La storia di Francesco Agostinelli: come cambia la mafia al nord


Pubblicato il 23/04/2012                          


Le cose cominciarono a cambiare quando si scoprì che i bambini mangiavano il pane della camorra. Era il marzo del 2011 e il cattivo di turno aveva un nome da fumetto: Francesco Vallefuoco. Il suo panificio riforniva le scuole di tutta San Marino. La sonnacchiosa Repubblica ebbe un brusco risveglio: la mafia era arrivata in riviera e aveva trovato inaspettati alleati. Nessuno più inaspettato di Francesco Agostinelli, imprenditore fallito, nato a Urbino, 48 anni fa.

La verità sulla mafia a San Marino e nella riviera e venuta fuori grazie a quattro inchieste che tra il 2011 e l’inizio del 2012 hanno portato in prigione una trentina di indagati. Nella Lombardia della ‘ndrangheta l’affare d’oro è il movimento terra. Nella riviera è il riciclaggio che passa per San Marino. Nascosti da fiduciarie o società di comodo, i soldi arrivano a San Marino e vengono ripuliti. Poi tocca ai gradi bassi delle gerarchie criminali farli fruttare. E il modo è sempre lo stesso, a Desio come a Rimini: usura ed estorsione. “I soldati si insediano nel territorio dopo aver usato San Marino come lavatrice. Piano piano hanno visto che c’era l’opportunità di stare sul territorio e fare affari”, racconta Davide Grassi, un avvocato che con l’associazione Sos impresa si costituisce parte civile nei processi per estorsione.

Enrico Cieri, Pm Direzione distrettuale antimafia di Bologna

Dalle carte del Pm Enrico Cieri della Dda di Bologna, che ha condotto l’inchiesta Vulcano, emerge che  Agostinelli era uno di loro: un soldato, un mazziere, un capetto. Finisce in manette due volte nel corso dell’indagine: la prima nel febbraio 2011. Nella sua macchina vengono trovate eroina, coca e una pistola senza contrassegni. La seconda nel marzo 2012. Le accuse sono di estorsione, aggravate dalla modalità mafiosa.

Agostinelli non è un imprenditore come tanti. Uno di quelli che hanno pensato che in fondo con i camorristi si può convivere e fare soldi facili, salvo poi finirne schiacciati. La carriera criminale di Agostinelli è rapidissima: quando compare nelle indagini, siamo alla fine del 2010, il suo gruppo è descritto dai magistrati come “una ramificazione del clan dei casalesi”. Il procuratore Pier Luigi dell’Osso scrive nella relazione annuale dell’Antimafia 2011 che quello di Agostinelli è uno dei tre gruppi mafiosi che controllano la riviera. Dalle carte della magistratura viene fuori che Agostinelli è un tipo nuovo e inquietante di imprenditore del centro-nord. La mafia non la subisce: ne è complice.

La sede di Fincapital a Dogana, San Marino

La prima volta che lo incontriamo, nelle carte dell’indagine Vulcano, Agostinelli è seduto nell’ufficio di una finanziaria di San Marino, Fincapital. Al fianco ha la sua guardia del corpo, un siciliano che gira con una pistola ricettata. Dall’altro lato della scrivania è seduto un imprenditore, Michel Burgagni: è lui che descrive la scena ai magistrati. Agostinelli gli chiede la restituzione di un prestito da centomila euro e mentre gli parla scrive qualcosa su un foglio: “ti uccido”. “Se non rispetti i termini”, aggiunge a voce.

Michel Burgagni merita una parentesi tutta per lui. Non solo, secondo i magistrati, è la vittima di Agostinelli, ma è una figura emblematica per capire la nostra storia. Burgagni è un imprenditore edile di San Marino. Come tanti suoi colleghi è nei guai fino al collo. Le sue aziende hanno i conti in rosso, gli operai non vengono pagati. Lui gira in Cayenne e spende  migliaia di euro nel negozio della sua compagna, a Riccione. Il suo primo incontro con la mafia lo ha nel 2008. Sta facendo dei lavori a San Marino per Livio Baciocchi, un chiacchierato notaio e immobiliarista di San Marino (finirà il manette nel 2011 per riciclaggio). Mentre i lavori proseguono, racconta Burgagni, incontra Francesco Vallefuoco, quello del panificio. Vallefuoco dice di essere un mafioso, lo minaccia e gli ordina: tieni fermi i cantieri di Baciocchi. Burgagni obbedisce fino a che non arriva l’ordine che può riprendere i lavori.

E’ lo stesso Burgagni a decidere di tornare da Vallefuoco, nonostante le minacce che ha subito. Gli chiede di riscuotere un credito di 100 mila euro tramite la sua agenzia di riscossione crediti, la Ises. Qualche mese dopo confiderà ad un amico di essersi pentito amaramente di quella decisione. Non solo: nello stesso periodo un socio di Vallefuoco presenta a Burgagni altri due imprenditori, i fratelli Luciano. Anche loro sono in odore di camorra. Burgagni annusa che qualcosa non va, ma decide comunque di entrare in affari anche con loro.

Entrare in affari con questi due gruppi, Vallefuoco e i fratelli Luciano, lo fa sprofondare nel giro. Il periodo degli affari proficui dura poco: molto presto cominciano le minacce e le estorsioni. Burgagni si sente “una pallina da ping pong”, sballottato a destra e sinistra, in balia dei due gruppi criminali che si alternano per “spremerlo”. “Sono mosche affamate”, racconta ad Elena, la sua compagna. In mezzo a questa partita spunta un terzo uomo. Secondo Burgagni è in qualche maniera alleato di Vallefuoco, ma ha la sua propria banda. E’ Francesco Agostinelli.

Nato a Urbino, nel 1954, diplomato al liceo, Francesco Agostinelli a Fano ha una piccola impresa di ristrutturazioni e costruzioni. Il primo episodio noto della sua carriera ci da la cifra di tutto quello che seguirà. Nel 2001 per promuovere un iniziativa immobiliare noleggia il teatro Politeama di Fano e invita Milly Carlucci e Lucio Dalla. Un evento che in città ancora ricordano. Del faraonico progetto immobiliare però, non si fa nulla. “Era tutta una bufala – racconta l’allora proprietario del teatro- Non aveva davvero i terreni”.

Ecco chi è Francesco Agostinelli: un Faraone senza schiavi e senza piramidi. Le sue imprese edili (Magnolia Sas di Fano e Magnolia Srl di Pesaro) prima vivacchiano e poi, nel 2012, falliscono. Oggi i curatori fallimentari sono alla ricerca di soldi da far avere ai creditori. Alcuni immobili che aveva vicino a Cagli, in provincia di Pesaro, gli sono stati sequestrati. Vive nella casa del suocero in un quartiere residenziale di Fano e girava, almeno prima degli arresti domiciliari, con la suavecchia macchina. A suo nome nessun leasing per barche, porche o ville.

Eppure, quando riceveva i clienti nella sede della sua Magnolia di Pesaro e li accoglieva seduto davanti a una gigantografia di Berlusconi, su cui aveva scritto a pennarello “Sei il mio idolo!!!”, l’aria arrogante di un uomo sicuro di sé, soffiandogli fumo in faccia, sembrava invincibile. Pieno di soldi, terreni e immobili, le mani in mille affari, agganciato ai migliori contatti. “Il più grande millantatore del secolo”, così lo descrive un suo socio in affari.

E’ facile immaginarselo così in occasione del primo incontro che ebbe con Burgagni, quello del foglio di carte con la scritta: “ti uccido”, a metà ottobre del 2010. Sicuro di sé, la sigaretta tra le dita, un sorriso che conquista, seduto su una poltrona di pelle di quella finanziaria, la Fincapital, che non è sua ma dove non si muove foglia che lui non voglia. Agostinelli lo dice chiaramente a Burgagni dopo quell’incontro: sei sotto la mia protezione ora. E cosa significa essere sotto la sua protezione lo si capisce presto. Il negozio della compagna di Burgagni, racconta l’imprenditore alla magistratura, diviene una specie di deposito di abiti gratis per Agostinelli e i suoi. La compagna di Burgagni viene usata come intermediaria per comprare tre Rolex, 63 mila euro in tutto, senza che poi veda nemmeno una lira.

Passano le settimane e Agostinelli sembra che voglia stringere ancora di più il cappio. Prima offre alla coppia un prestito di 100 mila euro. Poi è così sfacciato da raccontargli a cosa serve. L’episodio viene raccontato ai magistrati da Elena, la compagna di Burgagni. Agostinelli, qualche settimana dopo averle offerto il prestito, le spiega come è solito comportarsi. Prima concede un grosso prestito a un imprenditore o a un commerciante e in cambio chiede sempre più denaro, fino a che la vittima non può più pagare ed è costretta a consegnare le proprie attività. Sempre secondo Elena, un giorno, Agostinelli entrando nel suo negozio commenta: “Sembra mio”.

La forza di Agostinelli, il modo che ha di imporsi sulle sue vittime, scrivono i magistrati, deriva dalla paura che incutono le sue amicizie e le sue frequentazioni. Come quando Agostinelli racconta di essere nel traffico della droga. Elena dice ai magistrati di avergli sentito fare più di una volta discorsi su partite di droga da vendere. Oppure come quando racconta di andare spesso a Casal di Principe, dove dice di avere molti amici. Anche i complici dell’urbinate fanno parte dell’immagine dell’imprenditore senza scrupoli alleato con gente pericolosa. Il suo guardiaspalle è siciliano e gira armato di pistola. Con Agostinelli ci sono spesso due campani doc, Massimo Venosa e Pasquale Maisto (che saranno poi arrestati insieme a lui). Sono entrambi casertani. Elena li vede tutti insieme, un giorno in cui va a trovare Agostinelli nel suo ufficio. Stanno guardando la tv, sono tesi. In televisione passa la notizia dell’arresto del boss casalese Antonio Iovine. Ancora più agitati sono a dicembre, quando a finire dietro le sbarre è Sigismondo di Puorto. Elena sente Agostinelli molto preoccupato. Salvatore di Puorto, fratello del boss arrestato, è uno dei complici di Agostinelli.

Torniamo al quel primo incontro tra la vittima Burgagni e il suo aguzzino Agostinelli, l’incontro del foglio “ti uccido”. L’urbinate accoglie il sammarinese come un capo, in un bell’ufficio al secondo piano dell’edificio Fincapital. Intestata alla finanziaria è anche l’Audi sulla quale gira di solito. In Fincapital sembra che faccia lui il bello e il cattivo tempo. Ma la società non è sua. Il proprietario occulto, che la controlla tramite dei prestanome, è Livio Baciocchi, finito dentro dopo un indagine della Dda di Napoli che lo accusa di aver riciclato denaro per conto del clan Stolder. Ma Baciocchi negli interrogatori racconta che alla fine del 2010 non controllava più Fincapital. Era stato estromesso. Da Francesco Agostinelli.

Vale la pena aprire una parentesi anche su Baciocchi, per comprendere come, se i magistrati hanno ragione, Agostinelli sia una figura nuova, segno che qualcosa sta cambiando al nord. Quale sia il rapporto di Baciocchi con la criminalità lo racconta lo stesso Burgagni. Il notaio di San Marino è da un lato “la mente criminale che ha commissionato le estorsioni ai danni dei debitori di Fincapital”, ma dall’altro “da riciclatore di questi soggetti si è tramutato in vittima delle estorsioni”. Un percorso simile a quello di Burgagni: ti rivolgi a questi soggetti per recuperare un credito e poi loro cominciano a recuperare crediti da te.

Il notaio Baciocchi racconta, nel novembre 2010, di essere stato picchiato dai fratelli Luciano, gli stessi soci di Burgagni. Dice di essere stato costretto a consegnargli 600 mila euro. Ha avuto l’auto bruciata, come avvertimento. E sono sempre di Baciocchi i cantieri a cui abbiamo accennato all’inizio di questa storia. Quei cantieri che vengono fermati da Burgagni per ordine di Vallefuoco. Mentre dalle intercettazioni Burgagni e Baciocchi sembrano quasi solidali l’uno con l’altro, come se riconoscessero di essere in una situazione simile, Baciocchi ha parole di fuoco per Agostinelli. L’urbinate è un “tumore”, un millantatore senza una lira che si è insidiato nella sua società, togliendola al suo controllo. Si vocifera anche di una qualche scrittura privata che se trascritta, farebbe finire tutte le proprietà di Baciocchi nelle mani di Agostinelli.

Al contrario di questi altri due imprenditori, il notaio-riciclatore-vittima Baciocchi e l’imprenditore-estorto Burgagni, Agostinelli non sembra camminare su questa crina sottile. Sembra che lui sia saldamente aggrapato da una parte. Quella del complice. Come in occasione del pestaggio di Antonio di Fonzo.

La storia la racconta Burgagni ed è confermata a grandi linee anche da Agostinelli, durante gli interrogatori. L’episodio avviene a fine ottobre 2010. A Rimini Agostinelli, il suo guardiaspalle siciliano e due casertani del suo gruppo, Pasquale Maisto e Massimo Venosa, si incontrano con Burgagni. Agostinelli riferisce un episodio: Antonio di Fonzo, un imprenditore campano che conoscono entrambi, avrebbe fatto degli apprezzamenti poco galanti sulle loro signore. Burgagni stenta a crederci e comunque ritiene la cosa poco seria. Agostinelli invece insiste e ordina al suo guardiaspalle di chiamare di Fonzo e di organizzare un incontro. Il giorno dopo si incontrano tutti quanti: Agostinelli e la sua banda, Burgagni e di Fonzo. Subito comincia il pestaggio: Agostinelli prende a pugni così forti di Fonzo che il Rolex che ha al polso gli finisce in pezzi. Nel frattempo il siciliano dice a Burgagni: “Così finisce chi non si comporta bene”. Sembra quasi una scenetta organizzata.

Se i magistrati hanno ragione, allora la storia di Francesco Agostinelli ci racconta come il prospero centro-nord stia attraversando una fase nuova. La mafia non seduce soltanto perché può essere vantaggioso collaborarci. Comincia a sedurre anche l’idea di farne parte, di adottare i loro metodi in prima persona. Burgagni, Baciocchi e molti altri sono per metà complici, ma per metà vittime. Sentono l’odore di soldi facili oppure pensano che le maniere spicce possano aiutarli dove la giustizia non ci riesce. Cercano di sfruttare i campani che arrivano dal sud con amicizie poco raccomandabili, ma in un modo o nell’altro ne vengono travolti. Agostinelli invece no. Agostinelli sembra uno di loro. Impartisce ordini, tratta con loro da pari. Ma non è uno di loro. E’ un imprenditore, è nato a Urbino, 48 anni fa.

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