Alvi: “Per studiare, meglio stare qui: è più facile”
Pubblicato il 15/04/2012
Perché ha scelto di andar via?
K. Lavoravo in una piccola azienda di import-export. Andava tutto bene e riuscivo a viaggiare molto. Poi ho dovuto andar via per un problema politico.
A. Nel nostro paese parlano sempre di politica, è sempre molto importante e io non capisco il perché.
K. All’università mi occupavo molto di politica, e così quando il presidente è cambiato, per me era meglio andare via per un po’.
E appena arrivato in Italia che cosa ha fatto?
K. Quando sono arrivato a Roma, nel 1997, pensavo di poter trovare qualsiasi lavoro: in Bangladesh ho studiato economia, parlavo inglese. Ma qui la mia laurea non vale nulla. All’inizio ero ospite di un amico, non avevo un lavoro e lui continuava a dirmi di avere pazienza. Ho iniziato a studiare l’italiano, mi sono sempre piaciute le lingue. In ogni paese che ho visitato, comperavo un dizionario. Sono curioso, mi piace imparare. E anche con i documenti sono stato fortunato: grazie a una sanatoria decisa dal governo D’Alema mi sono messo subito in regola.
E poi?
K. Mi sono trasferito a Torino e ho iniziato a lavorare come lavapiatti in una birreria. Pensavano che non capissi una parola di italiano. La mia famiglia non ha potuto venire subito a vivere con me. Sono passati otto anni. In tutto quel tempo ho continuato a studiare l’italiano, ho preso la patente e messo da parte dei soldi.
Quando ha deciso di aprire un negozio?
K. Alla fine del 2009. Ho speso tutti i miei risparmi. Ho aperto un negozio perché pensavo che mi avrebbe permesso di vivere bene. Il periodo era economicamente buono, ora la situazione sta peggiorando. Per comperare tutto e avere tutti i permessi ho speso 60 mila euro. E solo di affitto, spese e tasse ora mi costa quasi tre mila euro al mese.
Come fa?
K. Per riuscire a pagare tutte le spese del negozio faccio due lavori. Nel week end lavoro in cucina al Jumping Jester, un locale in San Salvario. Tre sere a settimana in una birreria irlandese. Io ho scelto di venire a vivere qui per vedere migliorare la mia condizione. E invece è una sopravvivenza.
E il futuro?
A. Non so che cosa faremo. Io vorrei tornare in Bangladesh, dalla mia famiglia. Mio fratello invece non ci pensa neanche, dice che qui la vita è più facile. Ci sono persone che invece hanno preferito iniziare a costruirsi una casa. Noi abbiamo investito tutti i nostri soldi qui.
Cosa la preoccupa di più?
K. Le tasse. Devo pagare, sempre pagare. E gli stipendi sono gli stessi da anni. Per un po’ ho anche provato ad avere una bancarella al mercato per vendere articoli di bigiotteria. Ora fatico a trovare un gerente ma devo continuare a pagare le tasse. Ho investito tutto quel che avevo in Italia e ora la situazione economica è molto difficile. Tutto è peggiorato.
Alvi tu sei arrivata a Torino ancora molto piccola. Che ricordi hai di quel periodo?
A. Non molti, solo che era molto strano. Tutti parlavano una lingua diversa dalla mia. Anche se poi ho imparato in fretta. Erano tutti molto gentili con me.
Dove ti senti “a casa”?
A. In Bangladesh. Sono tornata solo due volte, ma per me quello è il mio paese. Quando avevo 13 anni ho sofferto d’asma e il dottore mi ha consigliato di cambiare aria per un po’. Poteva essere un problema di ambiente. Allora sono andata un mese in Bangladesh con mia mamma. Poi ci sono tornata l’anno scorso con mio fratello, che ha già 18 anni. Per lui era la prima volta. Siamo rimasti lì tre mesi. Noi siamo molto uniti, è un po’ diverso da quello che succede in Italia. Lì c’è tutta la mia famiglia. Mi chiedono sempre: quando torni?
K. Ma i voli costano. E io che lavoro tutto l’anno, posso andare via solo ad agosto.
A. Quando i voli costano ancora di più.
K. Giusto.
Se tornassi a vivere lì? Che cosa cambierebbe per te?
A. Beh..ad esempio la scuola! Lì studiare è molto più difficile, gli studenti sono tantissimi, c’è molta competizione e bisogna dare il massimo. Io e papà litighiamo per questo: lui mi dice sempre “studia di più, studia di più!”.
Kabir ride e batte le mani sulle ginocchia, poi annuisce.
A. Lui dice che se studio, devo studiare bene. Vorrebbe addirittura che io leggessi i libri prima di andare a scuola. In Bangladesh le classi sono molte numerose, ci sono anche quaranta, quarantacinque ragazzi in ogni aula. I professori non spiegano bene come succede qui, così una volta arrivati a casa bisogna continuare a studiare. Per riuscire a emergere, devi studiare cento volte di più. Papà si preoccupa perché ha studiato nel mio paese, e ha faticato molto più di noi.
Come funzionano le scuole in Bangladesh?
A. E’ complicato, io ancora non l’ho capito.
K. Ci sono cinque anni di scuole elementari, poi ce ne sono altri sei di scuola media. Poi per poter entrare all’università c’è un esame generale, dove partecipano gli studenti di tutto il paese. Per questo per avere qualche possibilità in più bisogna essere bravi, bravissimi. I primi.
A. E poi qui basta ascoltare, la memoria non serve molto. Bisogna sapere una cosa e poi saperla raccontare. Lì invece si studia tutto a memoria. E poi le vacanze: qui ne posso fare tantissime. In Bangladesh ci sono solo due settimane fisse e qualche altra festa qua e là. Non più di un mese in tutto.
Per andare a scuola conviene restare in Italia, ma per il resto?
A. Quando sono stata in Bangladesh non uscivo mai sola, né il giorno né la sera: devi sempre essere accompagnata da un fratello, uno zio, insomma un familiare, un adulto che ti possa proteggere. Un po’ perché è pericoloso e poi perché c’è una certa mentalità, la gente parla male.
E’ difficile essere una donna in Bangladesh?
K. Tempo fa solo gli uomini potevano studiare. Ora è diverso, le scuole sono miste e c’è molta competizione. Ma ci sono anche delle scuole private, femminili e maschili, per i genitori che sono molto..all’antica.
A. Lì sono tutti all’antica. I ragazzi e le ragazze si sposano molto presto.
K. Si soprattutto nelle campagne, succedeva spesso. Ora però c’è una legge: prima dei vent’anni non ci si può sposare. Ma in verità non tutti la rispettano.
A. Anche se i familiari che capiscono non fanno sposare così presto. Le donne in Bangladesh non lavorano, restano a casa. Ora è un po’ diverso. Anche per mia mamma è stato molto strano aiutare papà con il negozio. Non era abituata, ora invece non vuole rinunciare, in casa tutto il giorno si annoia.
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