Il parco archeologico, una promessa mancata
Pubblicato il 1/05/2012
ROMA – “Ufficio vendite Parco delle Sabine”, recita un cartellone davanti a una serie di palazzine appena costruite. Poi, ancora, “ufficio vendite Intermedia”. A qualche chilometro c’è quello di Porta di Roma. Dall’altro lato della strada, anche quello d’Immobildream. Tutto intorno, un prato sconfinato dove, secondo il progetto di costruzione, dovevano sorgere tutti quei siti archeologici evidenziati nella mappa: un polmone culturale incastonato in mezzo alla trama dei nuovi palazzi. Ma dei percorsi archeologici sbandierati non c’è traccia. Siamo nella centralità Bufalotta: più precisamente, nel Parco delle Sabine. Un nome astutamente scelto dalla Società proprietaria dei terreni, la Porta di Roma s.r.l., che evoca una regione di importanza storica e paesaggistica come la Sabina e un episodio noto ai più: il ratto delle Sabine.
Il parco di 160 ettari, fiore all’occhiello del progetto, corre da via delle Vigne Nuove a Serpentara, da Casale Nei a Colle Salario. Tocca anche Fidene. Prima qui c’era la campagna: quell’Agro Romano suddiviso in tenute, eredità del medioevo, rette da casali. Qua e là, un rudere condiva il paesaggio. A qualche chilometro dal Parco sorge la villa di Faonte, liberto di Nerone, dove alcuni storici pensano sia morto l’imperatore. Via delle Vigne Nuove, secondo alcuni studiosi, si trova più o meno sul tracciato dell’antica via Patinaria, che correva tra Nomentana e Salaria verso Crustumerium. Solo il Grande Raccordo Anulare divide Parco delle Sabine da questo insediamento latino, situato all’interno della riserva naturale della Marcigliana e sottoposto a vincolo totale.
IL POLO COMMERCIALE E I REINTERRI. Una zona ad alta densità archeologica, insomma. Nel 2005 arriva Ikea e nello stesso anno viene rinvenuto un piccolo tesoro sotterrato: sono le testimonianze della città di Fidenae, secondo gli archeologi. Nel 2007 si aggiunge il nuovo svincolo “Bufalotta” sul Grande Raccordo Anulare. Qualche tempo dopo apre la galleria commerciale “Porta di Roma”, la più grande d’Europa. Uno dei reperti trovati nel 2005, il mosaico, finisce nella hall del centro commerciale, protetto da una teca. Poi cominciano a essere ultimate le prime palazzine e il quartiere si popola. Mentre le rovine vengono pian piano reinterrate, nel 2010 durante una riunione tra alcuni rappresentanti del quartiere e il geometra Bassini, gestore dell’area del Parco delle Sabine, quest’ultimo conferma e spiega le motivazioni : non ci sono fondi né interesse per mantenerle.
A prima vista, sembra che i costruttori siano venuti meno alla convenzione con il Comune di Roma. Nessuna delibera trovata, nessun Accordo di Programma testimonia questo cambiamento di progetto. Alla richiesta di chiarimenti, il Comune non fornisce spiegazione. Stessa storia per la Società Porta di Roma.
LE SPIEGAZIONI. Ci sono degli accordi che vincolano il costruttore a mantenere quello che ha promesso di valorizzare? Ugo Schiavoni, docente di Urbanistica all’università Tor Vergata di Roma, spiega che “spesso ci sono delle ricontrattazioni, delle varianti al piano originario. L’importante è che non vengano toccati i principi fondamentali del progetto. Ma alla fine, se (la conservazione dei reperti, ndr) c’è nelle carte scritte, questa è una cosa che deve essere fatta”.
Ascolta l’urbanista
“Evidentemente – prova a spiegare Walter Grossi, coordinatore dell’associazione nazionale archeologi – lì deve essere successo qualcosa con gli ispettori (della Soprintendenza, ndr). Oppure sono finiti i soldi. L’unico modo di conservare veramente è ricoprire tutto. Se non si prevedono all’inizio né i soldi per la valorizzazione né quelli per gli interventi successivi al post-scavo, l’unico modo è reinterrare”.
Ascolta l’archeologo