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Quando
hai iniziato il tuo cammino tra Italia e Slovenia?
Nel
1991 una mia amica che viveva a Trieste mi ha chiamato. Cercavano
cuoche e donne delle pulizie nella zona dell’altopiano triestino,
che è quasi completamente sloveno. Io abitavo in una piccola
frazione di Nova Gorica, isolata e molto agricola. La proposta mi
ha attratto e così sono partita verso Trieste. 95 chilometri
ogni giorno su un tratto di strada lungo e trafficato.
Ma
prima cosa facevi, come era la tua vita?
Ho
iniziato a lavorare a quindici anni. Quando sono arrivato a Nova
Gorica mi è sembrata una metropoli. C’erano ancora
Tito e il suo socialismo. Durante quel periodo le fabbriche avevano
tutto. Erano piccole realtà autosufficienti. All’interno
c’erano la cucina e la lavanderia. Poi, nel 1990, tutto è
cambiato. La caduta del socialismo ha tagliato i finanziamenti alle
province e questi servizi sono diventati un costo. Le fabbriche
hanno chiuso le cucine e io mi sono trovata senza lavoro. È
in questo momento che la mia amica mi ha chiamato ed è iniziata
la mia vita in Italia.
Come
è stato l’impatto con la realtà italiana?
Venti
anni fa, quando venivo in Italia, se non parlavo italiano ero trattata
male, considerata poco. Ero una straniera, un’immigrata, una
ruba lavoro. Pian piano, lavorando, ho imparato la lingua italiana
e tutto è andato per il meglio. Anche i controlli, che si
sommavano alla lunga strada, hanno complicato la vita, ma ero serena
perché lo facevo per la famiglia. Ancora non avevo i miei
figli, ma già lavoravo in prospettiva. All’inizio mi
presero in nero, poi, per evitare problemi, mi fecero tutti i documenti,
da quel momento cominciò una nuova vita, soprattutto economicamente.
Come
ha fatto con la lingua?
La
mia maestra è stata la televisione perché a Nova Gorica
si studiavano solo l’inglese e lo sloveno. Poi, con il passare
degli anni, i miei figli sono diventati i miei maestri. All’inizio
il timore di non saper comunicare è stato molto grande, una
delle preoccupazioni maggiori.
Quando
hai cominciato a lavorare a Gorizia?
Nel
1996 mi sono stancata di fare la strada verso Trieste e cercando
mi si è aperta l’occasione di lavorare in questo ristorante.
Per la prima volta non mi sono sentita straniera. Sono stata accolta
come un’italiana, senza alcuna differenza. Forse sono stata
fortunata, è vero. Però è proprio a Gorizia
che la considerazione verso noi sloveni è diversa rispetto
a Trieste.
Come
funzionava il controllo al confine?
L’evoluzione
è stata incredibile. Quando avevo dieci-quindi ci anni, il
confine non lo si poteva passare più di quattro volte al
mese. Poi si è cominciato con una volta al giorno finché,
nel 1979, la libertà è diventata totale. Il controllo
sloveno era molto forte, soprattutto durante i primi anni novanta,
perché il mercato nero era florido. Dall’Italia si
portava via la carne dalla Slovenia, le sigarette, tutto con il
tacito accordo dei doganieri, almeno fino a quando non incontravi
quello veramente pignolo.
A
quel punto cosa succedeva?
C’erano
delle giornate che potevi passare ore al confine solo perché
i doganieri avevano deciso di sventrarti la macchina alla ricerca
di non si sa cosa. Spesso lo facevano per il solo gusto di vederti
soffrire in attesa. Si formavano code lunghissime e tu speravi sempre
che il controllo dettagliato non capitasse a te. Tutto questo ci
faceva infuriare, soprattutto pensando a quanto guadagnavano i finanzieri,
parlo degli sloveni, e di tutte le agevolazioni che avevano. In
Slovenia i finanzieri, i militari e i poliziotti di confine andavano
in pensione a 48 anni, accumulando 15 mensilità di pensione
ogni anno. E, nonostante tutto, sadici, facevano perdere un sacco
di tempo a noi poveri lavoratori. Sono arrivata a cambiare i passaggi
di entrata diverse volte al giorno, solo per non rivedere sempre
le stesse facce. Sai, oltretutto con il tempo cominci anche a riconoscere
quello più rognoso…
Ma
adesso tutto cambierà… |