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"Anche stasera ci siamo divertiti"

Uno spettacolo di burattini. Di nascosto. Con repliche tutte le sere. Tema: le baruffe di Baciccia e di sua moglie Teixinin. Teatro: la baracca n°4 del lager di Mauthausen. Unico attore protagonista il prigioniero 685, Mario Magonio. La miglior rivincita sulle guardie, la migliore alternativa al suicidio e alla disperazione.
A fine giugno, dopo settimane di incertezza, ecco il trasferimento alla Demag di Falkensee: una fabbrica nei pressi di Berlino “... dove si montava un carro armato ogni venti minuti”. Mario è addetto alla catena di montaggio e alle presse del proiettificio: “Durante una rassegna un ufficiale azionò inavvertitamente un pistone. L’operaio che governava dall’alto la campana della pressa rimase schiacciato. Il militare continuò il suo discorso, tra gli schizzi di sangue, nonostante avesse capito quel che aveva fatto. Alla fine i resti dell’uomo furono gettati via, con una pala”. E poi l’incubo delle mine. “Ero con un mio compagno, uno degli Internati militari italiani (Imi) provenienti da Carpi. Andavamo nei campi per rubare qualcosa da mangiare. Me lo vedo ancora che mi dice: stammi lì Mario... che ti butto le patate. Va avanti e salta per aria. Come si può rischiare la vita così, per non morire di fame?”.
Il paradosso è che malgrado tutto Magonio tende a sdrammatizzare. “Anche questa sera ci siamo divertiti” è una delle frasi più ricorrenti nei suoi racconti. Sembra una prigionia fatta di balli e di feste. Mario ricorda i compagni che sapevano suonare, cantare, fare giochi di prestigio. Parla degli spettacoli di varietà organizzati appositamente per ingraziarsi i militari russi, nuovi padroni: “Spesso non si era neppure mangiato perché tra un allarme e l’altro avevano già chiuso la distribuzione. Avevamo trent’anni, eravamo ancora giovani. Sentivamo il bisogno della vita in mezzo alla morte, dovevamo morire ma volevamo vivere. C’era uno che suonava la fisarmonica e ballavamo la Comparsita. Ci sembrava di essere a un veglione del Carlo Felice, mentre eravamo tra le lamiere di una baracca”. Con Baciccia ha strappato un sorriso ai suoi compagni di prigionia. Ma la fede e l’amore lo hanno tenuto in vita. Come quando andò a piedi fino a Spandau per prendere le ostie e le nascose in mezzo alla spazzatura, perché un vescovo francese amico dei partigiani potesse celebrare la messa. O come quando a Falkensee, nel campo dei russi, conobbe una ragazza polacca: “Si chiamava Eugenia. Quando suonavano l’allarme scappavamo insieme sotto le baracche. Rifugi antiaerei lì intorno non ce n’erano. Fuori si sentivano gli spari, lei mi stringeva forte e diceva: Mario... Mario... prega il Signore che ci prenda, che ci faccia morire abbracciati così”. E la baciava sotto le bombe.

Ifg Urbino - aprile 2004