Poco pesce, tanto gas: il prezzo dell’energia


Pubblicato il 8/03/2014                          


Una cassetta di pesce misto, quindici cassette di pannocchie e una e mezza di seppie. E´ il risultato di un’intera notte di pesca. Sono impilate sul pavimento della barca ancora incrostato di stelle marine e alghe. I pescatori le coprono veloci con del ghiaccio per conservarle mentre la barca rientra lenta verso il porto. Durante la notte Ariberto e Mario hanno lavorato molto ma il risultato non è stato proporzionato allo sforzo. Un “magro bottino” identico a quello di molti altri pescherecci appena attraccati alla banchina di Porto Garibaldi, una frazione di Comacchio in provincia di Ferrara.

“Prima – spiega Ariberto Feletti, presidente della cooperativa “Piccola grande pesca”- qui si trovava qualsiasi tipo di pesce: sogliole, seppie, triglie, scampi a volontà. Ora non c’è più niente. Fino a tre anni fa, le barche le acquistavamo, ora siamo costretti a farle demolire perché non conviene più. Mi si vuol dire che non sappiamo più pescare?”

La sua cooperativa, come tante altre dell’Emilia Romagna, è in crisi perché nel mare manca il pesce e il mercato della zona si regge, al momento, solo con la pesca delle pannocchie. “Dal 2009 – dice Ariberto carte alla mano – il mercato ha perso un milione di fatturato all’anno e nel 2012 abbiamo pescato la metà di quanto facevamo nel 2008: siamo passati da 800 tonnellate ad appena 400″.

immagine cassette selezione pesce

Da quando c’è lui il nostro mare è cambiato”. Ariberto si sporge dalla barca e indica con il dito un punto lontano all’orizzonte: “Lo vedi quel coso lì in mezzo al mare? Si chiama terminale GNL ma tutti lo chiamano rigassificatore perché trasforma il metano liquido in gas. E’ in acque venete ma la corrente va verso sud e quindi tutta l’acqua con il cloro che sputa fuori arriva da noi e fa morire i pesci e le alghe”.

 

L’energia che viene dal mare: il rigassificatore di Porto Viro
immagine terminaleIl rigassificatore di Porto Viro è il più grande d’Italia. E’ una vera e propria isola di cemento armato e acciaio adagiata sul fondo del mare Adriatico a 15 chilometri dalla costa di Porto Viro, piccolo comune in provincia di Rovigo.

Dal 2009 il suo compito è quello di trasformare il metano (che arriva su grandi navi metaniere provenienti dal Qatar) dallo stato liquido a quello gassoso con una tecnologia a “circuito aperto”: significa che sfrutta il calore dell’acqua di mare per riscaldare il metano e farlo tornare gas. L’acqua usata per questo processo, l’equivalente di 2 grattacieli da 19 piani all’ora, viene poi riversata in mare con l’aggiunta di cloro.

Il rigassificatore di Porto Viro si inserisce nella Strategia Energetica Nazionale che dal 2006 punta molto sul gas per liberare l’Italia dalla dipendenza dal gas russo e algerino.

 

Il Wwf: “Acqua sterile, pesca a rischio”
Il Wwf di Trieste dà ragione ai pescatori dell’Emilia Romagna. In una ricerca realizzata nel 2011, il comitato scientifico dell’associazione ambientalista, analizza, infatti, i possibili danni provocati dai rigassificatori a circuito aperto sulla flora e sulla fauna marina. Carlo Franzosini, biologo dell’oasi marina di Miramare è uno degli autori del saggio e secondo lui “la responsabilità è del cloro che viene unito all’acqua per la pulizia degli impianti. Questa sostanza oltre a creare dei composti tossici potenzialmente trasmissibili all’uomo, “sterilizza” l’acqua di mare togliendole tutte le sostanze nutrienti e le condizioni ambientali adatte alla vita di flora e fauna marina”.

 

La schiuma
Tra i possibili danni di un rigassificatore elencati nella ricerca del Wwf c’è anche la formazione di schiume. In effetti, a partire dal 2010, il terminale GNL di Porto Viro ha iniziato a produrre una strana schiuma bianca, alta quasi trenta centimentri, che, a più riprese, è andata a depositarsi sulle spiagge di fronte al terminale GNL. Per questo motivo la procura di Rovigo ha aperto un’indagine e iscritto nel registro degli indagati il direttore tecnico di Adriatic LNG Carlo Mangia e l’amministratore delegato della società, il canadese Graham Routledge, con l’accusa di danneggiamento aggravato e continuato dell’ambiente marino.

schiuma tagliata2Nella schiuma però, secondo la perizia realizzata dal dottor Giuseppe Perin dell’università di Venezia, non sono presenti sostanze inquinanti. La sua formazione dipende solo dal forte rimescolamento dell’acqua in uscita dal terminale GNL che provocherebbe un’alterazione della clorofilla e del fitoplacton marino contenuti nell’acqua di mare.

 

Ispra e Unimar: il rigassificatore è ok
Per capire se il rigassificatore c’entra qualcosa nel calo del pescato, sono intervenuti due importanti istituti di ricerca: Ispra e Unimar. L’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) è l’ente che si occupa anche, per conto del ministero dell’Ambiente, di realizzare monitoraggi per verificare la salute dell’habitat marino intorno al terminale GNL.

Secondo i rapporti Ispra l’impatto del rigassificatore è minimo. Tuttavia, secondo Maria Gabriella Marin e Carlotta Mazzoldi, biologhe e docenti dell’Università degli studi di Padova “non ci sono dati schiaccianti né per negare né per  affermare una responsabilità del terminale GNL nel calo del pescato o nell’alterazione dell’ambiente marino” perché “i campioni prelevati sono pochi e le repliche insufficienti”.

Secondo Marin e Mazzoldi gli studi sulla qualità dell’acqua sono diventati via via sempre più sintetici e alcuni valori che avrebbero dovuto far suonare l’allarme, sono stati trascurati. A preoccupare di più le biologhe sono stati i dati sui ricci di mare, che presentano un’alta concentrazione di sostanze tossiche.

Anche Unimar – il consorzio che riunisce i centri di ricerca del settore della pesca e acquacoltura – ha cercato di capire se il calo della pesca nell’alto Adriatico sia dovuto al rigassificatore. Spiega Enrico Casola, responsabile della ricerca: “L’indagine ha evidenziato solo una forte sofferenza economica del settore della pesca ma nessuna responsabilità del terminale GNL di Porto Levante”.

 

La scelta della Croazia
lettera croaziaNonostante le rassicurazioni dei vari istituti di ricerca, il dubbio sull’effettivo impatto ambientale di un terminale GNL a circuito aperto è rimasto ai nostri vicini di casa. Il parlamento croato aveva approvato nel 2009 un impianto simile a quello di Porto Levante nell’isola di Castelmuschio a Velia. Nel 2012 però, al momento della proroga dell’autorizzazione di impatto ambientale, l’allora ministra dell’ambiente Mirela Holy negò il rinnovo. Secondo il ministero dell’Ambiente croato “gli studi di impatto ambientale hanno trascurato di analizzare la tecnologia di raffreddamento che oggi non può essere considerata la soluzione più accettabile per l’ambiente marino”. “L’acqua di mare – si legge ancora nel documento – che entra nell’impianto ai fini del raffreddamento e alla quale si aggiungono composti di cloro, crea, in uscita, composti chimici in forma di schiuma che influenzano direttamente la flora e la fauna e soprattutto, distruggono il plancton”.

Per tutte queste ragioni e per “l’impossibilità di quantificare accuratamente in anticipo l’impatto” il ministero dell’Ambiente e della protezione della natura croato ha ritenuto “inaccettabile” la richiesta di proroga. Come a dire: “Se volete il rigassificatore vi accontentate di un impianto a circuito chiuso perché  non siamo disposti a mettere a rischio il nostro mare”.

 

 

L’immagine del rigassificatore è di proprietà di Adriatic LNG

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