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La
comitiva sta tornando a Roma. Sul pulmino, la scena è la stessa
di 3 giorni prima: teste ciondolanti e silenzio assoluto. “E’
una pianta che sta crescendo, e comincia a dare i primi frutti”.
La metafora è di Robert. “Per anni ho seminato. Ho dedicato
interamente il mio tempo a questo sport, sacrificando il cinema. Mai avrei
pensato che potesse coinvolgermi così tanto. Ma l’albero
ha cominciato a crescere, con le mie cure. Questo sport will flourish
qui, in Italia”.
Robert guarda i suoi ragazzi come una chioccia fa con i suoi pulcini.
Sa che Giovanni e gli altri, presto,
potranno fare a meno di lui. A Salisburgo c’erano John Klopfer e
Fritz von Rundstedt, che lo hanno aiutato
a creare due nuove ‘squadre’, alla scuola St. Stephens e al
Circo Massimo; Alex Rastelli e Peter Hodkin;
Steve Fish e Matt Levy. Ma è l’entusiasmo di Giovanni e di
‘quelli del Circo Massimo’ il futuro
del lacrosse in Italia. Interamente azzurro. “Presto potrò
tornare a dedicarmi anima e corpo al cinema. In America, forse. Non lo
so. Qui purtroppo, si lavora poco. Ho fatto l’aiuto-regista di Scorsese
per ‘Gangs of New York’ e di Gibson per ‘The Passion’.
Nient’altro”.
Robert osserva il libro che ha tra le mani. Glielo ha regalato la madre.
Parla di indiani.
E ovviamente di lacrosse.
“Il mio più grande sogno? Questo”. Indica il libro.
“Un film sui nativi d’America. E sul lacrosse: non un semplice
sport, ma un modo di essere. E di vivere”. E già fa i calcoli.
“Servono due milioni di dollari. In fondo, non avevo niente neanche
qui. E i soldi per le attrezzature e i viaggi li ho trovati. Li troverò
anche per il film”.
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