La testimone: “Ho visto
camion scaricare rifiuti
e ho raccontato tutto”


Pubblicato il 8/04/2014                          


È iniziato tutto per caso, tre mesi fa, quando il figlio Davide, guardando un video su Facebook, ha riconosciuto il terreno dove da piccolo aveva “visto l’inferno, era il terreno dove i camion mettevano i rifiuti tossici della Fonderghisa”. La signora Giannini non ci ha pensato un attimo e in un commento sotto al video ha scritto: “Ho visto tutto, i miei figli hanno visto tutto e io testimonierò”. Di certo però non si aspettava di ricevere, qualche sera dopo, la telefonata di quelle che lei stessa definisce “persone autorevoli dello Stato italiano” che la esortavano a formalizzare la sua testimonianza.

“Ho testimoniato, ho firmato e non ho avuto paura”. Forse è per questo che a Venafro tutti la chiamano ‘madre coraggio del Molise’ o ‘donna d’acciaio’, per il suo tono deciso e quasi severo, per la forza che trasmette, tradita solo dallo sguardo profondamente malinconico. Palmina Giannini, 56 anni ex professoressa di italiano, è stata messa duramente alla prova dalla vita. Prima la malattia del figlio Davide, che dalla nascita soffre di neurofibromatosi: “Ho lasciato l’insegnamento per lui, per combattere la malattia accanto a lui – racconta – gli ho insegnato a leggere e a scrivere e oggi è un ragazzo autosufficiente. Per questa malattia ho dato la vita e l’anima”. Poi i problemi del marito che, già affetto da sclerosi laterale amiotrofica, è scomparso un anno fa a causa di un tumore all’intestino.

Ma la signora Giannini ha scelto di non arrendersi, prestando il suo volto e la sua testimonianza alla battaglia contro i rifiuti tossici in Molise. La sua storia è legata a doppio filo a quella del “terreno a riposo” di Ernesto Nola, perché è proprio accanto a quel terreno che Palmina da sempre coltiva i suoi uliveti. È lì che insieme al marito portava a giocare i suoi figli ed è lì che ha visto i camion scaricare, “in buche di almeno sei metri”, “sostanze grigiastre e polveri fumanti”. “Il terreno immenso era tutto scavato – racconta Palmina – e le radici degli ulivi, enormi e così belle, venivano svuotate intorno e i fossi riempiti con rifiuti industriali”.

Sono passati più di vent’anni da quell’inferno e gli ulivi sono ancora lì. Adesso i frutti non li raccoglie più nessuno perché, dopo la bonifica del 2007, il terreno della Masseria Lucenteforte è stato messo a riposo. Una bonifica che però sembra essere avvolta da dubbi e incertezze. Da un lato “al comune di Venafro ci sono i documenti che ne attestano l’esecuzione – spiega il proprietario Ernesto Nola, aggiungendo che – è tutto alla luce del sole, io ho dovuto sostenere anche delle spese e ricordare la vicenda mi fa male e mi disgusta”. Ma dall’altro lato c’è l’evidenza: dalla terra arida e nera emergono, come se fossero ramoscelli d’erba, grandi teli di plastica, scarti di ghisa, tubi e pezzi di ferro. Non sono semplicemente adagiati, sembra che siano stati riportati in superficie da chissà quale profondità. E una domanda assilla la signora Giannini: “Perché un terreno così bello, così immenso, nel centro di una pianura sta a riposo?”.

L’ultimo ad occuparsi della tenuta di Ernesto Nola è stato Antonio Moscardino, arrestato il 19 marzo del 2004 (e rilasciato pochi giorni dopo) per traffico illecito di rifiuti speciali. Nel 1995 Moscardino fu contattato da Nola per rimediare ai danni che una prima ditta, la Bimed di Alessandro Medici, aveva causato al terreno scavando più del dovuto senza rimuovere, come pattuito, tutto lo strato pietroso. Moscardino, al tempo proprietario della ditta Raspimer, aveva il compito di riempire le buche con terreno vegetale. “Lui era quello che commerciava i residui industriali”, dichiara la signora Giannini ricordando che Moscardino propose anche a suo marito di prelevare dal loro terreno la parte letto di fiume, cioè quello strato fatto di ciottoli e grosse pietre utili alle costruzioni, e sostituirlo con terreno fertile. “Ma io dissi di no – racconta Palmina – mi arrabbiai tantissimo”. Moscardino, oltre a curare la proprietà di Ernesto Nola, a quei tempi lavorava anche per la Fonderghisa e si occupava dello smaltimento dei rifiuti industriali. La signora Giannini non si esprime sulla buona o cattiva fede di Nola, “fatto sta – aggiunge – che tutti hanno visto scaricare i rifiuti in quel terreno ma nessuno parla”.

E anche per lei, “la donna coraggio del Molise”, non è stato facile, ha aspettato diversi anni prima di raccontare tutto quello che aveva visto e vissuto. Un’attesa che la cattiva sorte le ha fatto pagare amaramente. Dopo undici anni di lavoro notturno in una fabbrica di refrigeratori, il marito di Palmina decide di andare in pensione ma pochi mesi dopo inizia a stare male, a non reggersi più in piedi. Il signor Vincenzo scopre di essere affetto da Sla. “Tutto è iniziato con un capogiro, si è sentito male mentre passava accanto al nostro uliveto – ricorda Palmina – mentre guardava quei camion scaricare”. Poco tempo dopo verrà ricoverato d’urgenza in ospedale per un’emorragia all’intestino. Il tumore lo ha portato via un anno fa, la signora Giannini è certa che le malattie del marito siano state causate da fattori ambientali: “Non so se legati a quel terreno o all’orario contribuito della fabbrica, so solo che noi siamo quello che mangiamo e siamo quello che respiriamo”.

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