Le
giornate, anche quelle di duro lavoro, scorrono quasi senza tempo.
Qualsiasi momento è buono per una birra o un caffè.
E quasi tutti sono buoni per mangiare: non solo cioccolatini e
cocomero, ma anche costolette e braciole. In ogni giardino
c’è un tavolo all’aperto pronto a coprirsi
di cibo e bevande.
Spesso i padroni di casa siedono a terra, senza bere nulla perché
non hanno abbastanza bicchieri. Si infilano nei buchi dei muri,
tappati malamente dalle tendine a fiori, e ne rispuntano carichi
di peperoni, birra, caffè e succo d’arancia. Dopo
la prima impressione di desolazione, si scopre che le
case abitate sono tantissime. Oltre i rovi e le erbacce
che fiancheggiano la strada, spuntano aiuole cariche di fiori.
Ci sono petunie, bocche di leone, coda del diavolo e rose rampicanti
bianche e rosse.
Da tutti i giardini si sente arrivare
la musica che tiene compagnia agli operai al lavoro.
Chi in casa non ha ancora la luce elettrica, accende al massimo
lo stereo della macchina. Mentre gli uomini lavorano, le donne
siedono fuori, affettando cipolle e buttando chili di patatine
in una friggitrice attaccata a una prolunga. Chi passa in macchina
si ferma a salutare, a dare un parere sull’andamento dei
lavori, magari ad aiutare per mezz’ora. Quando il tetto
è finito, si ammazza il maiale, si festeggia con brindisi
e spari in aria.
A
Donje Kolibe è la parrocchia il punto nevralgico
di questo brulicare di vite che si incrociano. Don Zeliko in casa
sua non è mai solo. Arriva Anto e si piazza in cucina a
fare il caffè. Neanche le otto di mattina e li raggiunge
Mara, sessant’anni, con una gonnellina viola e uno scatto
giovanile nella pedalata: viene a farsi prestare la sega elettrica
per disboscare la strada d’accesso a casa sua. Poi passano
Luka e Katiza in macchina, chiedono se serve qualcosa perché
stanno andando a far spesa in città. Dopo mezz’ora
arriva Dominika, e tutti si spostano a raccogliere prugne da lei.
Fare la grappa è un altro momento squisitamente
sociale. In case illuminate solo da una candela, non
manca la sofisticata strumentazione per misurare il tasso alcolico
della slivovica. Del resto tutto è un incongruo
miscuglio di vecchio e nuovo. Ago monta un’antenna
parabolica arrampicato su un terrazzino pericolante, Admir scende
da uno scassone di macchina e lo fotografa col suo videotelefono.
Ogni
uomo dai quindici agli ottant’anni è capace di suonare
la fisarmonica, che spunta da misteriosi angoli della
casa e diventa l’occasione per fermarsi a cantare e ballare.
Tutti conoscono i passi dei balli tradizionali. Quando nel baraccone
del Dom c’è un’igranka, una specie di festa
paesana, accorre gente anche dai paesi vicini. Dalle nonne a bambini
di tre anni, tutti si lanciano in scatenati girotondi. Ragazze
musulmane col velo (sono qui per l’estate, quasi tutte vivono
all’estero) riprendono i balli con la videocamera digitale.
E tra questi islamici la birra scorre a fiumi.
Ogni giornata appare difficile da leggere, un ammasso di chiacchiere
a vuoto e oziosa cordialità. Poi si impara che ogni gesto
ha un significato, che ogni incontro obbedisce a regole precise
e a complicate manovre di avvicinamento per ricreare uno
spirito di comunità.
Una famiglia saluta tutte le mattine, passando davanti alla casa
di Anto sul suo carro da fieno. Dopo un’intera settimana
il saluto viene per la prima volta ricambiato. “Ci
hanno sparato addosso” spiega Anto. Tra qualche giorno siederanno
insieme a bere il caffè.