Lo scoglio delle Scole su cui andò a sbattere la Costa Concordia la notte del 13 gennaio 2013 è una proprietà privata. Apparteneva e appartiene ancora a Rosalba Rossi, una signora ottantenne gigliese, ed è stato tramandato di generazione in generazione. Considerato bene paesaggistico, lo scoglio è regolarmente iscritto nel catasto e come tale ha un legittimo proprietario. Possedere un bene culturale o paesaggistico, dunque, si può. Ma non solo. Ci si può anche abitare dentro. È il caso dell’Accademia di Villa Adriana abitata dalla famiglia Bulgarini, del teatro di Marcello di Roma o dei tanti palazzi storici sparsi tra l’Italia. Se essere proprietari di un bene culturale è del tutto legale, rimangono delle regole precise da seguire per tutelarlo. Dagli interventi vietati alla conservazione, dall’esproprio all’obbligo di mettere mano al portafogli, il Codice dei beni culturali prevede un rigido vademecum per chi ha la fortuna di possedere un simile tesoro.
Cosa si intende per patrimonio culturale. Il patrimonio culturale è costituito da beni culturali e dai beni paesaggistici. I primi sono “le cose mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”. È un bene culturale, ad esempio, una statua, un affresco, un reperto archeologico. I beni paesaggistici, invece, sono “gli immobili e le aree costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio”. Coste, vulcani, parchi naturali, boschi, fanno parte di questa categoria. La costiera amalfitana o l’Etna, ad esempio, sono beni paesaggistici. Il patrimonio culturale nel suo insieme, dunque, deve essere tutelato e valorizzato. Ad esercitare le funzioni di tutela è il Ministero per i beni e le attività culturali, che può delegarlo anche alle regioni. Anche i comuni, le città metropolitane e le province cooperano con il ministero nell’esercizio di queste funzioni. Per valorizzazione, invece, si intende la promozione e il sostegno alla conservazione del patrimonio culturale.
I vincoli. Cosa sono? I beni culturali, per essere di interesse collettivo, sono soggetti a una serie di vincoli che servono ad evitare, ad esempio, che vengano esportati all’estero o che siano sottratti alla pubblica fruizione. Ma allora perchè andando in musei stranieri troviamo opere italiane? Perchè possono essere ‘prestate’ per mostre ed esposizioni ma per la vera e propria esportazione serve un permesso speciale del Ministero dei beni culturali. I vincoli servono anche ad evitare danneggiamenti o distruzioni dei beni culturali per un uso improprio.
Beni culturali privati vincolati. Può accadere che lo Stato metta gli occhi su un bene culturale appartenente ad un privato. Ma come una persona a sapere che qualcosa di sua proprietà è stato vincolato? Se lo Stato, da indagini approfondite, viene a conoscenza che un privato possiede un bene di rilevante interesse storico, gli “notifica” lo status di bene culturale, facendo scattare da quel momento il regime vincolistico.
Interventi vietati. Chi possiede un bene culturale deve stare attento a non fare determinate cose. “I beni culturali non possono essere distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”, recita l’articolo 20 del Codice dei beni culturali. Inoltre, alcuni interventi che coinvolgono il bene, come lo spostamento temporaneo o la demolizione, hanno bisogno dell’autorizzazione del Ministero.
Beni culturali privati. Si possono vendere? I beni culturali di proprietà dei privati sono
soggetti al diritto di prelazione da parte dello Stato. In pratica, se un privato vuole vendere un bene culturale di sua proprietà lo Stato può esercitare il diritto di prelazione: può acquistare esso il bene culturale, per la stessa somma che il proprietario aveva intenzione di ricavare dalla vendita.
Conservazione. Secondo l’articolo 30, “lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico hanno l’obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza”. Ma non sono gli unici. Anche i privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali, sono tenuti a garantire la conservazione del bene. Nel caso in cui il privato volesse avviare un intervento conservativo di sua iniziativa deve rivolgersi al soprintendente che valuterà se l’intervento è ammissibile o meno. Se la legge prevede per quell’intervento agevolazioni tributarie o concessioni informerà il privato. Il Ministero può anche imporre gli interventi necessari per assicurarne la conservazione. In questo caso funziona così: il soprintendente redige una relazione tecnica in cui dichiara la necessità degli interventi, la relazione viene inviata ai proprietari che hanno 30 giorni di tempo per presentare delle osservazioni. Il soprintendente dà un termine al proprietario per la presentazione del progetto e segna una data di inizio dei lavori. Ma cosa succede nel caso in cui il possessore del bene si rifiuti di fare gli interventi conservativi? Si procede con l’esecuzione diretta degli interventi e, in caso di particolare urgenza, il soprintendente può adottare immediatamente le misure conservative necessarie.
Chi paga? Secondo l’articolo 34, tutti gli oneri per gli interventi sui beni culturali sono a carico del proprietario del bene. Questo vale sia per gli interventi imposti sia per quelli eseguiti direttamente dal Ministero. Ma se gli interventi vengono eseguiti su beni di particolare interesse pubblico, lo Stato potrebbe scegliere di farsene totalmente carico. In questo caso, decide a quanto ammonta l’onere che intende sostenere e lo comunica al proprietario. Ma se è il possessore del bene a farsene carico, il Ministero può decidere di rimborsarlo, anche tramite un acconto. A patto che la cifra “donata” dallo Stato non sia superiore alla metà del costo di tutto l’intervento.
Espropriazione. “I beni culturali immobili e mobili possono essere espropriati dal Ministero per causa di pubblica utilità, quando l’espropriazione risponda ad un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione dei beni medesimi”. Il Ministero può autorizzare, a richiesta, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico ad effettuare l’espropriazione ma la motivazione deve essere sempre quella della ‘pubblica utilità’, cioè deve essere un atto volto al miglioramento, ‘utile’ per la collettività. L’espropriazione può essere di due tipi. Per fini strumentali (art. 96) e per interesse archeologico (art. 97): l’articolo 96 dice che possono essere espropriati per causa di pubblica utilità edifici ed aree “quando sia necessario per isolare e restaurare monumenti, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l’accesso”. L’articolo 97 afferma che l’espropriazione può anche avvenire al fine di eseguire interventi di interesse archeologico o ricerche per il ritrovamento di cose. Ovviamente, nel caso in cui si venga espropriati da un bene che si abita, è prevista un’indennità. È a volte è anche molto ‘sostanziosa’: “L’indennità consiste nel giusto prezzo che il bene avrebbe in una libera contrattazione di compravendita all’interno dello Stato”. In poche parole, il proprietario del bene riceve dallo Stato tanti soldi quanti ne riceverebbe se lo vendesse.
Scoprire qualcosa, per caso. Che succede se chi abita un bene culturale scopre per caso un reperto? L’articolo 90 del Codice dei beni culturali si occupa proprio delle ‘scoperte fortuite’ e recita: “Chi scopre fortuitamente cose immobili o mobili di interesse archeologico o culturale ne fa denuncia entro ventiquattro ore al soprintendente o al sindaco ovvero all’autorità di pubblica sicurezza e provvede alla conservazione temporanea di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono state rinvenute”. Insomma, tutto deve essere lasciato al suo posto. Ma chi scopre qualcosa deve anche provvedere alla conservazione della cosa che trova. Se per la custodia o la rimozione del bene sosterrà una spesa, questa verrà rimborsata dal Ministero. Ma se il reperto viene scoperto proprio nel sottosuolo del giardino di casa, a chi apparterrà, a chi lo trova o allo Stato? Secondo l’articolo 91, “le cose che vengono da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile”. È previsto, però, un ‘premio’ per i ritrovamenti, un risarcimento in denaro che “non è superiore al quarto del valore delle cose ritrovate” e che spetta a chi ha scoperto fortuitamente la cosa (a patto che non si sia introdotto o abbia ricercato nel fondo altrui senza il consenso del proprietario o del possessore), a chi abita l’immobile in cui è avvenuto il ritrovamento e al concessionario dell’attività di ricerca, se il bene è stato trovato durante uno scavo o una spedizione archeologica.
Monumenti a porte aperte o a porte chiuse? L’articolo 104 del Codice dei beni culturali dice possono essere aperti per le visite “i beni culturali immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante; le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere, ovvero come testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive e religiose, le collezioni”. Sarà il privato poi a scegliere le modalità di visita insieme al soprintendente. Potrà scegliere quando aprire le porte e decidere se concedere la visita a un pubblico turistico oppure ad uno più selezionato, fatto solo di studiosi ed esperti.