Dall’oblio alla riscoperta, i tempi d’oro di Villa Adriana

 

Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli ove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell’Impero, come il Liceo, l’Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli Inferi

Villa Adriana è la più importante e complessa residenza imperiale rimasta dall’antichità, più grande anche di Pompei. Fu costruita ai piedi di Tivoli, intorno al 132 d.C. dall’imperatore Adriano che sognava una dimora extraurbana, lontana dal caos di Roma, ispirata alle grandi opere architettoniche greche. Entrata a far parte dei Monumenti Patrimonio dell’Unesco nel 1999, Villa Adriana è una delle aree archeologiche più importanti d’Italia ma anche tra le meno conosciute nella sua interezza. Da 500 anni viene scavata e studiata ma come fosse veramente organizzata rimane ancora un mistero.

Tempi d’oro. La villa si estendeva su una superficie di circa 120 ettari, di cui oggi solo 40 sono visitabili. Dieci ettari sono, invece, occupati dall’Accademia di proprietà della famiglia Bulgarini che possiede il terreno dal ’600. Il maestoso complesso monumentale era pieno di edifici che l’imperatore aveva fatto riprodurre sulla base di quelli che aveva visto nel corso dei suoi viaggi nel Mediterraneo. Templi, biblioteche, terme, vie e specchi d’acqua presero così il loro nome. Tra gli edifici più interessanti c’è il Pecile (“stoà poikìle”, portico dipinto), ricostruzione del portico dipinto dell’agorà di Atene, la città che Adriano amava visitare. Dal Pecile una serie di edifici colonnati e di terme grandi e piccole conducevano poi al Canopo, una struttura con una vasca centrale e un’ampia esedra sullo sfondo, all’interno della quale i romani mangiavano sdraiati circondati dai giochi d’acqua. Molti studiosi hanno tentato di interpretare questo complesso così particolare: secondo alcuni rappresenta l’incontro tra il fiume Nilo ed un estuario che congiungeva la città di Canopo, sede di un tempio dedicato a Serapide, con Alessandria. Il rimando all’Egitto, secondo altri, sarebbe dovuto ad uno dei viaggi che Adriano fece, durante il quale trovò la morte il suo amante Antinoo. Proprio all’uomo che l’imperatore amava e di cui racconta Marguerite Yourcenar tra le pagine del suo libro “Memorie di Adriano”, è dedicato l’Antinoeion, un luogo di culto dedicato al giovane divinizzato dopo la sua morte prematura. I resti furono trovati nel 2003 davanti alle Cento Camerelle, un imponente complesso di stanze sotterranee forse destinate agli schiavi. Tra gli edifici più affascinanti c’è il Teatro Marittino, probabilmente la prima sistemazione di Adriano prima della costruzione del Palazzo imperiale. Si dice che sull’isolotto circondato dall’acqua al centro del teatro l’imperatore amasse rifugiarsi per trovare un pò di tranquillità e pace: alla struttura si poteva accedere infatti solo tramite un ponte mobile.

Abbandono e riscoperta. Dopo la morte di Adriano, la villa continuò ad essere abitata fino alla tarda antichità. Ma poi arrivò il declino. Fu saccheggiata da Totila nel 544 circa e venne dimenticata: nel medioevo fu usata solo come terreno agricolo e come riserva di marmi per la città di Tivoli, sede vescovile. Solo alla fine del ’400, grazie all’umanista Biondo Flavio, venne nuovamente riconosciuta come la villa dell’imperatore Adriano di cui parlava l’Historia Augusta. Iniziarono la riscoperta e gli scavi, la maggior parte portati avanti da nobili privati. Mentre la villa subiva vari passaggi di proprietà, dal conte Giuseppe Fede a Giovanni Battista Centini al duca Braschi-Onesti, statue, mosaici ed edifici venivano pian piano portati alla luce e la sua fama si diffondeva in tutto il mondo. Durante l”800 diventò meta del Grand Tour, il viaggio dei giovani intellettuali nobili d’Europa. Sempre in cerca di un ‘souvenir’ da portare a casa, i ragazzi si divertivano a sparare agli stucchi per farli cadere e portarli via. Nel 1871, dopo l’Unità d’Italia, Villa Adriana venne infine acquistata dal Regno d’Italia che iniziò i lavori di restauro.