Il mestiere del cavatore: gli infortuni e la sicurezza


Pubblicato il 13/04/2014                          
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Taglio con il filo diamantato

Taglio con il filo diamantato

CARRARA – Il cavatore si alza all’alba, è continuamente esposto al caldo e al freddo, i piedi sempre nel fango. Estrarre il marmo significa sudare, soffrire, lottare contro la montagna. Ma, come in ogni lotta, si può anche perdere.

Oggi il mestiere del cavatore è cambiato. I tempi in cui le grandi pareti bianche venivano abbattute con l’esplosivo e i tecchiaioli passavano intere giornate a calarsi con una fune lungo le bancate, sono ormai un ricordo. Grazie alla tecnologia e all’introduzione di moderni macchinari non è stata ridotta solo la fatica, ma sono diminuiti in maniera significativa anche gli infortuni. Ciò non toglie che quello del cavatore rimane uno dei lavori più rischiosi. Si può ancora morire in cava.

Nella provincia di Massa-Carrara dal 2005 al 2010 c’è stata una media di un infortunio mortale all’anno, anche se nel 2008 e nel 2009 non se ne è verificato nessuno. Nel 1997 le morti sul lavoro erano state tre, mentre nel 1998, nel 1999 e nel 2002, due. Ad essere diminuito sensibilmente è il numero complessivo degli infortuni, più o meno gravi, che in quasi dieci anni si è dimezzato. Dai 167 incidenti del 2005 si è passati agli 81 del 2013.

“Ad essere cambiata di più è la mentalità di chi fa questo mestiere – spiega l’ingegnere Maura Pellegri, responsabile del Dipartimento di Prevenzione e dell’Unità Funzionale Prevenzione, Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro di Massa-Carrara – c’è una maggior consapevolezza sia da parte degli imprenditori che dei cavatori. Hanno capito che si può fare molto per evitare incidenti”.

L’ingegnere Pellegri ricorda che storicamente, ma ancora nel 1997, anno in cui ha iniziato a occuparsi delle cave, c’era una sorta d’ignoranza e di fatalismo: “Chi lavorava al monte sapeva che il proprio compito era quello di strappare il materiale e sapeva anche che in questo sforzo ogni tanto qualcuno ci rimaneva sotto. Il tutto era vissuto come un destino ineluttabile, avere il nonno o lo zio morti in cava portava a una forte identificazione e a una grande empatia”.

Gli ingegneri Maura Pellegri e Domenico Gullì

Gli ingegneri Maura Pellegri e Domenico Gullì

Le problematiche del settore estrattivo, oggi come ieri, sono tante ed è per questo che viene richiesto un controllo continuo e mirato. Oltre alle normative standard, come per esempio il decreto legislativo 81/2008 che disciplina la formazione del lavoratore, gli strumenti di protezione personale e l’idoneità dei mezzi da utilizzare, esistono regole specifiche per il comparto.

“La massima che dobbiamo rispettare è quella di essere sempre presenti in cava – precisa l’ingegnere Pellegri – l’azione di controllo e informazione deve essere quotidiana. Per questo interveniamo con tre modalità diverse: con verifiche programmate, visite a sorpresa e interventi su chiamata”.

L’ingegnere Domenico Gullì spiega che la tipologia di interventi a cura dei tecnici della Asl viene decisa di anno in anno perché ogni volta è necessario insistere su un aspetto piuttosto che su un altro: “Ci sono ambiti ovviamente fissi, come ad esempio il controllo della stabilità – spiega Gullì – ma calibrare il nostro lavoro su quello che succede si è rivelato proficuo. Monitoriamo ogni singolo infortunio avvenuto in un anno così che l’anno successivo possiamo intervenire su determinati aspetti ed eventualmente modificare l’orientamento della vigilanza”.

Ambulanza infermeria del bacino di Colonnata

Ambulanza infermeria del bacino di Colonnata

Quest’anno una delle azioni su cui hanno deciso di insistere è il controllo sulle ditte in appalto per l’asportazione del detrito. Altro elemento cruciale è la vigilanza sull’organizzazione del soccorso in cava, che presenta modalità diverse rispetto alle altre attività lavorative. Al monte deve infatti essere applicato un sistema di soccorso interno in raccordo con il sistema di soccorso pubblico del 118. In ogni bacino estrattivo sono inoltre presenti le infermerie, dotate di una o due ambulanze attrezzate per viaggiare in montagna.

C’è poi il monitoraggio della coltivazione vera e propria, cioè vedere se le modalità di azione nel taglio corrispondono a quelle che le aziende hanno ipotizzato nella loro valutazione del rischio e se questa valutazione è corretta.

Non manca anche il controllo sui fumi nelle cave in galleria. Data l’equivalenza con le miniere, l’ingegnere capo ha imposto l’utilizzo di marmitte catalitiche per i mezzi d’opera. Nelle cave in sotterraneo, a differenza di quelle a cielo aperto, possono presentarsi altri problemi, come i gas di scarico e il rischio di assenza d’aria nei cunicoli in avanzamento.

“Ovviamente ogni cava è diversa dall’altra, sia per conformazione fisica che per materiale estratto – afferma l’ingegnere Pellegri – ma la tipologia di infortuni che si verificano è la stessa ed equivalenti sono i rischi. Non c’è una realtà più pericolosa dell’altra, potenzialmente lo sono tutte allo stesso modo. Una problematica che a volte si pone è quando cambiano le maestranze da una cava all’altra. Un lavoratore che è sempre stato abituato in un certo modo se va in un’altra cava è convinto di continuare a fare così. Invece deve imparare che si trova in un ecosistema diverso dove i comportamenti vanno calibrati in base alle situazioni. Se manca un’educazione da parte nostra ma anche da parte dei colleghi, è allora che possono presentarsi situazioni di pericolo”.

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