Dalle Hotlines, all'intesa con provider e gestori di siti. I rimedi possibili

Infanzia, tutti i pericoli del web

Tutela e diritto su Internet: uno scenario aperto



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La legge italiana (269/98)

Ecpat Italia

Interpol

Ministero dell'Interno

Ministero di Grazia
e Giustizia

Polizia di Stato

Carabinieri

Commissione europea

Telefono Arcobaleno

ComputerAngels

Pedowatch


Innocence en danger

Intervista al Garante per la privacy, Stefano Rodotà
(Repubblica.it)













La legge Usa:

Coppa (Children's online privacy protection act)

Testo capitolo 13

Testo capitolo 14


Fondazione Epic

Federal Trade
Commission


La tutela dell'infanzia corre sul filo delle "hotlines". Strumenti efficaci da affiancare a software e programmi-filtro, per una rete a misura di bambino. Ci scommettono provider e gestori internet di molti Paesi. A cominciare dagli Stati Uniti che non possiedono una legge organica in materia, ma già da tempo discutono su normative e meccanismi in difesa della privacy telematica.

In Europa i primi passi sono stati mossi a metà degli Anni '90. Nei paesi anglosassoni, in quelli scandinavi e in Italia, dove il codice condanna lo sfruttamento sessuale dei minori. Ancora troppo poco, se si pensa alle smisurate possibilità offerte da Internet e ai rischi connessi. I reati legati alla pornografia e alla prostituzione minorile proliferano nelle pagine dedicate a vojeur e pedofili. Un flusso preoccupante e difficilmente controllabile, che cresce a ritmo esponenziale con la nascita di nuovi siti (da duemila a tremila al giorno, secondo le stime).

Come attrezzarsi? Due gli strumenti: da un lato una legislazione ad hoc, dall'altro la collaborazione tra providers e associazioni internazionali. Ecco allora l'idea delle "hotlines". Indirizzi ideali a cui inviare denunce e segnalazioni dei siti illegali. Tramite e-mail, con il vantaggio di non incontrare linee telefoniche intasate.

Il destinatario sarà qualcuno in grado di fare da tramite con le forze dell'ordine. In Italia, dal '94, c'è l'Ecpat, "filiale" nostrana di un'associazione mondiale fondata tre anni prima a Bangkok, con lo scopo di combattere la pedofilia e lo sfruttamento sessuale dei bambini. Ogni giorno, nell'ufficio romano di piazza Santa Maria Liberatrice giungono messaggi e segnalazioni di siti "vietati". A raccoglierli, personale fisso e un gruppo di volontari.

"Rispondiamo ai nostri interlocutori - spiega Francoise Barner, vicepresidentessa di Ecpat Italia - affinché siano invogliati a continuare. Molti preferiscono affidare le proprie denunce alla posta elettronica piuttosto che rivolgersi ai centralini del commissariato. Ci occupiamo noi di girare queste segnalazioni all'Unità telematica della polizia e ai carabinieri. Collaboriamo anche con l'Interpol, in particolare con il Nucleo permanente per i reati contro i minori che si trova a Lione".

Presente in più di quaranta Paesi, l'Ecpat agisce d'intesa con il Governo italiano e la Commissione europea di Bruxelles. Adesso si rivolge ai providers per raggiungere gli stessi risultati ottenuti nel campo del turismo, grazie all'accordo con industrie del settore.

"L'intesa con i gestori del traffico Internet è essenziale", conferma Mara Gattoni, numero uno di Ecpat Italia. "Così come importante per noi e per gli utenti è sapere che le segnalazioni hanno poi un seguito. Certo un sito si può oscurare, ma perseguire penalmente chi fa circolare materiale pornografico è molto più difficile. Specie in quegli Stati dove le leggi non lo consentono, come la Russia, il Giappone, e in generale i Paesi dell'Est e dell'America latina".

Negli Stati Uniti

Pionieri, ma non ancora completamente in regola. Un paradosso per definire la situazione degli Stati Uniti. Sulla tutela dell'infanzia e le problematiche ad essa connesse risponde Carl kaplan, giornalista del New York Times, incontrato a Urbino durante un seminario dell'Ifg. Kaplan scrive su "CyberLaw", la sezione online dedicata al diritto e agli scenari aperti da Internet. A lui, è stato chiesto un parere sul controverso rapporto tra libertà e regole nell'universo elettronico.

Il testo dell'intervista
Ascolta Kaplan English Italiano

L'entrata in vigore del Children's online privacy protection act, ad aprile, è stata accolta con molto scetticismo. Due anni di gestazione non sono serviti ad evitare le critiche di colossi del business online, come Disney, SurfMonkey e AmericaOnline, preoccupati dalle enormi spese (circa 100 milioni di dollari l'anno) previste per adeguarsi alla nuova direttiva. E già si fa largo l'idea di usare le carte di credito dei genitori, in luogo di e-mail e numeri verdi, per ottenere l'autorizzazione alla raccolta di informazioni personali sui ragazzi che hanno meno di 13 anni.

La parola ai provider

Da un lato l'imperativo della tutela dei bambini e la lotta alla pornografia. Dall'altro, il rischio di una censura globale. In mezzo ci sono loro, le società che forniscono l'accesso a Internet: tirate in ballo, chiamate a un impegno supplementare per aumentare i controlli sul traffico in rete.

Al centro dell'attenzione, il problema della responsabilità giuridica dei gestori online e la necessità di un codice di autoregolamentazione. "D'accordo su una normativa comune, ma la responsabilità penale deve entrare in gioco solo se c'è complicità o omissione da parte dell'operatore", dice il portavoce dell'Associazione piccoli provider, Giovan Battista Frontera. "Del resto è così anche negli Usa: il gestore può controllare, blindare i siti che contengono messaggi o immagini intollerabili, ma il programma intelligente che seleziona le migliaia di contenuti del web, purtroppo, ancora non esiste". Di questo e altri aspetti della sicurezza online, Assoprovider e i gestori Internet sono chiamati a discutere questo mese al vertice di Parigi sulla criminalità informatica, seduti intorno a un tavolo con governi e associazioni internazionali. Una collaborazione che è sempre stata l'auspicio di organizzazioni come l'americana Icra (Internet content rating association), la "no profit" ideatrice del sistema-filtro Rsaci.

Ma cosa possono fare i provider per rispondere alle richieste di maggiore tutela? "Le posso dire ciò che già facciamo", risponde Angelo Falchetti, responsabile ricerca e sviluppo di Dada, legato al gruppo editoriale Monrif (Quotidiano.net) e di recente sbarcato sul web con il portale Supereva. "Una clausola del contratto impegna i nostri clienti a non diffondere materiale pornografico. C'è uno staff che ogni giorno fa monitoraggio sulle community, i newsgroup e gli altri spazi che offriamo. In genere, stabiliamo degli indici di attenzione: nelle directory dove il traffico è intenso e si scaricano file medio-piccoli, è probabile che si trovino contenuti vietati. A volte, sono nascosti da una pagina tappo e per scovarli occorre controllare direttamente sul server".

E-mail a parte, quasi tutto può essere filtrato. Quando l'illecito è palese, Dada oscura il sito e provvede ad informare l'autorità competente. Se la Digos ne fa richiesta, si può risalire persino ai dati di accesso remoto dell'utente. "Ma si badi - conclude Falchetti - sono operazioni che facciamo per scrupolo. Nessuno ci obbliga. E anche per la tutela dei minori mancano direttive precise. La responsabilità giuridica dei provider? Sarebbe come se una fabbrica che produce posate fosse responsabile per un coltello finito nelle mani del cliente sbagliato".

(maggio 2000)


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