brigate Rosse e il mandante del rapimento di Aldo Moro. Accuse tuttavia mai confermate. Nel 1979 è stato arrestato con l’accusa di avere partecipato a vari omicidi e sequestri. E nonostante abbia scontato la pena alla quale era stato condannato, la sua storia resta intrecciata con gli anni più bui della prima Repubblica.

“La mancata presenza di Negri all’università di Urbino rappresenta una vera e propria censura da parte del nostro rettore. E’ un abuso di potere”, ha detto una delle studentesse. Dopo aver espresso il loro dissenso, gli studenti con rispetto hanno lasciato la sala della conferenza. Ma i relatori non ignorano la protesta e Giuseppe Laterza interviene sulla questione: “Ho i miei dubbi che in una università si debba invitare un signore come Antonio Negri. Ci vogliono delle regole che non limitano la libertà di nessuno. Ha fatto degli atti devastanti e se il rettore lo invitasse si dovrebbe prendere una grande responsabilità”, ha detto l’editore.

Una ragazza del pubblico prende allora la parola: “In una università è giusto che tutti trovino lo spazio per dire la propria, anche Antonio Negri”. Si schiera con gli studenti Sinibaldi. “Che danno potrebbe fare Negri? Posso capire l’imbarazzo nell’invitarlo ma la sua è una voce importante e ormai ha scontato la sua pena”.

A concludere l’incontro è Piero Dorfles che ha spazza via ogni polemica e, cambiando argomento, offre al pubblico una riflessione amara sul nostro Paese: “In questi anni l’Italia è cresciuta e si è trasformata, quello che però non è cambiato né tanto meno aumentato è il numero dei lettori di libri e giornali. Gli italiani non leggono e invece la lettura è un esercizio astratto, apre a visioni più ampie, alla complessità della vita. Non leggere rappresenta una tragedia per il nostro Paese” e poi termina: “Il messaggio che dovremmo far passare in questo festival è che la lettura non è un privilegio ma uno strumento alla portata di tutti che rende ricchi”.

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De Gregorio sul ‘caso Boldrini': “Si parla di censura ma mai di violenza” http://ifg.uniurb.it/2013/05/04/ducato-online/de-gregorio-sul-caso-boldrini-si-parla-di-censura-ma-mai-di-violenza/45431/ http://ifg.uniurb.it/2013/05/04/ducato-online/de-gregorio-sul-caso-boldrini-si-parla-di-censura-ma-mai-di-violenza/45431/#comments Sat, 04 May 2013 19:29:43 +0000 http://ifg.uniurb.it/?p=45431 VIDEO]]> URBINO – Cosa può raccontare il Paese meglio di un caso concreto? L’incontro conclusivo del festival del giornalismo culturale  si è concentrato intorno a quello che lei stessa ha definito “Il caso Boldrini”. Concita De Gregorio, giornalista di Repubblica ed ex direttrice de L’Unità, inizialmente invitata per discutere del suo libro “ Io vi maledico”, ha fornito la sua lettura su un tema di attualità scottante, che chiama in causa il ruolo dei media e la loro funzione civile. In un paese dove la violenza di genere è all’ordine del giorno, in tutte le sue forme, dare delle regole al comportamento sul web è da considerarsi censura?

VideoConcita De Gregorio: “Giornalista deve parlare alla testa e al cuore della gente” 

Il moderatore Marino Sinibaldi, giornalista di Radio3Rai introduce l’argomento della violenza  : “Come si raccontano nel paese le aggressioni e le minacce subite dalle donne?”. Concita De Gregorio si è subito soffermata sugli attacchi subìti via web dal Presidente della Camera.

 “Il caso Boldrini, che sarà studiato nelle scuole di giornalismo nei prossimi anni, pone due temi cruciali: la violenza sessista e la sua perpetrazione su internet”. Laura Boldrini ha detto di sentirsi minacciata da quando è stata eletta Presidente della Camera. Ma dal 12 aprile quando, in visita alla sinagoga di Roma, ha espresso la sua soddisfazione per l’applicazione della legge Mancini (che condanna duramente gli insulti razzisti), le minacce nei suoi confronti si sono aggravate e sono aumentate, nel numero e nella pesantezza.

“Le violenze verbali contro le donne assumono un lessico specifico, a prescindere che si tratti di personaggi pubblici. Laura ieri ha mostrato quattro risme di fogli contenti insulti: migliaia di persone contro una sola. È  la prima volta  che le minacce su internet nei confronti di una donna, di un Presidente della Camera raggiungono una tale dimensione”. 8537 persone hanno agito attivamente per minacciare e insultare Laura Boldrini.

La giornalista di Repubblica incalza: “Ma come si fa a denunciare tutte queste persone? Il caso è mediatico, perché novemila individui sono una piccola comunità e perché ci si continua a chiedere: bisogna parlarne o no? Laura Boldrini ha deciso di  rendere pubblico il caso perché mi ha detto: c’è bisogno di sdoganare il lessico”.

“Ma come controllare questo aspetto nel web senza censura? Che ruolo hanno avuto i media nel presentare il caso? Purtroppo il tema della violenza di genere è passato totalmente sotto silenzio e i più hanno gridato contro la censura del web. Ma, come mi ha detto Laura, è necessario affrontare il problema per formulare strumenti adeguati e combatterlo”.

Marino Sinibaldi, moderatore dell’incontro, ha posto una seconda domanda. “É un paese rissoso questo?”

“Ci manca la categoria della controversia- ha proseguito l’ex direttrice de l’Unità- È un paese d’indiani e cowboy , ognuno difende con violenza le proprie posizioni. Abbiamo completamente perso la capacità di ascolto: è come se ognuno avesse l’esigenza di uno spettatore, non di un interlocutore. Così finisce il dialogo ed esistono i soliloqui. I talk show mostrano perfettamente queste dinamiche.”

Nella sua veste di giornalista e partecipante, Concita de Gregorio ha illustratole regole dell’arena televisiva, dove “Chi ha ragione ammutolisce di fronte ad aggressivi gladiatori. Dalla mancanza di dialogo nasce il germe che ha corroso il nostro sistema, in cui lo scollamento tra classe politica e cittadinanza, mai ascoltata, tocca i massimi livelli. Inneggiare alla democrazia diretta significa il fallimento di quella rappresentativa”.

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