Volontari e servizi esternalizzati: addio al bibliotecario di professione
Pubblicato il 12/04/2014
“Compili il modulo con il codice identificativo del libro e poi si metta a sedere su quella sedia. La chiamo tra cinque minuti per consegnarle il volume che ha richiesto”. E così il bibliotecario, figura austera e al tempo stesso mansueta, scompare tra una fila di scaffalature che traboccano di libri: un Delitto e Castigo di Dostoevskij che strizza l’occhio a una Anna Karenina di Tolstoj, una Divina Commedia che sta impilata accanto a un Decameron. Tutti lì, muti al passaggio del bibliotecario che con mano ferma ne prenderà uno per restituirgli la vita, consegnandolo a un giovane ragazzo.
La professione del bibliotecario contiene in sé un’aura di sacralità. Almeno nell’immaginario collettivo, perché nella pratica quotidiana sembra che abbia perso la sua specificità. Siamo sicuri che siano richieste particolari competenze per catalogare un libro o andare a identificarlo attraverso un’etichetta? In Italia la risposta unanime è no. Ma è una risposta sbagliata.
Infatti i bibliotecari di professione nel nostro paese sono ormai rimasti pochi. Un mestiere vecchio, perché ormai vecchi sono coloro che possiedono quest’arte. Molti vanno in pensione e a sostituirli non trovano nessuno. Vengono rimpiazzati da dipendenti comunali precari, lavoratori socialmente utili o volontari. O non vengono rimpiazzati affatto. I comuni e le regioni dispongono di poco denaro da destinare alle biblioteche che gestiscono e per questo sacrificano l’aspetto “lavorativo” o nella migliore delle ipotesi esternalizzano i servizi. Ma sempre al ribasso. Con la conseguenza, però, di sminuire la dignità di una professionale complessa e che oggi richiederebbe ancora più qualifiche rispetto al passato.
Il problema è avvertito in maniera preoccupata dall’intera categoria dei bibliotecari al punto che l’Aib, l’Associazione italiana biblioteche, ha istituito un osservatorio ad hoc per monitorare il mercato del lavoro e i concorsi e gli appalti riguardanti la professione. Nei giorni scorsi il presidente dell’associazione, Stefano Parise, si è scagliato contro una situazione che pare avere del torbido. Si tratta del caso dei servizi esternalizzati della Mediateca Montanari e della Biblioteca Federiciana di Fano.
In una lettera indirizzata a Danilo Carbonari, direttore del Sistema bibliotecario di Fano, Parise infatti scrive:
Conosciamo le difficoltà in cui si muovono gli enti locali relativamente alla gestione dal punto di vista delle risorse umane negli istituti culturali, ma riteniamo, anche per la lunga esperienza di molti di noi, che la questione sia cruciale per offrire servizi e offerta adeguati a tutti i cittadini, i cui bisogni in periodi di crisi aumentano. Se è corretto e opportuno chiedere che nelle biblioteche lavorino bibliotecari professionisti dotati di laurea almeno triennale, non è possibile per la ditta assegnataria con la base d’asta prevista nel bando e di conseguenza con la cifra assegnata definitivamente, inquadrare e remunerare in modo corretto gli operatori e garantire sufficiente margine all’impresa.
Tutti i servizi della Mediateca Montanari e della Federiciana sono stati, infatti, esternalizzati. La retribuzione oraria per un dipendente di uno di questi due poli è di 17,35 euro. Scrive Carboni, in risposta al presidente dell’Aib:
Condivido l’opinione che la retribuzione oraria è inadeguata rispetto ai requisiti professionali richiesti dal bando, sono altresì convinto che le condizioni complessive non consentivano un incremento superiore a quello attuato.
Non la pensa così, però, chi in quelle realtà lavora e che per svolgere questa professione si è formato a lungo e in molteplici modi. È il caso di Tommaso Paiano, dipendente del Sistema bibliotecario di Fano e presidente dell’Aib Marche. Due lauree, una in Storia e una in Scienze archivistiche, e una specializzazione in progettista informatico. Per 800 euro al mese. “Credo che ci sia una contraddizione molto forte – dice Paiano – tra i servizi che svolgiamo e la paga da uscieri che ci viene data. Lavoriamo con le persone, la nostra è una professione complessa che non si limita al prestito di un libro. Si tratta di assistenza sociale. Sembra proprio che l’amministrazione pubblica sia diventata sfruttatrice di manodopera”.
I maggiori proprietari di biblioteche in Italia sono i comuni, ma non girano abbastanza soldi per poter indire concorsi pubblici da bibliotecario né per fare appalti sostenibili per le cooperative. Così si va avanti sottostimando la professione e puntando sulla buona volontà e sul buon cuore della gente. “Le biblioteche – continua Paiano – sono luoghi dove si attivano energie ed esperienze. È normale che ci siano volontari, quindi, ma devono essere figure d’appoggio, non devono sostituirsi ai bibliotecari. Né tantomeno demonizzo le esternalizzazioni. Funzionano a macchia di leopardo: in Toscana, in Lombardia, in Trentino sicuramente sì. Ma non qui nelle Marche, dove il mercato del lavoro è bloccato”.
Secondo il presidente dell’Aib Marche, in Italia il lavoro ci sarebbe. Ma non l’occupazione. Sono tanti, infatti, i giovani che si formano per questo tipo di professione ma non vengono assorbiti dal mercato e disperdono così le loro competenze. “La causa principale del degrado di questo paese – dice Paiano – è che non si dà lavoro alle persone qualificate. Se una risorsa umana non viene messa all’opera dopo due, tre anni perde quanto aveva conquistato formandosi. E allora la tendenza qual è? Che i bibliotecari invecchiano, vanno in pensione e non c’è ricambio”.
Tra le “scuse” accampate da Carboni nella lettera a Parise, poi, emerge un altro problema endemico del Sistema Italia. Il direttore continua a scrivere:
Non esiste un contratto di lavoro nazionale cui poter fare inequivocabilmente riferimento in sede di appalto e ciò crea disomogeneità e difficoltà in confronto (pur rilevando che di solito i bibliotecari vengono inquadrati in livelli non corrispondenti alle professionalità richieste). C’è anche una giurisprudenza ormai abbastanza consolidata che individua nelle tabelle retributive del personale un parametro di riferimento ma non un obbligo di applicazione.
E nella confusione generalizzata, quindi, si continua ad agire senza colpo ferire. Ma potrebbe non essere più così. Le cose starebbero cambiando grazie all’introduzione della legge n.4 del 14 gennaio 2013, “Disposizioni in materia di professioni non organizzate”, una legge che tende a regolamentare quelle professioni – soprattutto quelle legate al lavoro intellettuale – che non sono tutelate da ordini. Un provvedimento che molti, all’interno dell’ambiente bibliotecario, hanno definito epocale.
Perché? I bibliotecari si collocano nell’universo dei professionisti non regolamentati. La legge, che riconosce l’azione di tutela svolta dalle associazioni di categoria come l’Aib, servirebbe a creare dei paletti in modo tale che non possano più essere messe in atto cattive pratiche nell’assunzione dei bibliotecari. Queste associazioni, in definitiva, verrebbero equiparate – o giù di lì – agli ordini professionali. Scrive Raffaele De Magistris nel Bollettino Aib:
Come risposta alla crisi le pubbliche amministrazioni negli ultimi tempi hanno moltiplicato oltre le dimensioni fisiologiche, e anche in dubbia osservanza delle leggi, due insidiosi espedienti: il ricorso massiccio al volontariato e l’affidamento in outsourcing dei servizi secondo il criterio più basso . È sperabile che la legge 4/2013 e la conseguente definizione dei contenuti della professione e dei profili professionali, riescano ad arginare, in tutto o in parte, tali fenomeni degenerativi che rischiano di inquinare il lavoro in biblioteca, penalizzando in definitiva la qualità di quei servizi che a parole si dichiara di voler implementare.
Ma è pur sempre una situazione di stallo difficile da superare se il paese non riesce a uscire dalle sabbie mobili in cui è impantanato, riconoscendo il giusto ruolo della cultura come motore di ripresa. “Pompei crolla – dice Paiano – un bene materiale viene giù. Ma la verità è che stanno crollando anche le competenze. Ci scandalizziamo per la caduta di un muro, di una pietra ma non ci chiediamo che paese stiamo dando in mano ai nostri figli”.