C’è chi dice no: Davide Grassi
Pubblicato il 23/04/2012
Bisogna avere fegato per chiedere i danni alla mafia. A Padova, in un processo ai casalesi, su sessanta imprenditori coinvolti, soltanto in quattro hanno avuto il coraggio di costituirsi parte civile. Davide Grassi questo lo sa bene. Il suo lavoro è fare quello che le vittime spesso non hanno la forza di fare. “Sono nel coordinamento nazionale di Sos Impresa. La mia attività consiste principalmente nel costituirmi parte civile per le vittime della criminalità organizzata e per la stessa associazione nazionale”, spiega Davide, 37 anni, avvocato di Rimini.
Davide la mafia la studia da anni, una cosa che non ti aspetti da qualcuno che si è laureato a Bologna. Poi, dopo la laurea “venni a conoscenza della presenza di osservatori e associazioni che avevano come scopo, quello di aiutare le vittime del racket. Così decisi di dedicare parte della mia attività legale, in forma di volontariato, all’assistenza in giudizio delle vittime”.
Un’attività che lo ha portato anche a conquistare dei grossi successi. Come l’ammissione della costituzione di parte civile di Sos Impresa al processo Infinito a Milano. Un procedimento contro la ‘ndrangheta lombarda che coinvolge quasi 300 affiliati. “Mi fecero molte questioni preliminari i difensori degli imputati -racconta Davide- per evitare la nostra costituzione. Credo che sia il processo contro la criminalità organizzata più importante degli ultimi anni“.
Davide è tra le fonti più preziose per comprendere il fenomeno dell’arrivo, anzi: del radicamento della mafia nella riviera. “Negli ultimi anni -racconta Davide- è cambiato molto. Con le disponibilità di denaro i mafiosi si sono potuti appoggiare a consulenti della zona. I professionisti danno delle dritte: sanno che il mafioso ha disponibilità di denaro e sanno che l’imprenditore non può avere accesso al credito. E allora il professionista ti mette in contatto con il mafioso”.
Come la storia di un imprenditore che Davide ci racconta. Chi ha una piccola azienda in molti casi è il primo a non essere trasparente. Molto spesso usa dei prestanome per creare delle società oppure utilizza fiduciarie. Con questi sistemi può risparmiare sulle tasse e riesce a evitare che in caso di fallimento i suoi beni divengano perseguibili. L’imprenditore di questa storia aveva fatto intestare una società al suo commercialista e a quella società aveva poi venduto la sua abitazione. In questi casi il commercialista o il prestanome può fare quel che vuole, anche se non è il vero proprietario: può vendere quote della società o gli stessi immobili che la società possiede. Quando il nostro imprenditore si è trovato a dover riscattare l’immobile il commercialista gli ha detto che l’immobile non era più della società e la società non era più del commercialista. Aveva venduto tutto a persone vicine alla camorra con cui aveva degli affari. Si riuniscono tutti allora: imprenditore, commercialista e acquirenti della nuova impresa. “Ora te la devi veder con loro”, dice il commercialista all’imprenditore, e poi, rivolgendosi ai nuovi acquirenti: “noi siamo a posto, vero?”.
La crisi ha aiutato la mafia?
“Anche, ma sopratutto la colpa è delle banche che non concedono più crediti. Nelle carte dell’operazione Vulcano si legge che ci sono delle vittime, imprenditori che non hanno denunciato i loro estorsori, persone in crisi finanziaria. Se i soldi sono andati a chiederli ai mafiosi è perché non potevano avere soldi dalle banche. In tempi buoni sono le banche che chiamano gli imprenditori. Quando l’imprenditore ha bisogno la banca si tira indietro, o addirittura richiedono indietro fidi di centinaia di migliaia di euro”.
Ma c’è anche l’aspetto del recupero crediti: Burgagni e Baciocchi, due dei protagonisti della nostra inchiesta, hanno entrambi usato i camorristi come agenti per il recupero crediti, prima di diventare essi stessi l’oggetto del recupero.
“Questo è ancora più preoccupante. La maggior parte degli imprenditori entra in contatto con questi personaggi perchè devono far rientrare dei crediti. Il percorso recupero crediti è tortuoso, è lungo, a volte infruttifero. A volto un imprenditore può pensare: “bé in fondo, di sicuro, questi personaggi qualcosa mi faranno recuperare”. Non sanno che questo per loro diventerà un problema. Di sicuro qualcosa questa gente grazie all’intimidazione riesce a far pagare qualcosa al debitore. Però a quel punto il mafioso da chi doveva recuperare il credito vuole interessi sempre più cospicui”.