Fumetti a scadenza, miti precari
Interattivo: cronologia illustrata
Parlano gli esperti

Scrittori di storie "a termine"

Vita più breve, ma comunque da eroi
(Tito Faraci)

I "buoni" fumetti prima di tutto
(Roberto Recchioni)

Benvenuti nell'era "fast food"
(Andrea Aromatico)

I "buoni" fumetti prima di tutto

Intervista a Roberto Recchioni


La critica l'ha definito la "rock star" del fumetto italiano. Negli anni, Roberto Recchioni è riuscito a diventare uno degli autori più amati. Il suo curriculum vanta sceneggiature per alcuni dei principali personaggi dell'immaginario di carta, tra cui serie a lungo termine (Diabolik, Dylan Dog) ma anche storie a cicli con una conclusione già segnata (John Doe, David Murphy 911).

Cosa cambia per chi scrive?

"Sono un autore che bada fortemente al lato "produzione" di ogni lavoro. Significa che, in genere, prima di scrivere una sola parola di sceneggiatura ho già pianificato una serie di elementi: il mercato, il pubblico di riferimento, le finalità di quello che sto scrivendo. Nello scrivere una miniserie, per esempio, bisogna rispondere a istanze diverse da quelle richieste da una serie infinita, e questo influenza non solo il modo in cui concepisco la storia nella sua totalità, ma anche ogni singolo albo. Le storie per una serie ongoing, che non prevede una conclusione, hanno la necessità di essere forti e complete anche se prese a sé. Le storie che compongono una miniserie, invece, non per forza devono "stare in piedi" autonomamente, perché sono soltanto il tassello di una storia più grande. E’ ovvio sia meglio che ogni episodio abbia una propria completezza, ma non è una condizione strettamente necessaria".

John Doe è una delle poche novità che nell'ultimo decennio è riuscita a sopravvivere nelle edicole, uscendo mensilmente come una serie regolare nonostante sia pensato e strutturato per cicli. Prima dello stop, che è comunque temporaneo, le pubblicazioni sono durate per circa sei anni e mezzo. Di questi tempi è un record. Pensa che il suo personaggio sia riuscito a diventare una sorta di piccolo mito?

"No, non lo penso. Non è un fumetto con un pubblico di massa, lo dicono le cifre del venduto. Penso che John Doe sia stato un piccolo momento importante per l'editoria a fumetti italiana. Ha ridato il via a un certo tipo di produzioni, ha saputo usare un linguaggio diverso in un formato tradizionale e ha proposto una serie di autori che hanno avuto un grande successo tanto in Italia quanto all'estero. E nella sua 'nicchia di mondo' ha venduto bene per parecchio tempo. Un piccolo pezzetto del fumetto italiano, nel nostro Paese e nel mondo, passa per le pagine di John Doe. E questa è la cosa importante. Non che sia un presunto 'mito' o meno".

Che caratteristiche deve avere un personaggio per diventare mito?

"Deve riuscire a essere trasversale, a incontrare i gusti di tante fasce di pubblico diverse tra loro. Deve arrivare a quanta più gente possibile".

C'è ancora spazio per nuovi Tex o Diabolik?

"E’ più difficile, perché il pubblico di massa non esiste più. Si è 'settorializzato', ed è sempre più complesso creare personaggi che sappiano catturare l'attenzione di appassionati di varie estrazioni".

Le sue sceneggiature per per Dylan Dog di casa Bonelli fanno discutere, e "Mater Morbi" ha creato un vero e proprio caso politico-mediatico toccando trasversalmente temi come eutanasia e accanimento terapeutico. Pensa sia l'attualità la strada da percorrere per far entrare il fumetto in un immaginario sempre meno smaliziato e sempre meno capace di sorprendere?

"I media italiani tendono a parlare di fumetti soltanto in due modi: trattandoli con affettuosa accondiscendenza (ah, i bei passatempi di una volta!) o demonizzandoli (ah, quegli strumenti del demonio che influenzano le menti deboli!). In questo contesto, un fumetto popolare che tocchi temi di attualità viene visto con sospetto perché dal loro punto di vista non è 'normale' che un fumetto (roba per bambini!) metta in scena situazioni per adulti. Certo, è ovvio che questa sia una strada per attirare l'attenzione, ma non è l'unica. E soprattutto non è detto che sia la più corretta. Sono contrario all'allergia che il fumetto (in particolare quello popolare e seriale) ha nei confronti del mondo reale e dell'attualità. Di contro, non sono nemmeno a favore della ricerca del facile sensazionalismo. Il sistema migliore per far parlare del fumetto è fare dei buoni fumetti, che non stiano a preoccuparsi troppo di non dare fastidio a nessuno ma che, allo stesso tempo, non cerchino nemmeno la polemica facile".