L’eroe che perse un braccio: “Giovani, studiate e ribellatevi alle ingiustizie”

Raffaelle Di Pietro ora ha 88 anni; mentre combatteva nella brigata Maiella ha perso l’uso del braccio sinistro e del ginocchio destro. Ma racconta con piacere la sua Resistenza, iniziando con un invito: ” I giovani devono studiare meglio la storia del Novecento. La nostra formazione non aveva appartenenze politiche, siamo riusciti a conservare anche la nostra autonomia dall’esercito. Ma prima di tutto eravamo giovani e la ribellione alle ingiustizie fu un gesto spontaneo, naturale”.

Era il 3 febbraio 1944 quando Di Pietro fu ferito. Si trovava sul fiume Senio: “Avevo un fucile mitragliatore che serviva d’assalto, ero al servizio dei due comandanti Dubai e Filetti, che mi avevano promosso caporale maggiore. Filetti una mattina mi ordinò di sparare su un mezzo della Croce Rossa perché mi disse che conteneva munizioni e non farmaci. All’inizio mi opposi, ma poi eseguii l’ordine: il camion saltò, qualcuno morì, qualcun altro si stese a terra per evitare  i colpi. Fu il giorno successivo, quando i tedeschi spararono per rappresaglia, che rimasi ferito. Mi portarono in ospedale e, quando venne a trovarmi il comandante, mi disse che avevo fatto bene a sparare perché avevano ritrovato le munizioni”.

Il caporal maggiore Di Pietro in poche settimane viene portato in tre ospedali: Forlì, Cesena, Loreto: “Ho subito varie operazioni, ma non sono bastate a farmi recuperare il braccio e il ginocchio. Dopo mi hanno portato anche a Bari per un ultimo intervento. Sono tornato a casa il 2 giugno 1945”.

Raffaelle Di Pietro non è né il primo, né l’ultimo invalido di guerra nella sua famiglia. Il padre aveva combattuto la Prima guerra mondiale e si era opposto con forza alla scelta del figlio di entrare nelle fila della brigata Maiella, tanto da mentire agli ufficiali che si occupavano dell’arruolamento: “Io e mio cugino, stufi dei soprusi tedeschi, ci presentammo dall’ufficiale di zona che stava costituendo il gruppo. Ma mio padre ci aveva seguiti e disse che eravamo minorenni. Quella volta tornammo a casa. Poco dopo, durante un blitz in casa mia, un tedesco mi puntò una pistola alla testa. Sento ancora il freddo della canna. Dopo quell’episodio decisi di combattere”.

A Recanati Raffaele Di Pietro entra nella brigata Maiella, insieme a suo cugino, che muore dopo pochi mesi. Uno dei momenti più brutti di quell’esperienza, insieme alla battaglia di Brisighella: “Tre giorni di disastri. Facevo parte della compagnia polacca del generale Anders. Prima della battaglia venne l’ordine di attaccare la roccaforte tedesca, così l’artiglieria iniziò il bombardamento. Era già sera quando la fortezza tedesca era stata distrutta. Quindi venne il nostro turno. Ci arrampicammo lungo il dorsale della collina e andammo avanti così per ore. Era gennaio inoltrato, pioveva e nevicava. Si combatteva a pochi passi dai tedeschi”.

Ma il caporal maggiore di Brisighella ricorda soprattutto la mattina successiva: “Oscar Fuà aveva 17 anni, uno meno di me. Quando in mattinata diedero il segnale iniziammo a retrocedere a pancia in giù , come i serpenti, senza alzare la testa. Fuà era a pochi metri da me e fece per alzarsi. Gli spararono subito”. I mesi passavano anche nel rimpianto: “Nei momenti difficili pensavo: chi me lo fa fare? Ho pianto diverse volte mentre ero in montagna, per esempio quando ho saputo che mio fratello era rimasto invalido a Tripoli. Ma so di aver combattuto per una nazione migliore e questo prevale su tutto”.

Il calore delle persone aiutava i partigiani ad andare avanti, nonostante le difficoltà: “Appena ci vedevano uscivano a salutarci. Non ne potevano più di stare in casa. Ci offrivano sempre acqua calda e cibo a volontà. Le ragazze erano splendide e gentili. Appena siamo arrivati a Modigliano, tutti insieme abbiamo cantato Bella ciao“.

(Di: Maria Gabriella Lanza, Marisa Eleonora Labanca, Silvia Colangeli, Virginia Della Sala)